IMMAGINI FUNZIONALI DEL CERVELLO DEGLI ADOLESCENTI

 

 

Pico della Mirandola a quattordici anni intraprese lo studio del diritto canonico e diede inizio alla sua carriera di genio multiforme; Michelangelo, appena sedicenne, scolpì la “Madonna della Scala”; Velazquez diventò maestro nella corporazione dei pittori di Siviglia a diciotto anni; Alessandro Magno a diciannove conquistò la Grecia. Questi adolescenti famosi ci ricordano l’importanza della cultura e delle differenze individuali a tutte le età della vita, e nutrono le nostre perplessità nei confronti dello stereotipo di adolescente che molte pubblicazioni inglesi ed americane propongono in questi giorni nel divulgare i risultati della ricerca sulle peculiarità funzionali del cervello in età giovanile.

Le differenze di attivazione cerebrale rispetto all’età matura vengono sbrigativamente indicate come la causa di comportamenti appartenenti ad un tipo di teenager che, nella migliore delle ipotesi, viene accostato -con tanto di fotografie tratte da pellicole d’epoca- al James Dean di “Gioventù bruciata” (Rebel without a cause, 1955) e, nella peggiore, al più sfortunato ragazzo dei ghetti degradati e violenti. In alcune di tali pubblicazioni il “correlato funzionale” è implicitamente equiparato a “correlato causale”, il cui determinismo assoluto rispetto a un comportamento aggressivo, deviante e imprudente, non sembra essere messo minimamente in discussione. Dispiace vedere che questa tendenza sia riuscita ad influenzare, in parte, anche l’impostazione espressa in un recente articolo pubblicato da Scientific American MIND (The Teen Brain, Hard at Work. Vol 17, No 4, 20-25, 2006).

E’ noto che la differenziazione cerebrale continua dopo l’infanzia e si manifesta soprattutto con l’aumento della componente gliale encefalica nel processo di mielinizzazione.

Abgail Baird, che dirige il laboratorio di scienza dell’adolescenza della Vassar University di New York, e il suo allievo  Craig Bennet, hanno realizzato una mappa della sostanza bianca del cervello di studenti universitari del primo anno, con l’intento di studiarne le variazioni rispetto ad un gruppo di ricercatori in età post-dottorale.

Il riesame degli stessi volontari a sei mesi di distanza non ha mostrato differenze nel cervello degli adulti, mentre in quello degli adolescenti ha evidenziato cambiamenti rilevanti: la mielinizzazione era aumentata in corrispondenza dei lobi frontali e di altre quattro regioni encefaliche associate al controllo dello stato del corpo in relazione al contesto, e all’elaborazione di stimoli sensoriali ed emozionali. La professoressa Baird ha interpretato tali differenze come la base biologica di una difficoltà ad empatizzare degli adolescenti; ma, quando è stata intervistata da Kendall Powell di Nature, si è mostrata molto prudente nel sostenere la sua ipotesi (Kendall Powell, How does the teenage brain work? Nature 442, 865-867, 2006).

Altri studi hanno dimostrato che, nelle stesse condizioni, il cervello degli adolescenti presenta un’attivazione molto più accentuata degli adulti in varie strutture dei lobi frontali.

B. J. Casey, della Cornell University, ha misurato l’attività cerebrale in soggetti sottoposti all’esecuzione di una prova semplice e remunerati per la riuscita con una ricompensa piccola, media o grande, in vari esperimenti, per studiare l’effetto determinato dall’entità del premio.

 Le ricompense medie e grandi attivavano il nucleo accumbens (centro del “sistema a ricompensa”) negli adolescenti molto più che nei bambini e negli adulti; per converso, la delusione per la piccola ricompensa si traduceva in un calo di risposta dello stesso nucleo, di gran lunga maggiore nei ragazzi rispetto ai bambini ed alla persone in età più matura.

Il gruppo di Casey, come altri in precedenza (si veda l’ormai classico lavoro di Luna B. et al., Neuroimage 13, 786-793, 2001), ha rilevato nelle regioni frontali un pattern di attività più diffuso in età adolescenziale (Kendall Powell, How does the teenage brain work? Nature 442, 865-867, 2006). Interpretando tali risultati, i ricercatori sostengono che un sistema a ricompensa iperattivo associato ad aree per la pianificazione non ancora mature, possa fare di un adolescente “una creatura interamente diversa da un adulto” in circostanze quali quelle legate alla ricerca del piacere.

E’ lecito chiedersi: perché questa differenza non può semplicemente essere considerata la base biologica della naturale immaturità di chi cresce, a tutti nota e caratterizzata da millenni in ogni cultura?

La risposta è tanto semplice quanto impietosa: perché in tal caso le ricerche condotte mediante fMRI non avrebbero scoperto nulla.

Un’ultima osservazione riguarda tutti quegli studi in cui una differenza fra le sedi attivate per uno stesso compito è stata attribuita ad una diversità psichica in termini cognitivi ed affettivi: in alcuni casi i differenti patterns di attivazione, fra adolescenti ed adulti, potrebbero semplicemente riflettere una diversa morfologia dell’elaborazione e non un processo psichico diverso. C’è il rischio che si scambi il come per il cosa si elabora. In altre parole, la visualizzazione potrebbe, almeno in parte, esprimere le peculiarità di organizzazione e distribuzione dei sottoprocessi, in un cervello i cui rapidi cambiamenti non favoriscono l’ottimizzazione, il consolidamento e la ripartizione, al grado di economia ed efficienza che conosciamo per il cervello adulto.

 

Gli autori ringraziano Isabella Floriani per aver riassunto nella presente nota lo scritto inviato alla redazione del sito web.

 

Nicole Cardon & Giuseppe Perrella

BM&L-Ottobre 2006

www.brainmindlife.org