IL MIGLIOR TRATTAMENTO
DEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
(TERZA PARTE)
Proseguiamo nella pubblicazione della trascrizione dell’intervento del Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze all’incontro dei soci di “Brain, Mind & Life Italia”, dedicato ai recenti sviluppi della ricerca sul disturbo ossessivo-compulsivo. La prime due parti sono state pubblicate le due scorse settimane (Note e Notizie 25-10-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – prima parte; Note e Notizie 01-11-08 Il miglior trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo – seconda parte).
Ricordo che ero
sorpreso dalla lettura personale che aveva dato alle mie parole e dalle sue
deduzioni terapeutiche: i “miei” circuiti avevano l’aspetto intricato e
impenetrabile che avevo visto nei preparati istologici e, pertanto, rimanevano
ben distanti nella mia mente da pensieri e azioni definite. In altre parole,
non immaginavo un particolare circuito attivo come diretto responsabile della
compulsione a lavarsi le mani diciotto volte dopo ogni contatto “contaminante”
e, magari, un altro specifico gruppo di neuroni che, attivato dalla volontà di giungere
in orario ad un incontro di lavoro, spegnesse quel circuito patologico. A mio
avviso il rapporto con il sostrato neurale non poteva essere così ingenuamente
diretto, perché il cervello ha un’organizzazione funzionale complessa, la cui
logica dipende da vincoli di natura biologica ancora in gran parte sconosciuti.
Tuttavia, poiché il suo approccio terapeutico era congruo con la patogenesi da
me ipotizzata e, almeno nel suo caso, si era rivelato efficace, provai a
formalizzarlo concettualmente e, successivamente, lo proposi ai colleghi e a
tutte le altre persone che per motivi personali o culturali mi apparissero
interessate.
In quel periodo,
un po’ in controtendenza rispetto a quanto accadeva negli USA e nei paesi
europei più strettamente collegati agli eventi culturali d’oltreoceano, c’era in
Italia un ritorno di interesse per il comportamentismo –da me aborrito, per la
verità- e molti psichiatri, anche fra coloro che esercitavano presso il nostro
istituto universitario, adottavano vari metodi terapeutici volti a correggere
il comportamento. Seppi, allora, che alcuni costringevano i propri pazienti
affetti da OCD a toccare suppellettili o parti presumibilmente sporche dei
servizi igienici, impedendo loro di lavarsi le mani per il resto della seduta.
Non mi meravigliò sentire che molti, dopo questa esperienza, lasciavano la
terapia.
Solo molto tempo
dopo, nel 1987, con la lettura dei primi studi del cervello di pazienti ossessivi
condotti con tomografia ad emissione di positroni (PET), venni a conoscenza del
lavoro che stava conducendo all’Università della California a Los Angeles Jeffrey
Schwartz; in proposito, devo dire che ho avuto modo di conoscere più a fondo le
idee sulla patogenesi e l’atteggiamento clinico di questo neuropsichiatra, solo
cinque anni or sono, quando ha pubblicato con Sharon Begley un volume esaustivo
in tal senso[1].
Schwartz con i
suoi colleghi, mediante la metodica di medicina nucleare, riteneva di aver
identificato negli affetti da OCD un difetto in un circuito che pone in
connessione la corteccia orbito-frontale, il giro del cingolo e i nuclei della
base. In condizioni normali, tale circuito avrebbe la funzione di generare
preoccupazione per un rischio reale ed indurre l’urgenza di agire per ridurre
la fonte dell’ansia; per questo è stato battezzato “worry circuit”. Secondo l’interpretazione
di Schwartz la causa dei sintomi risiederebbe nell’iperattivazione di un “rilevatore
d’errore”, sito nella corteccia orbito-frontale e nella parte anteriore del
giro del cingolo, che entrerebbe in un pattern di scarica ripetitiva, la
quale innescherebbe una potente sensazione di “qualcosa di erroneo”,
accompagnata dai tentativi compulsivi di correzione.
Visto che i risultati
del neuroimaging nucleare avevano portato Schwartz a formulare
un’ipotesi patogenetica che non mi sembrava tanto lontana dalla mia intuizione,
mi chiedevo se il suo orientamento in materia di terapia non seguisse una linea
simile a quella che mi era stata suggerita dal mio amico affetto dal disturbo.
[continua]
[Tipologia del testo: RELAZIONE ORALE
TRASCRITTA]
[1] Il Presidente si riferisce a: Schwartz Jeffrey &
Begley Sharon, The Mind and the Brain: Neuroplasticity and the Power of
Mental Forces. HarperCollins, Regan Books, New York 2003.