BRAIN MIND & LIFE: UCCELLI E CERVELLO
RICERCA NEGLI UCCELLI E NEUROSCIENZE
Quando a un
congresso di inizio anni Novanta furono mostrate le immagini di una gallina che
si comportava come una quaglia dopo un trapianto di circuiti nervosi, fummo in
molti a provare pena per il povero animale: l’immagine dei tentativi innaturali
e inefficaci di volare era di quelle difficili da dimenticare. Tuttavia,
proprio in quella circostanza, molti ricercatori parlarono del debito di
riconoscenza che il progresso neuroscientifico ha contratto nei confronti dei
pennuti, e noi citammo Fernando Nottebohm che, nel corso del decennio
precedente, aveva per primo dimostrato la neurogenesi in un cervello di animale
adulto, studiando il canto degli uccelli.
Introducendo
questa discussione tematica sui risultati della ricerca neuroscientifica
condotta su specie aviarie, che trae spunto dalla presentazione
dell’interessante lavoro che dal 1977 Irene Pepperberg conduce con un
pappagallo cenerino di nome Alex, dovremmo distinguere ciò che abbiamo imparato
sul sistema nervoso in generale da ciò che abbiamo appreso sugli uccelli
stessi, ma questo non sempre è facile, come ci si potrà rendere conto da questa
breve esposizione.
Gli studi pionieristici di Cerella (1977),
che Gerald Edelman è solito citare nelle sue lezioni, dimostrarono che i
piccioni dopo aver visto esemplari di foglie di una varietà di quercia (Q.
alba), erano in grado di estrarne un prototipo schematico “mentale” che
consentiva loro di riconoscere le foglie di vari tipi di quercia (fino a 40) e
di distinguerle da quelle di altri alberi. Questa capacità fu indagata da
Herrnstein -uno studioso che si era già occupato dei “concetti visivi dei
piccioni” (1964)- il quale dimostrò che questi uccelli sono in grado di formare dei prototipi anche da
immagini riproducenti acqua, donne, alberi e pesci (1982). Cerella, Herrnstein
ed Edelman chiamano questa abilità generalizzazione, noi preferiamo
descriverla come capacità
di formare ed utilizzare per il riconoscimento memorie tipologiche che
includono forme isomorfe o varianti di un tema strutturale paradigmatico.
Ciò che colpisce,
è che questi volatili sono in grado di operare delle distinzioni sulla base di
criteri che corrispondono a quelli impiegati dall’intelligenza umana per la
costruzione di classi, ovvero per la classificazione.
Un altro
straordinario filone di studi riguarda le capacità aritmetiche: vari uccelli
hanno mostrato la capacità di distinguere e riconoscere gli insiemi di bassa
numerosità sulla base di un meccanismo operante anche nel cervello dei
mammiferi.
La maggior parte
dei tassonomisti concorda nel riconoscere l’esistenza di una trentina di ordini
di uccelli, per un totale di circa 8500 specie viventi, delle quali all’incirca
la metà si classifica nel sottordine degli Oscini, ossia degli uccelli canori,
parte dell’Ordine dei Passeriformi. E’ noto che nelle specie più comuni il
canto è caratteristica del maschio e serve ad attrarre la femmina, ma svolge
anche altre funzioni quali la segnalazione della presenza ai vicini e
l’affermazione di diritti su un territorio di riproduzione.
Il canto degli
uccelli ha delle caratteristiche strutturali (unità minima, frase, canzone) e
fisiologiche (sequenze cerebrali ed esecuzione vocale) in comune con il
linguaggio verbale umano, pertanto il suo studio consente di acquisire dati per
la costruzione di modelli elementari o schematici dei processi alla base della
nostra comunicazione (Note
e Notizie 05-02-05 Scoperte negli uccelli unità minime per lunghe memorie).
Come prima
accennato, proprio studiando il canto degli uccelli, Fernando Nottebohm
dimostrava per la prima volta un fenomeno di neurogenesi nel cervello di un
vertebrato adulto: evidenziò e fotografò al microscopio nuovi neuroni in
migrazione, prima lungo fibre astrocitarie radiali -come i neuroblasti durante
lo sviluppo- e poi attraverso il proencefalo in tutto il cervello. Nottebohm
dimostrò anche che i nuovi neuroni andavano ad occupare posti specifici nei
circuiti necessari all’apprendimento del canto ed ipotizzò che la comprensione
dei meccanismi di espressione dei geni che regolano questi processi, potesse
condurre a terapie delle malattie neurodegenerative che colpiscono il cervello
umano (Science 225, 4666, 7 settembre 1984;
Nature 335, 6188, 22 settembre 1988).
Oltre che per la
loro dimostrata appartenenza filogenetica ai Rettili, gli uccelli sono
straordinari da molti punti di vista, basti pensare alla longevità: un canarino
pesa quanto un topolino ma vive dieci volte di più, alcuni pappagalli in Sud
America hanno costituito, per gli storici, traccia del passaggio degli Spagnoli
risalente a quasi cent’anni prima per le parole che questi erano in grado di
ripetere. Un altro aspetto affascinante è dato dalla capacità di alcune specie
di ritornare al proprio nido o alla terra di origine da luoghi
straordinariamente lontani. Per secoli i piccioni viaggiatori hanno costituito
il più veloce sistema di telecomunicazione in ambito umano: la stessa agenzia
Reuters, ai suoi albori, affidava le notizie alle ali di impagabili
collaboratori pennuti. Ancora nel 1850, si legge nella storia di questa
agenzia, mancando il collegamento telegrafico fra Aquisgrana e Bruxelles, le
quotazioni del mercato finanziario erano trasmesse da uno stormo di 40
piccioni. Le basi neurofisiologiche di questa straordinaria abilità sono
oggetto di studio e di interessanti nuove acquisizioni (Note e Notizie 14-01-05 Un segreto
tra becco e cervello).
Lo studio del
fenomeno della migrazione, i cui fondamenti neurobiologici sono ormai
accertati, continua a fornire nuove nozioni e sorprese rilevanti (Note e Notizie 29-10-05 Un secondo
meccanismo negli uccelli migratori).
Veniamo ora
all’occasione che ha motivato questo incontro di aggiornamento, ossia la
presentazione a Firenze delle ricerche di Irene Pepperberg.
Mi piace notare
che questa studiosa, docente all’Università di Tucson in Arizona, proviene
culturalmente dalla chimica teorica ed ha cominciato ad occuparsi di capacità
cognitive degli uccelli per diletto, incuriosita dagli studi sulle abilità di
comunicazione dei primati. La Pepperberg notava che questi ultimi, più
intelligenti degli uccelli ma privi di parola, richiedevano che si insegnasse
loro ad usare lettere da ordinare su lavagne magnetiche per comporre piccole
frasi di senso, oppure gli si insegnassero delle semìe sostitutive come il
linguaggio dei gesti dei sordomuti. In quegli anni in tutto il mondo si parlava
di due scimpanzé: Sarah, la scimmia di David Premack, e Washoe, che i coniugi
Gardner avevano allevato con la cura di un figlio. La Pepperberg fu attratta
dall’idea di poter utilizzare la capacità dei pappagalli di ripetere
spontaneamente parole, per indagare le ulteriori possibilità del substrato
neurale che rende questo fenomeno possibile.
La specie cui
appartiene Alex può raggiungere i sessant’anni, per cui il suo cervello all’età
di 13 mesi, quando ha avuto inizio l’addestramento, era come quello di un
bambino in età pre-scolare. Oggi il pappagallo della Pepperberg è in grado di
identificare, chiedere e descrivere oltre cento oggetti con un’accuratezza
stimata intorno all’80%. Per dare un’idea di queste abilità, chiudiamo questa
scheda introduttiva con la trascrizione della registrazione di un breve
dialogo.
DIALOGO FRA ALEX E IRENE
La ricercatrice
accosta al pappagallo un ampio vassoio bianco su cui sono disposti alla rinfusa
palline di lana blu e verde, quattro dadi blu e quattro verdi.
IRENE – Bene Alex, ecco il tuo vassoio. Vuoi dirmi quanti sono i dadi blu?
ALEX – Dadi.
IRENE – Certo, dadi … Quanti sono quelli blu?
ALEX – Quattro.
IRENE – Giusto. Vuoi il dado?
ALEX – Voglio una noce.
IRENE – Okay, eccoti una noce. (Irene aspetta mentre Alex mangia la noce e, quando sembra
abbia finito, riprende) Ora, sai
dirmi quante sono le palline di lana verde?
ALEX – Sei.
IRENE – Bravo.
Nicole Cardon & Diane Richmond