I NUOVI NEURONI SONO SALVATI DALL’APPRENDIMENTO

 

 

(PRIMA PARTE)

 

 

Una bella signora bionda dal sorriso accattivante, esponendo dal palco di un recente convegno i risultati dei suoi studi, ha trasmesso un po’ della sua fiducia e del suo entusiasmo all’uditorio medico in ascolto. E’ Tracey Shors, la ricercatrice che con Elizabeth Gould[1] per prima ha stabilito l’importanza dell’apprendimento per la sopravvivenza delle cellule nervose neoprodotte.

Fin dalla scoperta della neurogenesi nel cervello maturo dei mammiferi, i ricercatori hanno nutrito speranze circa la possibilità di sfruttare questo fenomeno naturale per compensare la perdita patologica o traumatica di neuroni, ma, ad oltre dieci anni di distanza, la conoscenza dei meccanismi molecolari e della fisiologia di questo processo presenta ancora molti lati oscuri, e la speranza di riuscire a guidare i neuroblasti nelle sedi del danno per rimpiazzare i neuroni perduti, non si è ancora tradotta in realtà.

Le aree anatomiche dove si ha la genesi di nuovi neuroni, quali il giro dentato dell’ippocampo, il bulbo olfattivo e le pareti dei ventricoli laterali, hanno mostrato peculiarità che le contraddistinguono: nel bulbo olfattivo il fine biologico primario sembra essere la conservazione, mediante la sostituzione di cellule perdute, del patrimonio cellulare necessario all’espletamento della funzione, mentre nell’ippocampo le nuove cellule sono aggiunte a quelle già presenti e sembrano avere un preciso ruolo nella formazione di nuove memorie (Note e Notizie 18-10-08 La neurogenesi continua ha ruoli diversi; Note e Notizie 21-02-09 Come i nuovi neuroni influenzano la codifica della memoria).

Le evidenze emerse dagli studi della Shors, e da quelli di innumerevoli gruppi di ricerca che lavorano in questo campo in tutto il mondo, dimostrano l’importanza dello stimolo cognitivo nel mantenere in vita le cellule nervose neoprodotte. In particolare, le ricerche più recenti hanno posto l’accento sul tipo di impegno più idoneo ed efficace in tal senso.

I dati preliminari ottenuti negli esperimenti con animali, supportano l’idea dell’efficacia dell’esercizio riabilitativo assistito da computer (CACR, da Computer Assisted Cognitive Rehabilitation) allo scopo di prolungare la sopravvivenza delle cellule generate nella vita adulta. E’ evidente che il trattamento con adeguati programmi di esercizio cognitivo non potrà ostacolare l’inesorabile declino dovuto alla progressione neurodegenerativa di malattie come quella di Alzheimer, ma vi sono fondati motivi per sperare che tali esercizi possano prolungare il periodo di conservata efficienza mentale in molte condizioni patologiche e migliorare le prestazioni nell’invecchiamento fisiologico[2].

Dalla sperimentazione animale è emersa una nozione rilevante: non tutti i tipi di apprendimento hanno lo stesso potenziale nel preservare le cellule nervose. Ad esempio, esercitare un topo a nuotare per raggiungere una piattaforma visibile in una piccola piscina – esperimento standard cui si sottopongono i roditori per vari scopi sperimentali – non aumenta la sopravvivenza dei nuovi neuroni. Allo stesso modo, si è rivelato inefficace l’addestramento di un animale a riconoscere la simultaneità di due stimoli, quali un tono acustico e un’induzione all’ammiccamento (battito di palpebra). Tracey Shors e colleghi della Rutgers University hanno prima ipotizzato e poi dimostrato che prove così semplici si basano su automatismi, e sono prive dello sforzo “mentale” che ha il potere di tenere in vita i nuovi neuroni (Tracey J. Shors, Saving New Brain Cells. Scientific American 300 (3), 40-49, 2009).

L’apprendimento di risposte di maggiore impegno, pur sempre basate sul paradigma sperimentale dell’apprendimento per condizionamento associativo dell’ammiccamento (eyeblink conditioning), è risultato in grado di prolungare la sopravvivenza delle cellule originate da neurogenesi recente. Inoltre, quanto maggiore era la difficoltà della prova, tanto più grande era la frazione di neuroni tenuti in vita. Curiosamente, è stato rilevato che i ratti più lenti nell’apprendere, ossia quelli che richiedevano più tempo e un maggior numero di sessioni della prova, salvavano più cellule neonate: questo dato sembra confermare l’importanza preminente dell’entità dello sforzo, rispetto al raggiungimento dell’obiettivo dell’addestramento. Nei ratti è stata rilevata una differenza sessuale: le femmine mostravano mediamente migliori prestazioni nell’apprendimento, con il riscontro di una frazione più alta di nuovi neuroni ritenuti nell’ippocampo (Dalla C., et al. Female rats learn trace memories better than male rats and consequentely retain a greater proportion of new neurons in their hippocampi. Proceedings of the National Academy of Science USA 106 (8), 2927-2932, 2009). Uno studio più analitico ha poi rivelato che le femmine fanno registrare risultati migliori nell’ammiccamento condizionato, nella risposta di sussulto potenziata dalla paura e in varie prove di condizionamento operante, mentre i maschi si sono rivelati più bravi in paradigmi sperimentali che comportano la risposta mediante la pressione di una leva, ed hanno mostrato maggiore efficienza o maggiore resistenza all’estinzione nell’apprendimento di risposte di avversione condizionate dal gusto (Dalla C. & Shors T. J. Sex differences in learning processes of classical and operant conditioning. Physiology & Behavior [Epub ahead of print], 9 March 2009).

L’importanza dello sforzo cognitivo dei roditori si può spiegare in vario modo, ma il gruppo della Rutgers University ha proposto e verificato sperimentalmente la seguente tesi: le prove che richiedono più risorse cognitive o un tempo più lungo per essere apprese, attivano più vigorosamente la rete neuronica ippocampale che include le cellule neonate, ed è proprio l’attivazione di questa rete la chiave del processo che protrae la sopravvivenza.

Questa tesi – definita teoria dalla Shors – si basa su evidenze emerse dal lavoro di molti ricercatori che, in precedenza, hanno dimostrato che prove quali quelle che implicano apprendimento, aumentano l’eccitabilità di alcune popolazioni dell’ippocampo rendendole di gran lunga più attive della norma: il grado di attivazione è strettamente correlato con l’efficienza nell’apprendimento da parte dell’animale.

Un altro aspetto rilevante è l’esistenza di una finestra temporale critica durante la quale l’apprendimento può salvare i nuovi neuroni. Nel ratto questo intervallo di tempo, secondo uno studio recente, è compreso fra i 7 e i 10 giorni: l’addestramento che precede il settimo giorno non risulta efficace, come quello che segue il decimo, quando la maggior parte delle cellule è morta o morente.

Questa finestra corrisponde alla fase di differenziazione delle nuove cellule nervose che sviluppano dendriti, con specifiche ramificazioni riceventi per neuroni di sistemi appartenenti ad altri territori cerebrali, ed assoni veicolanti messaggi prevalentemente diretti all’area CA3 dell’ippocampo. Proprio in questa fase di maturazione, le nuove cellule del giro dentato acquisiscono la capacità di rispondere ai neurotrasmettitori secondo le proprietà dei neuroni adulti di quella regione.

Queste osservazioni suggeriscono che gli elementi cellulari neoprodotti devono essere maturi e correttamente collegati all’interno della reti neuroniche, prima di poter rispondere all’apprendimento. Quando l’apprendimento mette alla prova le risorse dell’animale, i neuroni che prendono parte alle reti ippocampali, inclusi i nuovi, sono pienamente impegnati e, probabilmente, è proprio il reclutamento in questa rete ad alto regime di attività, a tenere in vita le cellule nervose generate di recente.

 

[continua]

 

Poiché le note di recensione che trattano argomenti collegati alla neurogenesi sono davvero numerose e interessanti, si invitano i visitatori a leggerle, cercandole nell’elenco delle nostre “Note e Notizie”. La bozza di questo testo è stata resa in buon italiano dalla dottoressa Isabella Floriani.

 

Nicole Cardon

BM&L-Marzo 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

 

 



[1] Elizabeth Gould, attualmente alla Princeton University e precedentemente alla Rockfeller University, è fra gli scopritori della neurogenesi post-natale nell’encefalo di mammiferi; nel 1999, collaborando con la Tracey, ha stabilito per la prima volta un collegamento fra la neurogenesi del giro dentato ippocampale e l’apprendimento. Tracey Shors è attualmente docente della Rutgers University, dove lavora presso il Center for Collaborative Neuroscience.

[2] Fin dalla scoperta della neurogenesi nel cervello di vertebrati adulti, a pochi anni dall’introduzione in Italia della CACR da parte di Luciano Lugeschi, Giuseppe Perrella ha ipotizzato l’azione di stimolo differenziativo dell’esercizio cognitivo sui nuovi neuroni, suggerendo l’esistenza di un processo simile a quello descritto da Fernando Nottebohm per la neurogenesi nel cervello degli uccelli durante l’apprendimento del canto. Un altro aspetto dei rapporti fra attività cognitiva, neurogenesi e sinaptogenesi, secondo noi soci di BM&L, dovrebbe essere tenuto da conto per le ricerche future: lo stimolo cognitivo in grado di ottenere effetti cerebrali, ha potenziali ripercussioni benefiche sulla fisiologia di tutto l’organismo, verosimilmente con un’azione positiva di ritorno sull’encefalo stesso. Un tale circolo virtuoso andrebbe indagato e, magari, i risultati potrebbero spiegare fenomeni come l’allungamento della vita e la migliore risposta alle malattie, in seguito a cambiamenti esistenziali capaci di stimolare neurogenesi, sinaptogenesi e sopravvivenza neuronica.