IL SESSO DEL CERVELLO:
MITI E REALTA’
O Zeus, che male
subdolo per gli uomini
alla luce del
sole hai collocato: le donne!
[Euripide, Ippolito, v.
616]
[Freud, Opere, XI, p. 218,
Boringhieri]
INTRODUZIONE.
Qualche millennio di cultura che ha
avuto gli uomini come soggetti prevalenti e talora esclusivi nella creazione
dei modelli umani, ha prodotto strutture e forme antropologiche squilibrate in
favore dell’identità maschile, difficili da riequilibrare nel giro di pochi
decenni. Il profondo radicamento culturale, come spesso accade, ha determinato
la suggestione di una realtà naturale. E’ noto che gli antichi ritenevano che
le lingue, come il Greco e l’Ebraico, non fossero invenzione umana e si
chiedevano se un bambino, allevato senza mai sentire parole, avesse
spontaneamente parlato la lingua greca o quella ebraica. Come era accaduto per
la lingua, considerata una proprietà innata dell’animo umano, così si è creduto
alla naturale inferiorità della donna, misconoscendo per secoli la
responsabilità del ruolo culturale che le veniva imposto.
La remota origine
della prevalenza maschile in un mondo in cui avevano un ruolo determinante la
maggiore forza fisica e la disponibilità data dall’assenza del vincolo
biologico della gestazione e dell’allattamento, si è progressivamente ridotta
nel tempo dando luogo ad una asimmetria sempre più culturale, artificiale ed
artificiosa.
Le donne, male
subdolo per Euripide ed ancora enigmatiche per Freud, diventando soggetto della
cultura, hanno dissolto le ombre dell’ignoranza creata dalla miriade di
condizionamenti del pensiero che si sono espressi in Oriente come in Occidente
nei ruoli sociali, nelle forme dell’arte, del costume e dell’istruzione. Le
società sono state organizzate -e in larga misura lo sono tuttora- sulla base
di un’implicita priorità maschile, con le rare, antiche e poco documentate
eccezioni delle società matriarcali, dal cui novero è opportuno escludere le
forme letterarie in cui si è trasmesso il mito, tutto maschile, delle amazzoni.
Attualmente,
negli strati sociali più colti del cosiddetto mondo occidentale, anche per
effetto dell’azione dei movimenti delle donne, sia nelle forme più
ideologizzate del femminismo degli esordi, sia nella progressiva penetrazione
culturale di una nuova weltanschauung, si è determinata una tendenza di maniera
a concedere una certa superiorità a quel sesso, cui soltanto un secolo prima si
attribuiva la qualità di “gentile” nelle conversazioni da salotto e l’epiteto
di “inferiore” nel gabinetto craniometrico.
Forse anche per
questo motivo la dichiarazione di Lawrence Summers, rettore dell’Università di
Harvard, secondo cui il basso numero di donne nel campo della scienza
dipenderebbe dalla struttura del cervello femminile, ha destato così tanto
scalpore che, cinque mesi dopo, Larry Cahill ha aperto citando Summers il suo
articolo di review sulle differenze sessuali cerebrali (His brain, her brain, Scientific
American 292 (5), 22-29, 2005).
Noi lo citiamo, a
nostra volta, perché introduce bene due problemi che riguardano questo tipo di
ricerca: 1) la faciloneria con cui si tende a mettere in relazione
l’organizzazione funzionale cerebrale con comportamenti umani che dipendono da
numerosi fattori individuali e sociali; 2) l’influenza della propensione
partigiana da parte dei ricercatori o bias sessista (maschilista o
femminista) per tesi precostituite.
Senza addentrarci
nelle facili critiche alla dichiarazione del rettore di Harvard, con un
semplice esempio vogliamo evidenziare l’importanza dell’elemento culturale.
Uno di noi, al
primo anno di Università studiava con un collega il quale aveva due sorelle
laureate in matematica. Una di esse, già assistente presso la sua facoltà,
riferiva che le donne iscritte erano più del 60% ed erano le più brave. Quello
stesso anno, in quello stesso Ateneo, si iscrisse una sola ragazza alla facoltà
di ingegneria. In Italia, per comune convenzione, l’ingegneria si considera
facoltà a sé stante e, per questo, non sarebbe venuto in mente a nessuno di
fare la media fra l’affluenza ad una facoltà che consente l’insegnamento,
tradizionalmente preferito dalle donne, ed un’altra che prepara ad una
professione considerata in Italia fino a qualche tempo fa esclusivamente
maschile. Negli Stati Uniti, in generale, e nel discorso di Summers in
particolare, nel campo “scienza” sono incluse, con la matematica, la fisica, le
scienze biomediche, le scienze naturali, le scienze ambientali, anche le
discipline tecniche, tecnologiche e informatiche.
VERE
DIFFERENZE. Le valutazioni circa le
differenze che riguardano il cervello viscerale, sotto la diretta influenza
degli ormoni sessuali, rimangono le più affidabili in quanto parte di un
sistema più semplice e meglio conosciuto. Seymour Levine, già negli anni
Sessanta, aveva dimostrato l’influenza degli ormoni sessuali sull’ipotalamo dei
roditori nello sviluppo dei comportamenti riproduttivi legati al genere:
accanto ad uno stato neurovegetativo simile nei due sessi, le femmine sviluppavano
l’inarcamento della schiena ed il sollevamento delle natiche, mentre i maschi
la sequenza motoria della monta.
In ambito umano, fra
le scuole più autorevoli, quella di Doreen Kimura ha fornito dei risultati
difficilmente contestabili circa differenze di prestazione in precisi compiti
cognitivi. Ecco in sintesi i risultati:
Le donne
ottengono risultati migliori nelle prove visive di velocità percettiva,
gli
uomini nelle prove che richiedono la rotazione mentale di oggetti
tridimensionali,
le donne
ricordano meglio la collocazione di un oggetto in un contesto complesso,
gli
uomini la posizione che avranno dei fori su un foglio piegato quando lo si
dispieghi,
le donne
prevalgono nell’elencazione di oggetti di uno stesso colore e test simili,
gli
uomini sono più precisi nel tiro al bersaglio manuale con le freccette e
simili,
le donne sono più
efficienti nel collocare con precisione piccoli pioli nei loro fori,
gli
uomini sono più bravi nel rintracciare una forma in un puzzle complesso,
le donne
prevalgono nel calcolo aritmetico (es.: 2 (15 + 3) + 12 – 15/3 = 43)
gli
uomini nel ragionamento matematico (es.: se il 60% dei semi è buono quanti ne
occorrono
per 660 piante?)
(vedi Doreen Kimura, Sex Differences in the Brain. Scientific American 267, (3), 80-87, 1992).
E’ interessante
notare che la parte ancora attuale e valida del contributo di questa
ricercatrice e della sua scuola, riguarda la differenza nelle prestazioni e non
il rapporto morfologia / fisiologia cerebrale, che è molto più problematico. Ad
esempio, in alcuni lavori, su una base neurologica anatomo-clinica o sulla base
di reperti ottenuti mediante tecniche di neuroimmagine funzionale, sono state
rilevate differenze nei due sessi nella comparsa di sindromi afasiche: negli
uomini i sintomi comparivano più spesso per lesioni delle aree posteriori,
nelle donne più spesso per lesioni anteriori. Ma questi dati, rilevati su
piccoli numeri e solo parzialmente confermati, non sembrano riflettere una
dicotomia di funzione fra il cervello della donna e quello dell’uomo. In
proposito si deve notare che, sebbene nella massima parte dei casi la patologia
avesse origine vascolare, le ricerche non erano accompagnate da un adeguato
studio delle differenze cerebrovascolari nei due sessi e nei singoli pazienti.
Negli ultimi
decenni si è indagata soprattutto la differenza di genere nelle strutture del
neoencefalo e, con il prevalere della cultura del determinismo genetico, si
sono cercate differenze legate al sesso cromosomico nelle prestazioni
cognitive, tentando di integrare i risultati con i dati anatomo-clinici su cui
si era prevalentemente basata la neuropsicologia nelle epoche precedenti. Con
l’affinamento delle tecniche di neuroimmagine (RMN, PET, SPECT e, poi, RMF) si
sono cercati i correlati morfo-funzionali delle differenze nella specie umana
in vivo e, con lo sviluppo dei sistemi computerizzati che hanno consentito lo
studio delle prestazioni psico-neuromotorie insieme con il rilievo dei
potenziali elettrici cognitivi corticali (P300, N400, ecc.), sono state indagate
altre differenze fra uomini e donne.
Molti studi hanno
rilevato differenze sessuali in aree del cervello messe in relazione con
linguaggio, memoria, emozioni, vista, udito ed orientamento. Un limite comune a
molti di questi lavori è dato dall’essere condotti spesso su piccoli numeri, in
campioni scarsamente o solo apparentemente omogenei e quindi di bassa
significatività statistica.
In una ricerca,
assurta in breve tempo al rango di “lavoro classico”, Jill M. Goldstein ei suoi
colleghi della Harvard Medical School hanno misurato il volume relativo (= volume assoluto diviso volume complessivo
dell’encefalo) di una selezione di aree della corteccia cerebrale, riscontrando
differenze fra i due sessi abbastanza definite e costanti. Questi autori si sono
astenuti dall’azzardare ipotesi su differenze cognitive derivanti da questi
rilievi (Jill M.
Goldstein et al., in Cerebral Cortex 11 (6), 490-497, 2001).
Sandra Witelson
ha rilevato, con i suoi collaboratori, una maggiore densità di neuroni in due dei sei strati della corteccia temporale
femminile, in aree collegate con funzioni linguistiche; simili riscontri sono
stati riferiti per il lobo frontale. Sulla base di questi dati e di altri
simili, come la maggiore densità neuronica delle aree acustiche, alcuni hanno spiegato
i migliori risultati delle donne nelle prove di abilità verbale (v. Larry Cahill, cit., Sci Am.
2005).
In proposito
esprimiamo un dubbio critico, perché in molti casi la densità neuronica si è
rivelata un criterio infido per stabilire il grado di attività e di efficienza
funzionale. Come abbiamo avuto modo di notare a proposito del cervello di
Einstein, che presentava una concentrazione di neuroni inferiore alla media, la
glia potrebbe giocare un ruolo nelle funzioni mentali più importante di quanto
si sia ritenuto finora.
Un altro tipo di
studi è quello basato sull’analisi comparata del
comportamento, che generalmente consiste nel confronto con primati sub-umani.
Fra i piccoli di
cercopiteco, i maschi mostravano una preferenza per giocattoli ritenuti “da
maschio” nella cultura umana, quali una palla o un’automobilina, mentre le
femmine preferivano piccole bambole o pentoline, come le bambine.
Anche in questo
caso, numeri, costruzione del campione e criteri adottati nel giudizio delle
preferenze, lasciano molti dubbi sulla significatività dei risultati.
Le differenze fra
i sessi nella risposta allo stress sono meglio studiate e conosciute, tuttavia,
anche in questo ambito sono state avanzate ipotesi quanto meno discutibili. Ad
esempio, alcuni autori, rilevando un aumento di spine dendritiche nel maschio a
fronte di una diminuzione nella femmina, per effetto dello stress, ne hanno
desunto che lo stress faciliterebbe l’apprendimento nel maschio e lo
ostacolerebbe nella femmina. Questa affermazione, a parte l’ipersemplificazione
“spina dendritica = apprendimento”, entra in contrasto con quanto risulta dalle
ricerche precedenti sullo stress. Infatti, una notevole mole di studi (basti
pensare a quelli classici della scuola di Gary-Aston sulle scimmie) ha dimostrato
che i bassi livelli degli ormoni dello stress come la noradrenalina (condizione
che non corrisponde allo stress in senso stretto) è in grado di migliorare le
prestazioni cognitive indipendentemente dal sesso; dosi crescenti peggiorano le
attività della working memory, e livelli elevati di cortisolo (corrispondenti
allo stato di stress vero e proprio) compromettono prestazioni cognitive ed
apprendimento in entrambi i sessi (v. Douglas Bremner, Does Stress Damage the Brain?
Norton, New York 2002, per le
rassegne sulle lesioni da stress si veda anche Giuseppe Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da
Stress (PTSD). Un contributo clinico. Dipartimento di Neuroscienze,
Università Federico II, Napoli 2005).
Le differenze
sessuali nella risposta cerebrale allo stress e, conseguentemente, nelle
lesioni (sono colpite le aree più attive) sono più marcate nei ratti che nei
primati, ovvero la differenza è più netta ed evidente in un encefalo
filogeneticamente meno evoluto. Nei ratti, infatti, si osserva con una certa
costanza una migliore risposta allo stress sperimentale acuto nei maschi,
viceversa le femmine rispondono meglio agli stimoli stressanti ripetuti che
simulano lo stress cronico. Da un punto di vista istopatologico l’ippocampo dei
maschi presenta minori lesioni per lo stress acuto, quello delle femmine minori
danni per lo stress cronico.
Questa differenza non è trasferibile alla realtà umana, in cui la complessità neoencefalica gioca un ruolo importante nell’elaborazione individuale, relazionale e sociale dello stress. Volendo ugualmente tentare un accostamento in base al sesso, si rileva un dato in netto contrasto: la depressione da stress cronico, conseguente a danno ippocampale, ha una incidenza maggiore nella donna (Bremner e coll., Hippocampal volume reduction in major depression. American Journal of Psychiatry 157, 115-117, 2000).
Una dicotomia
legata al sesso che sembra trovare corrispondenza fra realtà animale ed umana
riguarda la neurobiologia molecolare dei sistemi di segnalazione. Un esempio è
dato da una ricerca condotta di recente da Michelle Jones e Irwin Lucki, che ha mostrato differenze sessuali nella
regolazione della trasmissione serotoninergica nell’animale, coerenti con i
dati di osservazione clinica ed epidemiologica. Come la femmina del topo, la
donna presenta una regolazione della serotonina ad un livello più alto, accanto
ad una maggiore vulnerabilità allo svuotamento dei depositi neuronici di questo
neurotrasmettitore (Note
e Notizie 28-05-05, Differenze fra sessi per serotonina e depressione).
BREVE
DISCUSSIONE. Fra i sei punti
dell’efficace schematizzazione di Richmond e Poggi (Note e Notizie 01-10-05, Sesso e
differenze cerebrali) ci piace
sottolineare l’importanza del punto “5” -in cui si dice che non tutti i
cervelli sono organizzati allo stesso modo- perché sembra che troppo spesso se
ne dimentichino coloro che studiano le differenze cerebrali legate al sesso nel
cervello umano. Per avere un’idea di queste variazioni si possono consultare
gli scritti dei ricercatori impegnati in quell’ardua ma utilissima impresa
internazionale che si chiama “Brain Mapping”.
Chiunque abbia
esaminato cervelli in corso di autopsia, ha avuto modo di rendersi conto di
quanto sia difficile riportare le schematizzazioni dell’andamento delle
circonvoluzioni cerebrali a quanto si osserva dal vero. Le pliche di
complicazione, ad esempio, sono sovente di dimensioni maggiori dei giri
che canonicamente dovrebbero prevalere, alterando i punti di riferimento che
permettono di orientarsi per trovare la corrispondenza con le aree di mappe
anatomiche di riferimento come quella di Brodmann. Può accadere che, invece di
un tipico giro angolare come quello che si vede sulle tavole dei trattati
di anatomia, se ne trovino tre: nessuno esattamente nel luogo atteso e con la
forma prevista. In una simile evenienza, non solo si ha difficoltà
nell’attribuire il ruolo fisiologico che si ritiene abbia il giro angolare ad
uno dei tre sostituti, ma si perde la ripartizione tradizionale delle funzioni.
In altre parole, secondo gli schemi, i tre sostituti sarebbero giri anomali
appartenenti rispettivamente alla funzione uditiva (in continuità con l’area 41
temporale), a quella stereognosica parietale e a quella visiva occipitale.
Si comprende che
se un cervello così configurato -e non
si tratta di rare eccezioni- venga studiato in vivo con i metodi di
neuroimaging funzionale e con la superficiale attribuzione topografica di
funzioni che caratterizza molti neurologi, si rischia di giungere a conclusioni
lontane dalla realtà. Si può obiettare, però, che le grandi ripartizioni sono
conservate, ad esempio: comprensione della parola udita nelle aree posteriori
ed esecuzione verbale nelle aree anteriori. Lo stesso si può dire per le aree
visive primarie e secondarie sempre localizzate nella corteccia dell’area
calcarina occipitale (aree 17, 18 e 19 di Brodmann), per le rappresentazioni
somatotopiche sensitive e motorie, rispettivamente post-rolandica e
pre-rolandica.
E’ vero, ma
queste distinzioni sono sempre conservate in entrambi i sessi: pertanto, se gli
unici rapporti struttura-funzione costanti e quindi affidabili per le inferenze
interpretative riguardano tutti i cervelli, su quale base si interpretano le
differenze legate al sesso?
Di passaggio
vogliamo ricordare che le mappe topografiche del manto corticale o pallium,
come lo chiamavano gli anatomisti della grande tradizione, si basavano su un
criterio citoarchitettonico, cioè su una caratteristica morfologica che si
sperava corrispondesse ad una funzione specifica e delimitabile. Come è noto,
la speranza degli antichi morfologi fu delusa e la realtà del cervello propose
quella sfida che ancora oggi costantemente ritorna: comprendere i principi
costruttivi di questo inestricabile intreccio di forme e funzioni che creano un
sistema di sistemi.
Come si può, oggi
che sono state individuate per la funzione visiva 33 aree distribuite nella
corteccia cerebrale, i cui neuroni sono largamente sovrapposti con quelli che
si presume svolgano altre funzioni, desumere una differenza fisiologica sulla
base di un modello di fisiologia lobare, utile in neurologia clinica, ma
superato da decenni?
Questo problema
sarà affrontato da un’altra angolazione in una prossima nota ed è strettamente
correlato con gli interrogativi sollevati da quella che si è chiamata la “nuova
frenologia” (Note e Notizie
27-05-05, Una nuova frenologia con la risonanza magnetica funzionale?).
Se la semplice
osservazione della superficie encefalica ci suggerisce queste considerazioni,
un esame della struttura interna del cervello, anche a piccolo ingrandimento,
aggrava notevolmente le difficoltà interpretative basate su relazioni
morfologia-funzione. A chi non abbia la possibilità di osservare preparati
fissati ed inclusi in paraffina di sezioni cerebrali, si consiglia lo studio
delle immagini fotografiche dei preparati di quell’opera straordinaria che è l’Atlas of Human Brain di Mai, Assheuer e Paxinos (2nd Edition, Elsevier, Academic
Press 2004).
Faremo un solo
esempio fra i tanti che la morfologia suggerisce. Nelle sezioni ingrandite è
possibile notare una grande quantità di elementi strutturali (i ponti fra
nucleo caudato e lenticolare, i nuclei posti fra l’amigdala e le strutture
vicine, ecc.) costituiti da centinaia di migliaia di neuroni e milioni di
sinapsi: soltanto perché non hanno un nome e sono del tutto ignorati nei corsi
di formazione accademici, non se ne tiene conto nelle grossolane attribuzioni
di significato funzionale che caratterizzano molti studi basati su tecniche di
neuroimaging.
Un’altra comune
fonte di errori interpretativi è rappresentata dal determinismo ingenuo che
porta a considerare un’apparente differenza morfologica o funzionale del
cervello come la base di una differenza psichica che automaticamente si traduca
in caratteristiche psicologiche e si esprima nel comportamento. Questa
iper-semplificazione non tiene conto dei numerosi livelli intermedi, della loro
plasticità e continua evoluzione dovuta all’apprendimento, non tiene conto di
quel particolare fenomeno dell’intenzionalità cosciente cui diamo il nome di
volontà, e, in definitiva, non tiene conto della psicologia, individuale e
collettiva, nel suo rapporto di reciproca influenza e determinazione con la
cultura.
Tutto ciò di cui
si è fin qui discusso, può rientrare nel primo dei due punti problematici menzionati
nell’introduzione, per quanto riguarda il secondo, ovvero la propensione cosciente
o inconscia per tesi “sessiste”, ci limitiamo solo a riferire, a titolo di
curiosità, di un’indagine svolta da un giornalista scientifico americano.
Costui ha registrato, all’insaputa di ricercatori e ricercatrici impegnati
nello studio di differenze legate al sesso, frammenti di conversazioni in cui
costoro dichiaravano apertamente delle posizioni “sessiste” e, talvolta,
ammettevano di aver intrapreso le ricerche che stavano conducendo per dimostrare
una tesi preconcetta, presentata come “ragionevole evidenza”. Sebbene molti
degli studi condotti dai ricercatori
“spiati” fossero in doppio cieco e con perfetto rispetto delle regole
formali del protocollo, abbastanza curiosamente i risultati dei lavori
coincidevano con le idee preconcette (e fra loro contrapposte) di ciascun
ricercatore.
E’ banale, ma
forse non è superfluo, notare che riconoscere una differenza non implica
di necessità indicare una prevalenza e che la superiorità biologica si
misura in termini di sopravvivenza, e una specie che abbia un sesso di molto
superiore all’altro è destinata all’estinzione.
In conclusione
vogliamo notare che rilevanti differenze neurobiologiche esistono ed hanno
importanza in quanto tali, soprattutto per la sperimentazione dei farmaci e per
la terapia, indipendentemente da speculazioni circa il loro significato.
SUGGERIMENTI
BIBLIOGRAFICI. Per uno studio
aggiornato delle basi biologiche delle differenze cerebrali legate al sesso e dei
principali temi della ricerca in questo campo, si consiglia il numero monografico
di Nature Neuroscience presentato da Brian Fiske ed articolato in due reviews
scientifiche e un commentario sui problemi etici (The Sexual Brain, Nature
Neuroscience, Volume 7, Number 10, October 2004). L’aggiornamento è al luglio 2004, con molti
riferimenti bibliografici a lavori pubblicati nello stesso anno. Il testo, di
livello specialistico, si rivolge ai ricercatori. La monografia, presentata da
BM&L, è inclusa nel materiale scientifico per i soci del presente anno
associativo 2005.
Per avere una
visione complessiva delle ricerche sulle differenze sessuali encefaliche e
psichiche, idealmente completando il nostro excursus, è utile lettura il
recente Brain Gender di Melissa Hines,
Oxford University Press, 2004.
Per un quadro
riassuntivo dei principali studi degli ultimi quindici anni si consigliano,
oltre al già citato articolo di Doreen Kimura (disponibile anche in versione
italiana nel numero monografico de “Le Scienze”, Mente e Cervello 291,
novembre 1992) i seguenti saggi:
Deborah Blum, Sex on the Brain. Viking Press, 1997;
Theresa M.
Wizemann & Mary Lou-Pardue, Exploring The Biological Contributions to
Human Health: Does Sex Matter? National Academy Press, 2001;
David Geary, Male,
Female: The Evolution of Human Sex Differences. American Psychological Association,
1998.
Per un giudizio
sulla validità scientifica delle tesi e dei risultati delle ricerche proposti
in questi saggi, si raccomanda la lettura della già citata nota di Diane
Richmond e Ludovica R. Poggi: Sesso e differenze cerebrali, in Note e Notizie 01-10-05.
Nicole Cardon & Giuseppe Perrella