LA RICERCA DELLO SPIRITO NEL CERVELLO

 

(OTTAVA PARTE)

 

Sono state formulate critiche, anche aspre e radicali, ai lavori fin qui illustrati, ma tali obiezioni non riguardano in senso stretto il valore dei dati emersi ma, piuttosto, le interpretazioni e le conclusioni tratte dagli autori o da altri interpreti dei risultati.

Ad esempio, Beauregard interpreta gli esiti della sua sperimentazione come una prova evidente che gli stati mistici siano mediati da una rete ben distribuita nell’encefalo e, d’altra parte, sarebbe difficile sostenere l’esistenza di un singolo “God spot” in presenza di tanti distretti encefalici funzionanti; tuttavia, questa non è l’unica lettura possibile dell’attivazione contemporanea di varie aree. Allo stesso modo, si può dire che il significato fisiologico attribuito dagli autori dei lavori alle aree attive, può avere delle alternative. Pertanto, una riflessione critica consente di porsi problemi come quelli di seguito sintetizzati.

 

1) Non si dispone di banche-dati che consentano di escludere con certezza che i patterns di attivazione registrati con metodiche di neuroimaging siano, anche solo in parte, aspecifici.

 

2) Le caratteristiche specifiche di un’esperienza potrebbero consistere nel tipo di comunicazione esistente fra le aree e non essere riconducibili alle aree attive per sé.

 

3) Alcuni caratteri dell’esperienza potrebbero richiedere gruppi neuronici fissi e gruppi variabili, i primi legati ad uno specifico territorio dell’encefalo, e i secondi capaci di una funzione indipendente dalla localizzazione, ossia siti in aree diverse, ma svolgenti lo stesso compito.

 

4) Molte attività cerebrali si fondano su processi di brevissima durata ai quali sono “cieche” le tecniche attualmente in uso, se si dimostrasse che l’esperienza mistica nei suoi aspetti più caratterizzanti si basa su simili processi, gli studi condotti finora perderebbero ogni valore.

 

I problemi proposti ai punti “1” e “2” in forma analitica, rimandano alla più generica critica al modo corrente di interpretare i risultati ottenuti con metodiche di neuroimaging: si attribuisce una funzione ad un’area, come se il cervello fosse organizzato per moduli discreti monofunzionali, localizzati ciascuno in un definito territorio. A questa nuova tendenza localizzatrice, che è stata accostata all’ingenua organologia ottocentesca di Gall e Spurzheim[1], “Brain, Mind & Life” ha dedicato molta attenzione (si veda, ad esempio: Note e Notizie 27-05-05 Una nuova frenologia con la risonanza magnetica nucleare; Note e Notizie 07-10-06 Immagini funzionali del cervello degli adolescenti) e riservato severe critiche. In questa ottica critica, il neuropsicologo della Brown University Seth Horowitz si è così espresso riguardo al rilievo di aree attive durante un’esperienza mistica: “Tu elenchi un gruppo di luoghi nel cervello come se denominare qualcosa ti consentisse di comprenderla”[2]. Vincente Paquette, collaboratore di Beauregard nei due citati studi del cervello di 15 suore carmelitane in meditazione, non ha remore nel paragonare alla frenologia di quasi due secoli fa, la maniera in cui molti suoi colleghi tendono ad interpretare i risultati della risonanza magnetica funzionale (fMRI).

Alcuni critici sostengono che la “neuroscienza dello spirito” non potrà mai indagare lo specifico vissuto umano di una religione, perché tale specificità deriverebbe dal complesso di tutte le sue componenti e non consisterebbe nei processi mentali caratteristici di una singola pratica. Infatti, l’esperienza religiosa può cambiare la vita di una persona interessandone ogni aspetto, dal modo di concepire se stessi, al modo di rapportarsi agli altri in ogni circostanza: se si isola un singolo aspetto, ad esempio la generosità verso il prossimo, si troveranno correlati neurofunzionali che prescindono dai connotati di uno specifico credo, e sarebbero identici se l’atteggiamento generoso fosse originato dall’adesione ad un’organizzazione umanitaria, ad un partito politico o alle regole di un contesto culturale.

In risposta a questa critica alcuni ricercatori ritengono che si debba cercare di definire l’esperienza religiosa nel miglior modo possibile, individuando caratteri comuni a varie religioni ed elementi distintivi, e poi provando ad identificare basi neurobiologiche per tali caratteristiche.

A questo proposito si può osservare che alcune differenze neurofunzionali fra spiritualità buddista e cristiana, ossia le due maggiormente indagate, sono state individuate nel confronto fra gli stati meditativi[3] e, sebbene non vi sia accordo sull’interpretazione dei correlati neurobiologici[4], è possibile che presto venga un aiuto da nuovi studi che possono fornire altri elementi interpretativi. Il gruppo di Newberg, infatti, ha deciso di studiare il cervello di fedeli dell’islam e della religione ebraica, durante la preghiera, cercando di indagare gli aspetti caratteristici dell’attività encefalica durante varie espressioni religiose di queste due grandi esperienze monoteistiche[5]. Il confronto fra tutti i risultati potrebbe fornire una prima chiave interpretativa basata su somiglianze e differenze.

Davidson ritiene, invece, che gli sforzi di definizione dell’esperienza religiosa per comprenderne la base neurale non siano la via giusta da seguire, e propone una soluzione opposta […]

 

 [continua]

 

La nona parte de “La ricerca dello spirito nel cervello” sarà pubblicata la prossima settimana. Con l’ultima delle note su questo argomento, saranno forniti i riferimenti bibliografici delle fonti citate. Le autrici ringraziano il presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, perché il presente testo è tratto dalla sua discussione settimanale al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere.

 

Monica Lanfredini & Nicole Cardon

BM&L-Gennaio 2008

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 



[1] Franz Joseph Gall, famoso anatomista, pubblicò nel 1825 la sua teoria degli organi mentali, che chiamò Organologia; le sue tesi furono condivise da Johan Kasper Spurzheim, che ribattezzò questa localizzazione delle funzioni psichiche in presunti organi cerebrali, Frenologia. L’Organologia di Gall postulava la ripartizione del cervello in un grande numero di regioni, corrispondenti a veri e propri organi mentali, indipendenti fra loro e presenti fin dalla nascita. Ciascun organo costituiva la sede di quelle che la cultura del tempo riconosceva come tendenze, istinti e facoltà, quali l’istinto di riproduzione, l’amore per la propria progenie, il senso del linguaggio, la memoria per cose e fatti, la memoria per le persone, il gusto per le risse e i combattimenti, e così via; in tutto ventisette nella prima versione e trentacinque nella seconda. La frenologia giunse a ritenere che il particolare sviluppo di un organo cerebrale preposto ad un compito fosse ereditario e determinasse un’evidente deformazione cranica, da cui espressioni quali “ha il bernoccolo della matematica” o “è nato col bernoccolo del commercio”.

Il riferimento è tratto da “Alfred Binet e la Frenologia”, relazione di Giuseppe Perrella al seminario “Il senso dei numeri” (Società Nazionale di Neuroscienze BM&L, 2003).

[2] “You list a bunch of places in the brain as if naming something lets you understand it” in David Biello, Searching for God in the Brain., p. 44, Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.

[3] Si vuole riferirsi agli studi illustrati nelle note delle settimane precedenti.

[4] Beauregard riferisce che, in uno studio QEEG non ancora pubblicato, ha ricevuto sostanziali conferme di quanto riscontrato in precedenza nelle carmelitane in meditazione, rilevando onde delta e theta nelle stesse regioni prefrontali, parietali e temporali che costituivano lo schema fMRI della meditazione cattolica emersa nel suo studio precedente.  

[5] Il proposito di Newberg non è di facile attuazione, soprattutto per quanto riguarda i musulmani, che si sono rivelati più restii degli ebrei a sottoporsi ad indagine scientifica durante le manifestazioni della loro fede.