IL MIGLIOR TRATTAMENTO DEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO

 

 

(PRIMA PARTE)

 

 

Il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD) [F42.8 (DSM-IV-TR); 300.3 (ICD-10)], con sintomi quali pensieri persistenti che invadono la mente (ossessioni) ed attività ripetitive coatte (compulsioni), condiziona spesso gravemente la vita delle persone affette e costituisce un difficile banco di prova per la psichiatria. Tuttavia, oggi è lecito nutrire speranze circa la possibilità di giungere a terapie più efficaci di quelle attualmente disponibili, grazie ad una migliore conoscenza della sua eziopatogenesi (si vedano: Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo e Note e Notizie 02-02-08 Fenotipo ossessivo-compulsivo).

Cercando di fare il punto delle conoscenze, sia per ciò che riguarda i progressi della ricerca, sia per ciò che concerne le modalità terapeutiche, i soci di “Brain, Mind & Life Italia” hanno tenuto un incontro nel corso del quale il presidente, Giuseppe Perrella, ha ripercorso alcune tappe del suo studio di questo disturbo, attraverso una ricostruzione narrativa che ha attratto l’attenzione dei presenti. Vi proponiamo qui la trascrizione della prima parte della sua esposizione.

  

“Da studente interno dell’Istituto di Clinica Psichiatrica della mia facoltà di Medicina e Chirurgia, quasi trent’anni or sono, mi resi conto che le persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo (OCD) dovevano fare fronte ad una realtà mentale diversa e non comparabile con le “difese ossessive” adottate da pazienti che vedevo nel reparto di emodialisi o in altre consulenze internistiche. Questi ultimi, infatti, spesso impiegavano pratiche ripetitive o addirittura rituali per allontanare il pensiero dalle conseguenze più temibili del proprio stato e, in ultima analisi, dalla paura della morte, ma nessuno riferiva di sentire  l’impulso a porre in atto quei comportamenti come ineludibile, coercitivo ed estraneo, così come lo descrivevano gli affetti da OCD che avevo visto nel nostro ambulatorio.

Lo studio del paziente allora si basava sul riconoscimento di tratti in grado di consentire l’attribuzione ad una casella nosografica, che in molti casi appariva più simile ad uno stereotipo antropologico che ad una sindrome medica. Mi resi conto, allora, che la diagnostica basata sulle caratteristiche di personalità non mi sarebbe stata di aiuto in quei casi e, quando mi imbattei in un giovane gravemente afflitto dal disturbo ma la cui personalità poteva collocarsi all’estremo opposto di quella ossessiva nella gamma tipica della semeiotica di impostazione psicoanalitica, decisi che fosse necessario cambiare impostazione e seguire una via che mi avrebbe condotto a conoscere e capire di più.  Scelsi di valutare tre aspetti per orientarmi nei casi che non mi apparivano chiari: 1) il grado di rinunciabilità dei sintomi, 2) il loro ruolo nell’economia psichica e 3) il livello di coerenza con la realtà rappresentata nella coscienza del soggetto.

Sapevo bene che una tale valutazione doveva fare i conti con il grado di consapevolezza della persona, con la sua capacità e disponibilità ad assumere una posizione critica suggerita dall’esterno per l’esercizio della facoltà di giudizio verso i propri contenuti psichici, e sapevo che una simile disposizione non è comune e che, pur quando posseduta, richiede una buona dose di fiducia nell’interlocutore per manifestarsi. Per questo motivo ritenevo che la condizione ideale per studiare questi aspetti non fosse quella di brevi “colloqui-test” in una cornice istituzionale, che condizionava tempi e modi del rapporto medico/paziente; e di ciò ebbi conferma sia dall’accertamento di alcuni casi di OCD, sia dal rilievo di alcune diagnosi erronee di “nevrosi ossessiva”, che mi capitò di fare abbastanza agevolmente nella cerchia di amici e conoscenti che avevo messo al corrente delle mie idee.

In breve, mi convinsi che la tendenza ad essere meticolosi, pignoli, ostinati, avari, prudenti, ripetitivi, formali e superstiziosi di alcuni, non sarebbe mai sfociata nella sofferenza di un OCD per effetto di uno scompenso, semplicemente perché le ragioni di quell’atteggiamento mentale e di quello stile comportamentale erano diverse da quelle che imponevano attraverso pensieri intrusivi una condotta quasi irrinunciabile e spesso avvertita come estranea dagli stessi pazienti. Ritenni che, nel primo caso, generiche ragioni culturali e modelli sociali avessero trovato un terreno fertile nelle caratteristiche psichiche di fondo, determinate dai quei molteplici fattori che agiscono nello sviluppo e nell’evoluzione di ciascuno, creando la vasta gamma fisiologica di stili mentali che è possibile osservare nella famiglia umana. Al contrario, nel secondo caso, ossia quello dei “veri” affetti da OCD, ritenni che operasse una causa ben definita.

Quando esposi il mio punto di vista ad uno dei miei professori, riferendo il caso di un amico senza i tratti più caratteristici della personalità ossessiva, ma gravemente condizionato dal disturbo, mi sentii dire che probabilmente costui era psicotico e, quando obiettai che non v’era in quel ragazzo alcun segno o sintomo di psicosi attuale o latente, mi fu risposto che doveva trattarsi di un “caso particolare”.

Di “casi particolari” ne avrei visti molti negli anni successivi e mi sarei convinto che il presunto valore simbolico dei sintomi non avesse alcuna utilità diagnostica o terapeutica, non avendo quelle manifestazioni un’origine simile a quella della sintomatologia isterica. A mio avviso, le costruzioni interpretative basate su una pretesa ermeneutica del significante espresso dall’inconscio, quando condivise dal paziente, sarebbero al più potute tornare utili all’alleanza terapeutica in un terreno di “confabulazione” comune (si veda: Giuseppe Perrella, “Osservazioni su casi di nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni 1981-1984 e discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005).

Solo con lo sviluppo delle nuove metodiche di studio del sistema nervoso centrale è stato possibile accertare un alterato funzionamento cerebrale in persone diagnosticate di OCD, e tempo è trascorso prima che questo alterato funzionamento fosse messo in relazione con tratti genetici, nonostante fosse già noto da tempo che il grado di concordanza fra gemelli monozigoti fosse molto più elevato di quello rilevato fra dizigoti. […]

 

[continua]

 

La registrazione è stata trascritta da Isabella Floriani

BM&L-Ottobre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE TRASCRITTA]