UNA NUOVA FRENOLOGIA
CON LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE?
Nel 1825 un famoso anatomico, Franz Joseph Gall, pubblicò la
sua teoria degli organi mentali, che chiamò Organologia, poi ribattezzata Frenologia
da Johan Kasper Spurzheim.
All’epoca, quel lavoro, sia perché enunciava in una forma
sistematica una visione materialistica della mente, sia per il prestigio di cui
godeva l’autore, esercitò una profonda influenza su molti eminenti
neurofisiologi, fra cui Paul Broca che per primo descrisse l’afasia motoria e
John Hughlings Jackson, noto per aver descritto la propagazione delle
contrazioni motorie in una forma circoscritta di epilessia, secondo una precisa
progressione che ancora oggi prende il nome di “marcia jacksoniana”.
L’Organologia di Gall postulava la ripartizione del cervello
in un grande numero di regioni, corrispondenti a veri e propri organi
mentali indipendenti fra loro e presenti fin dalla nascita. Ciascun organo
rappresentava la sede di quelle che la cultura del tempo riconosceva come tendenze,
istinti e facoltà, quali l’istinto di
riproduzione, l’amore per la propria progenie, il senso del linguaggio, la
memoria per cose e fatti, la memoria per le persone, il gusto per le risse e i
combattimenti, e così via. In tutto ventisette
nella prima versione e trentacinque nella seconda.
Oggi ci fa sorridere l’ingenuità dei pionieri della neurologia, ma corriamo il rischio di ripetere gli stessi errori concettuali, sostituendo alle “tendenze, istinti e facoltà” dei concetti che descrivono le attività mentali secondo la psicologia o la neurofisiologia e agli organi mentali le aree cerebrali che sembrano attive nel corso delle prove strumentali.
Un simile rischio, da alcuni soci di BM&L-Italia sempre
paventato, è divenuto particolarmente attuale negli studi di neuroimmagine
basati sulla risonanza magnetica funzionale (fMRI).
David Dobbs affronta la crescente controversia sul valore
degli studi di fisiologia cerebrale condotti mediante fMRI in un recente
articolo (David Dobbs, Fact or Phrenology? Scientific American Mind 16
(1), 24-31, 2005).
Dobbs tratta sia dei limiti tecnici della metodica che della
impostazione culturale sottostante molte di queste ricerche. Alla sua puntuale
e interessante analisi si può aggiungere che, molto di frequente, in questi studi
si adoperano criteri di super-semplificazione quanto meno dubbi.
Ad esempio, poiché l’amigdala svolge un ruolo importante
nella paura ci si comporta come se paura ed amigdala si identificassero del
tutto. Conseguentemente, in uno studio in cui agli stessi stimoli inducenti
spavento o timore il gruppo A risponde con una più bassa attivazione
dell’amigdala del gruppo B, si deduce che tutti coloro che appartengono alla
categoria di persone più vicina a quella del gruppo A dell’esperimento, nella
loro vita reale abbiano meno paura di quelli che rientrano nei criteri del
gruppo B.
Se pensiamo che l’insieme dei nuclei che costituiscono
l’amigdala è molto articolato e complesso, e ciascuna delle sue parti
interviene in condizioni come il mantenimento di stati cronici di depressione,
patologia da stress, risposta al dolore, reazioni nel corso di attività
sessuali, elaborazione di stimoli olfattivi, risposte aggressive, eccetera,
comprendiamo bene quanto aleatorio sia tale modo di procedere. Se poi
aggiungiamo che il substrato neurale dello stato emozionale che chiamiamo paura
include reti e circuiti presenti in molte altre aree corticali e subcorticali,
la rozzezza di un simile approccio risulta evidente.
Per fortuna, però, questo esempio ricalca lo schema di una
minoranza di lavori. Nella maggior parte dei casi si fanno concessioni alla
relatività dei risultati sulla base di riferimenti alla complessità delle
funzioni esplorate. Tuttavia, rimane nella maggior parte dei casi una
complessiva inadeguatezza metodologica.
Infatti, come spesso il nostro presidente ha sottolineato
nel corso delle attività didattiche rivolte ai soci, la questione centrale non
è “se” e “dove” una funzione sia localizzata, ma in “che cosa” consista questa
funzione in termini di anatomia e fisiologia cerebrale. Solo dopo aver definito
un quadro ipotetico scientificamente plausibile del correlato morfo-funzionale
di ciò che cerchiamo di studiare, potrà acquisire valore determinarne la
localizzazione.
(Il riferimento iniziale
è tratto da “Alfred Binet e la Frenologia”, relazione di Giuseppe Perrella al
seminario di BM&L “Il senso dei numeri”)