IL MIGLIOR TRATTAMENTO DEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO

 

(SETTIMA PARTE)

 

Proseguiamo nella pubblicazione della trascrizione dell’intervento del Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze all’incontro dei soci di “Brain, Mind & Life Italia”, dedicato ai recenti sviluppi della ricerca sul disturbo ossessivo-compulsivo. Le precedenti sei parti sono state pubblicate nelle scorse settimane (Note e Notizie 25-10-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – prima parte; Note e Notizie 01-11-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – seconda parte; Note e Notizie 08-11-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – terza parte; Note e Notizie 15-11-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – quarta parte; Note e Notizie 22-11-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – quinta parte; Note e Notizie 29-11-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – sesta parte). L’ottava parte sarà pubblicata la prossima settimana.

 

E’ interessante notare come la semeiotica psichiatrica di impostazione psicoanalitica, ancora dominante nella formazione degli psichiatri quando Schwartz ha avviato i suoi studi, fornisse una lettura mediante i “meccanismi di difesa” che può non essere del tutto abbandonata, se semplicemente si colloca l’origine del disturbo al livello neurofunzionale e si considerano le modalità del pensiero ossessivo come una conseguenza del “fare di necessità virtù” da parte dei processi globali che costituiscono la mente[1].

Ricordo l’elenco di quei processi automatici ed involontari -quindi per definizione inconsci- che consentono al sistema psichico di essere bene integrato nel suo rapporto con la realtà, quando agiscono da meccanismi di adattamento, e di proteggersi da condizioni di stress, quando entrano in funzione secondo un “criterio-soglia” e sono definiti meccanismi di difesa[2]: rimozione, proiezione, negazione, diniego, spostamento, razionalizzazione, conversione, dissociazione, compensazione, formazione reattiva, annullamento, isolamento dell’affetto, sublimazione, identificazione, regressione, inibizione, rivolgimento contro il sé. Alcuni, principalmente fra gli autori di formazione kleiniana, aggiungevano la scissione e l’identificazione proiettiva. Fra questi meccanismi, l’annullamento, l’isolamento dell’affetto e la formazione reattiva, si ritenevano specifici della personalità ossessiva e caratteristici della nevrosi ossessiva; a questi si aggiungeva la razionalizzazione che si riteneva, però, assumere caratteristiche peculiari e ben diverse da quelle della semplice giustificazione o svalutazione. Si deve tuttavia osservare che nel testo freudiano, e in particolare in uno scritto annoverato fra le cinque analisi classiche dell’insegnamento psicoanalitico, noto come L’uomo dei topi[3], una notevole importanza è attribuita allo spostamento[4] e ad una forma di regressione che consente, attraverso azioni preparatorie che sostituiscono il pensiero all’azione, di rimandare le decisioni. Un notevole rilievo è qui attribuito anche alle caratteristiche e al significato psicologico del dubbio che Freud, all’inizio dei suoi studi, aveva postulato dipendere dall’azione disturbante di fantasie inconsce. Ne L’uomo dei topi, pur non rinnegando del tutto la prima interpretazione, riconosce una radice più profonda ed affettiva a questo stato di apparente indeterminazione cognitiva: l’ambivalenza. L’inibizione dell’amore dovuta all’odio crea una profonda e radicale indecisione. Il dubbio dell’ossessivo riguarda il proprio amore, secondo Freud, che sosteneva: “Un uomo che dubita del proprio amore, può, anzi deve, dubitare di ogni più piccola cosa”[5]. E a sostegno di questa affermazione, ricordo, citava i versi d’amore che Amleto dedica ad Ofelia.

Ma un interrogativo sembrava vanificare lo sforzo interpretativo freudiano: perché indecisione, rinvio, indeterminazione, incertezza, revisione, dubbio, sospensione del giudizio, possono verificarsi anche al di fuori delle circostanze e delle condizioni così bene rispondenti alle sue ingegnose costruzioni interpretative? In altri termini: perché la dinamica non appare solo come reazione difensiva specifica e in alcuni pazienti, come “l’uomo dei topi”, ricorra invece costantemente?

Naturalmente, la nostra risposta è che i fenomeni conosciuti da Freud mediante il racconto interpretativo dei pazienti che lui, a sua volta, interpreta e declina come processi psichici, sono secondari ad una tendenza allo squilibrio funzionale nell’hardware delle funzioni cerebrali parcellari e non nel software delle funzioni cerebrali globali. In altre parole, diremmo che la spiegazione di questa circostanza è nel fatto che i sintomi ossessivi sono, nella loro forma, epifenomeno di una predisposizione del livello neurofunzionale.  

Freud risolve il problema a suo modo, sostenendo che l’apparato psichico interpone un intervallo di tempo tanto lungo da mettere su una falsa pista qualsiasi indagine cosciente sui nessi causali e, soprattutto, che il contenuto dell’ossessione diviene avulso dalla situazione specifica mediante il meccanismo della generalizzazione[6].

Proprio questo aspetto mi sembra interessante. Infatti, la tendenza neurofunzionale all’iperattivazione del “worry circuit” precipitata da stimoli che definisco genericamente “stressanti”[7], da sola non spiega l’estendersi di questo stile che spesso si osserva in persone affette da OCD. Una spiegazione neurobiologica potrebbe consistere nella tendenza esponenziale dei processi che costituiscono il sostrato della compulsione: la ripetizione creerebbe per vari sotto-processi delle memorie di lungo termine che, consolidandosi, diventerebbero vere e proprie strutture funzionali, che andrebbero incontro ad attivazione in tutte le circostanze in cui normalmente si attivano i gruppi neuronici mediatori di quei sotto-processi.  

 

[continua]

 

La registrazione è stata trascritta da Isabella Floriani

BM&L-Dicembre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]

 

 



[1] Sottintendo, naturalmente, che vada abbandonato il criterio diagnostico fondato sullo stile di personalità, del quale ho parlato all’inizio. [Nota del Relatore].

[2] Questo preciso inquadramento, pur originato dal lavoro di Freud, ha assunto una fisionomia così definita per opera delle elaborazioni prodotte in Europa e in America nel corso di oltre mezzo secolo di psichiatria psicodinamica. A questo approdo si deve riconoscere il merito di aver arricchito con nuovi meccanismi il repertorio di strumenti di pensiero, ma anche il demerito di aver creato delle distinzioni -come quella fra adattamento e difesa- troppo rigide ed artificiose, che possono far rimpiangere l’uso imperfetto e sperimentale del termine Abwehr che si incontra nel vasto dispiegarsi del testo freudiano. [Nota del Relatore].

La psicoanalisi, grande esperienza culturale che è divenuta una forma di psicologia in Inghilterra, ed ha dato luogo ad un nuovo pensiero antropologico in Francia e sociologico in Germania, era nata come una diagnostica volta al fine terapeutico delle malattie della mente e, in particolare, delle nevrosi. Freud, fedele al suo scopo principale, credeva nell’intimo legame fra teoria e terapia. E’ stata proprio la delusione derivante dall’impiego della psicoanalisi come strumento di cura a motivare il suo abbandono, lentamente maturato negli ultimi venticinque anni, dalla maggior parte delle scuole di psichiatria. Già agli inizi degli anni Ottanta, ai ragazzi del V anno di Medicina che mi venivano affidati per la didattica integrativa in psichiatria, solevo citare un lavoro ormai storico sugli effetti terapeutici dell’interpretazione inesatta, il quale contribuiva a dimostrare che non era il contenuto teorico dell’interpretazione ad avere effetti positivi, ossia a “sciogliere il nodo del conflitto nevrotico”, come esemplificava la guarigione delle conversioni isteriche, ma lo stato mentale che si creava nel paziente. Tuttavia, ritengo che sia erroneo gettare alle ortiche tutto il sapere derivante da questa forma colta ed acuta di riflessione sulla psiche umana, anche se le sue costruzioni, come acutamente osservò lo stesso Freud, possono talvolta essere paragonate a deliri. [Nota del Relatore].

[3] Freud Sigmund, Bemerkungen über einen Fall von Zwangsneurose. Jahrbuch für psychoanalytische und psychopathologische Forschungen 1 (2): 357-421, 1909.

[4] Si può osservare che lo spostamento dell’importanza o della priorità dall’azione principale agli atti preparatori, con i caratteristici rinvii, i ritardi e la tipica diseconomia temporale, è stata interpretata come un tentativo di agire sul tempo, fermando il suo scorrere e rendendo infinita la sua durata attraverso la sua indefinita frammentazione, come nel paradosso di Zenone. In tal modo si configura una difesa dalla paura della morte che, a mio avviso, potrebbe esistere come modalità fisiologica, accanto alle numerose altre che impieghiamo, in assenza del tratto di predisposizione genetica e dell’amplificazione dei suoi effetti determinata dalla compulsione.

[5] Freud Sigmund, Op. Cit.

[6] Fatta questa affermazione, nel saggio citato, Freud propone degli esempi. Gli esempi, però, illustrano l’esistenza di un atteggiamento ossessivo in varie esperienze slegate dalle circostanze specifiche, ma non spiegano come abbia operato il presunto meccanismo di generalizzazione.

[7] Stimoli esterni ma verosimilmente anche interni, come nell’evocazione generata dal ricordo e dal pensiero.