DIBATTITO
I NUOVI FARMACI
NELLA TERAPIA DEL DOLORE
luglio 2006
L’ultimo incontro del gruppo di
studio di farmacologia del dolore afferente all’area tematica di biochimica
e fisiopatologia del dolore di “Brain Mind & Life Italia” (si veda: Note e
Notizie 24-06-06 Dolore: nuovi farmaci e nuovi problemi) ha suscitato numerose osservazioni e spunti di riflessione nei
membri della Commissione Scientifica della Società, che hanno promosso un
dibattito esteso a tutti i soci interessati all’argomento.
Con LUDOVICA R. POGGI, che ha
rappresentato i componenti del gruppo di studio, hanno preso parte al dibattito:
NICOLE CARDON, ROBERTO COLONNA, GIUSEPPE PERRELLA, GIOVANNI ROSSI, DIANE
RICHMOND.
NICOLE CARDON – Ludovica ci ha presentato una
lunga lista di inibitori dei recettori della capsaicina come se fossero
molecole di consolidato impiego, fornendo, con grande dovizia di particolari,
dati tratti da studi farmacinetici, farmacodinamici e tossicologici. Gli
inibitori dei recettori della capsaicina dovrebbero ridurre alcuni tipi di
dolore infiammatorio, ma non è ancora bene definito il meccanismo dell’azione,
per cui il loro impiego deve considerarsi ancora empirico, sebbene si fondi su
una precisa interazione ligando-recettore.
GIUSEPPE PERRELLA – Il recettore della capsaicina,
sul quale Ludovica ha scritto nell’ottima nota sul TRPA1 (Note e Notizie 03-06-06 Dolore: TRPA1
come mediatore comune),
è un canale ionico attivato dai protoni e da temperature superiori ai 43°C. Un
ambiente tessutale ricco di sostanze che “protonano”, ossia che cedono
equivalenti H+ comportandosi chimicamente come acidi, è
caratterizzato da un’elevata attivazione di questo recettore. Uno dei motivi
per cui gli antagonisti del recettore della capsaicina sono giunti alla
sperimentazione clinica, è la loro dimostrata efficacia nel ridurre il dolore
causato nell’animale da esperimento dalle sostanze acide prodotte intorno alle
metastasi ossee o in altre condizioni di danno della struttura ossea di
mammiferi.
DIANE RICHMOND – Le grandi case farmaceutiche
sono impegnate in una competizione selvaggia per aggiudicarsi la quota di
mercato degli antagonisti del recettore della capsaicina, per questo hanno
messo in produzione e sottoposto a sperimentazione un gran numero di composti,
ma nel nostro giudizio non dobbiamo farci influenzare da questi eventi. Molti
elementi fanno pensare ad un ruolo ancillare dei recettori della capsaicina,
piuttosto che ad una partecipazione diretta al pain processing. E’
necessario precisarlo, a mio avviso.
LUDOVICA R. POGGI – Anche questa è un’ipotesi, una
possibilità. Non si sa molto. Pomate ed unguenti a base di capsaicina hanno,
paradossalmente, efficacia antalgica.
ROBERTO COLONNA – Ho letto di due ipotesi al
riguardo: la prima vuole che il trattamento topico esponga il recettore a
piccole dosi ripetute di capsaicina che ne ridurrebbero la capacità di
rispondere, la seconda ipotizza uno svuotamento delle riserve di
neurotrasmettitore del neurone nocicettivo con conseguente esaurimento
funzionale.
GIOVANNI ROSSI – Un’implicita riprova che c’è
ancora molto da indagare. D’altra parte, mi è sembrato anche che la dottoressa
Poggi parlasse dei farmaci agenti sul recettore della capsaicina come di
molecole in grado di lenire il dolore mediato da protoni, ma le cose sono più
complesse…
GIUSEPPE PERRELLA – E’ vero, infatti i protoni
possono attivare sulla membrana dei nocicettori anche dei canali ionici noti
come ASIC (acid-sensing ion channel). Ma sono certo che la dottoressa
Poggi lo abbia ben presente.
LUDOVICA R. POGGI – Non intendevo dire che i farmaci
interferenti con le funzioni del recettore della capsaicina agiscano su tutti i
tipi di dolore mediato da protoni. D’altra parte non ho trovato, nella mia
rassegna delle pubblicazioni più recenti, molecole antidolorifiche degne di
nota agenti sui canali ionici ASIC.
DIANE RICHMOND – Nella tua relazione non c’era
traccia dei farmaci agenti sui recettori oppioidi.
LUDOVICA R. POGGI – Per una scelta precisa. Non ci
sono novità in questo campo. Anche i nuovi -si fa per dire- analgesici
oppiacei, presentano gli stessi inconvenienti di quelli classici (In Corso – “Farmaci
e meccanismi nella terapia del dolore”, si veda il paragrafo “Appunti sulle
proprietà di alcuni oppiacei”). La mia non era una rassegna su tutta la
farmacologia del dolore, ma solo sui nuovi composti che sfruttano le più
recenti acquisizioni sui meccanismi molecolari della nocicezione. Non mi
risultava ci fosse nulla di nuovo da segnalare.
ROBERTO COLONNA – Forse da segnalare, a proposito
degli oppiacei, c’è una questione di quelle che caratterizzano il nostro ruolo
critico. Ossia, si poteva precisare che le aspettative di efficacia universale
su tutti i tipi di dolore dei derivati della morfina, sulla base di una loro
azione su un presunto meccanismo centrale unico, sono state deluse, ed oggi si
sa della loro maggiore efficacia nel dolore infiammatorio.
LUDOVICA R. POGGI – Francamente, Roberto, questa è
cosa vecchia. Ho ritenuto più attuale e importante trattare i farmaci che,
interferendo con i canali del calcio, impediscono il rilascio di
neurotrasmettitori da parte dei neuroni nocicettivi in corrispondenza delle
sinapsi del midollo spinale.
GIOVANNI ROSSI – In proposito, volevo dire che
andrebbe un po’ approfondita la gabapentina, perché la generale tendenza ad
impiegare antiepilettici come antidolorifici, dagli anni Ottanta, quando si
diffuse l’impiego dell’antiepilettico Tegretol nel trattamento della nevralgia
del trigemino e del glossofaringeo, sembra che stia facendo sottovalutare le
differenze legate alle proprietà della famiglia chimica della sostanza e,
conseguentemente, agli effetti farmacologici. Non ci dimentichiamo che in gran
parte i meccanismi dell’azione farmacologica degli anticonvulsivanti sono
sconosciuti e, che io sappia, di certo c’è solo che agiscono sulla corteccia
cerebrale innalzando la soglia di risposta dei neuroni e riducendo la scarica
postuma indotta da una stimolazione ripetitiva; nell’impiego in qualità di
antiepilettici la loro interazione con il con il recettore del GABA si
considera responsabile solo di un effetto collaterale sedativo-ipnotico.
ROBERTO COLONNA – Come agisce la gabapentina?
LUDOVICA R. POGGI – La gabapentina, brevettata come
Neurontin, è un anticonvulsivante che sembra essere efficace in alcune forme di
dolore, legandosi ad una specifica subunità di un tipo di canali del calcio.
Sono d’accordo col professore Rossi circa la necessità di un approfondimento
sulla gabapentina.
NICOLE CARDON – Per rimanere in tema di
analgesici agenti sui canali del calcio e di approfondimenti, credo si debba
studiare meglio la letteratura scientifica riguardante la ziconotide, la
molecola che Ludovica ha indicato nella sua relazione con il brand name
di Prialt.
LUDOVICA R. POGGI – Se guardi la nota, vedrai che ho
riportato anche “ziconotide”.
NICOLE CARDON – E’ vero. La ziconotide è una
molecola derivata dal veleno di un mollusco dell’Oceano Pacifico, in grado di
inibire il tipo N dei canali del calcio. Si tratta di un farmaco largamente
impiegato, soprattutto negli USA, ma che merita, a mio parere, un’attenta
revisione critica circa l’impiego.
LUDOVICA R. POGGI – Se ti riferisci agli effetti
collaterali, non ritengo che siano tali da imporre una revisione dell’impiego
del farmaco. Gli effetti collaterali sono stati tenuti in debito conto nello
studio delle vie di somministrazione. Ad esempio, il rischio di crisi
ipotensiva acuta è scongiurato dalla somministrazione intratecale.
NICOLE CARDON – La mia obiezione non è così
banale e circoscritta ad un singolo effetto collaterale indesiderato che,
peraltro, non pare frequentissimo alle dosi medie. Si tratta di riserve fondate
sulla neurobiologia molecolare del recettore.
LUDOVICA R. POGGI – Sui canali N del calcio?
NICOLE CARDON – Dunque, i canali del calcio
sensibili al voltaggio sono presenti, oltre che nella membrana dei neuroni,
sulle cellule muscolari e in vari tipi cellulari diffusi in tutto l’organismo,
con funzioni delicatissime per la vita della cellula e dell’animale stesso. Se
si eccettua il tipo T, attivato da basso voltaggio, tutti gli altri tipi, cioè
L, N, P, Q ed R, sono accomunati dall’attivazione ad alto voltaggio e, nella
cellula nervosa, hanno un ruolo cruciale nel rilascio del neurotrasmettitore al
terminale sinaptico, nell’adattamento mediante la localizzazione nel tratto
iniziale dell’assone e in numerosi altri processi legati alla loro presenza nel
cono di crescita e sulla membrana dei dendriti. Voglio dire che non si tratta
di mediatori del dolore, ma di processi più generali appartenenti ad un livello
più elementare di elaborazione e, pertanto, la loro inattivazione potrebbe
interferire con numerose altre funzioni.
LUDOVICA R. POGGI – Però, di fatto, sembra che la
sperimentazione clinica non abbia dimostrato, alle dosi terapeutiche, altri
rischi che quelli di nausea, cefalea e vertigini.
NICOLE CARDON – A parte che è stato rilevato
disorientamento nel tempo e nello spazio, ovvero confusione mentale -una cosa
non da poco, mi sembra- sostengo che la ratio teorica su cui si basa il
loro impiego sia in sé discutibile.
LUDOVICA R. POGGI – Ma sembra che l’impiego clinico
prevalente riguardi pazienti cancerosi terminali, resistenti ad altre terapie
del dolore.
NICOLE CARDON – La mia obiezione è concettuale.
Un farmaco che agisce su un canale del calcio può apparire specifico, ma non lo
è, perché non seleziona un mediatore del dolore fra mediatori di altre
informazioni sensitive. Una procedura non fondata sulle conoscenze scientifiche
di cui si dispone e sulla ratio che da queste si ricava, deve
considerarsi empirica e non scientifica. La ziconotide funziona perché inattiva
vari processi fra cui quelli che consentono di percepire il dolore.
LUDOVICA R. POGGI – In base a questi criteri
dovresti escludere ogni terapia che agisca sulla coscienza, così come i
trattamenti ipnotici e psicoterapici del dolore. Perché anche in questi casi si
agisce su processi più generali per ridurre la percezione cosciente delle
sensazioni dolorose.
NICOLE CARDON – L’accostamento è suggestivo, ma
inesatto da un punto di vista neurofisiologico. Un farmaco che agisce su una
proteina-canale rappresenta un intervento artificiale diretto al livello della
fisiologia molecolare, con caratteristiche pervasive su tutte le cellule che
riesce raggiungere, e che obbedisce alla logica biochimica del suo impiego e
non alle regole dell’architettura funzionale dei sistemi cerebrali. L’ipnosi stacca
il controllo di una parte delle funzioni corticali in virtù di un processo, sia
pur indotto dall’esterno, attuato dal cervello stesso secondo modalità che, in
parte, sono le stesse che ogni sera impiega per farci addormentare. La
mediazione da parte delle funzioni globali del nostro cervello, poi, è ancora
più importante ed evidente in ogni forma di psicoterapia.
GIOVANNI ROSSI – Mi sembra che le due posizioni
siano inconciliabili: l’una ammette un intervento solo sulle vie molecolari
riconosciute come appartenenti all’elaborazione delle sensazioni dolorifiche,
l’altra accetta anche il rischio di percorrere vie meno note e con maggiori
rischi potenziali di interferenza.
ROBERTO COLONNA – Probabilmente una simile
contrapposizione sussiste per i farmaci antidolorifici agenti sui recettori
degli endocannabinoidi. Vero?
LUDOVICA R. POGGI – Credo di no, in questo caso
suppongo che la prudenza ci accomuni: anch’io ritengo insufficienti le nozioni
in nostro possesso. Mi sbaglio, Nicole?
NICOLE CARDON – La prudenza senz’altro può
accomunarci, ma in questo caso la questione è radicalmente diversa. I farmaci
che agiscono sui recettori degli endocannabinoidi, attualmente in
sperimentazione, sembra che determinino i loro effetti antalgici attraverso
varie modalità, fra cui la riduzione di attività delle cellule infiammatorie, e
ritengo sia necessario indagare approfonditamente questi processi, tuttavia
queste molecole presentano una specificità in quello che sembra essere il
meccanismo principale: interferiscono con la trasmissione dei segnali fra i
nocicettori e le loro cellule bersaglio.
GIOVANNI ROSSI – Invece le due posizioni
inconciliabili credo che ritornino nel caso dei farmaci che agiscono bloccando
i recettori per il glutammato NMDA.
NICOLE CARDON –
Temo di si, in quanto si tratta anche in questo caso di colpire un
bersaglio appartenente al basic neural processing e non al pain
processing. Come è noto a tutti, i recettori NMDA non individuano una
ristretta via glutammatergica, ma sono presenti in varie versioni molecolari su
tutti i neuroni e sulle cellule della glia.
GIOVANNI ROSSI – Sarebbe impensabile un cervello
senza NMDA. Se in una persona si inattivassero contemporaneamente tutti i
recettori NMDA probabilmente morirebbe all’istante. Si avrebbe una paralisi
generalizzata, salterebbero le integrazioni senso-motorie, si avrebbero crisi
epilettiche fino ad esaurimento dei trasmettitori, si perderebbe il substrato
di memoria per ogni funzione, anche la più piccola… Perdonate questa piccola
parentesi di fantascienza catastrofistica…
NICOLE CARDON – No, figurati. E’ vero che
sarebbe un disastro, paragonabile forse alla eliminazione dei recettori del
GABA, ma è veramente difficile prevedere ciò che accadrebbe.
LUDOVICA R. POGGI – Ma i composti ad azione antalgica
che agiscono sui recettori NMDA sono selettivi per versioni molecolari
prevalenti nelle corna posteriori del midollo spinale, per cui è fuori luogo
richiamare scenari di questo genere e considerare gli NMDA come una categoria
omogenea. Almeno cinque diversi tipi sono stati bene caratterizzati da un punto
di vista funzionale: NMDA-R2A, NMDA-R2B, NMDA-R2C, NMDA-R2D.
NICOLE CARDON – Conosciamo bene i sottotipi dei
recettori N-metil-D-aspartato per l’acido glutammico, non ci fidiamo della
presunta selettività dei composti ad azione antalgica fin qui sperimentati.
LUDOVICA R. POGGI – Negli studi su animali, le
molecole in grado di inibire la subunità NMDA-R2B hanno mostrato notevole
efficacia e discreta selettività spinale…
DIANE RICHMOND – Si, ma la selettività spinale
nei lavori che ho letto, si otteneva mediante la diretta iniezione nel liquido
cefalorachidiano.
LUDOVICA R. POGGI – E’ necessario, certo, ancora
studiare molto e molti aspetti dell’inibizione dei recettori NMDA che
contengono la subunità R2B, ma un primo importante risultato è una specifica
riduzione della sensibilità al dolore.
ROBERTO COLONNA – Anche se, quanto al tipo di
dolore, visto anche il buio completo sull’esatto meccanismo d’azione, penso si
possa dire poco. Credo che gli inibitori di R2B siano potenzialmente degli
analgesici aspecifici, o mi sbaglio?
LUDOVICA R. POGGI – In topi con lesioni dei nervi
periferici si sono dimostrati in grado di trattare l’allodinia.
NICOLE CARDON – In tema di lesione dei nervi
periferici, ossia di dolore neuropatico, c’è ben altro all’orizzonte. Mi
riferisco alla glia.
LUDOVICA R. POGGI – La glia? In che senso?
GIUSEPPE PERRELLA – Preparando il saggio sulla glia,
Nicole ed io abbiamo trovato dei lavori interessanti sul ruolo delle cellule
gliali nel dolore neuropatico.
NICOLE CARDON – La lesione di un nervo comporta
l’immediata migrazione di cellule gliali del midollo spinale verso i neuroni
delle corna posteriori, in corrispondenza del metamero della radice sensitiva
del nervo leso. Queste cellule, mediante il rilascio di citochine,
prostaglandine, fattori di crescita e molecole non ancora identificate,
attivano le sinapsi dei nocicettori nel midollo spinale che inviano i segnali
lungo i fasci ascendenti delle vie dolorifiche che raggiungono i neuroni della formazione
reticolare, il mesencefalo, il talamo e la corteccia.
ROBERTO COLONNA – Sapere questo cosa cambia? Non
si devono ugualmente impiegare analgesici che agiscano sui nocicettori?
GIUSEPPE PERRELLA – L’intervento della glia nel
dolore neuropatico, in linea teorica, propone due nuove possibilità di
intervento: il blocco selettivo della migrazione delle cellule gliali e
l’inattivazione delle molecole che queste rilasciano nell’area grigia spinale
corrispondente al nervo che ha subito il danno.
LUDOVICA R. POGGI – Ma è solo una possibilità?
GIOVANNI ROSSI – Volevo chiederlo anch’io, perché
non sapevo di questa specifica attivazione della glia al metamero spinale del
nervo leso.
NICOLE CARDON – No, non è solo una possibilità
teorica: alcuni gruppi di ricerca lavorano all’identificazione delle molecole
che reclutano ed attivano la glia nel focolaio delle corna posteriori spinali,
altri cercano gli inibitori delle molecole già note.
LUDOVICA R. POGGI – Gli inibitori sarebbero
veramente farmaci nuovi per il dolore neuropatico.
DIANE RICHMOND – Ho molti dubbi sugli inibitori
della migrazione delle cellule gliali, prima d’ogni altra cosa, perché non
esistono molecole segmentali e dunque si rischierebbe di bloccare in tutto il
sistema nervoso centrale il costante intervento della microglia nei piccoli
eventi infiammatori e immunitari, così come nella rimozione di molecole di
accumulo, di residui cellulari, e così via, cioè quella sorta di funzione di
costante manutenzione, senza della quale il sistema nervoso centrale diventa
estremamente vulnerabile al danno tossico e degenerativo…
LUDOVICA R. POGGI – Ma dai, non credo che la
somministrazione di un eventuale inibitore della migrazione a dosi appena
efficaci e limitatamente al tempo necessario a vincere un dolore neuropatico
possa causare una catastrofe…
GIOVANNI ROSSI – Per la verità la maggior parte
dei dolori neuropatici sono di lunga durata e ricorrenti…
DIANE RICHMOND – Volevo concludere.
LUDOVICA R. POGGI – Prego.
DIANE RICHMOND – Senza entrare in dettagli non di
mia competenza, voglio osservare che non si conoscono inibitori altamente
selettivi dell’azione di molecole che inducono migrazione e la selettività sul
tipo di cellula…
GIOVANNI ROSSI – In futuro, però, si potrebbero
iniettare inibitori della migrazione gliale direttamente nelle corna dorsali.
Pensate ad una nevralgia post-erpetica cervicale: inietti l’inibitore della
migrazione gliale in corrispondenza di C2 e C3, magari sotto controllo visivo,
con un ingrandimento che ti consente di selezionare le lamine I e V. Le
nevralgie post-erpetiche possono durare anni.
GIUSEPPE PERRELLA – Un aspetto che trovo
interessante circa il ruolo della glia nel dolore neuropatico riguarda il
meccanismo d’azione di uno dei tipi molecolari rilasciati nella sede delle corna
dorsali: le prostaglandine.
ROBERTO COLONNA – Ah, le prostaglandine mediano
l’azione dolorifica della glia?
GIUSEPPE PERRELLA – Inibiscono il recettore della
glicina, il principale neuromediatore inibitorio del midollo spinale. Sappiamo
che l’azione inibitoria della glicina nel midollo spinale può essere
paragonata, per importanza, a quella del GABA nella corteccia cerebrale.
LUDOVICA R. POGGI – Infatti, agonisti della glicina
sono allo studio come antidolorifici.
NICOLE CARDON – E’ vero, ma il rinforzo
indiscriminato di un inibitore che viene sfruttato genericamente come base di
partenza per la modulazione dei circuiti spinali non mi sembra il massimo della
selettività antalgica…
GIUSEPPE PERRELLA – Le cellule gliali richiamate
nell’area grigia dorsale corrispondente al nervo interessato da un danno,
rilasciano vari tipi di molecole fra cui citochine, fattori di crescita e
prostaglandine. Probabilmente i meccanismi che contribuiscono alla genesi del
dolore per l’azione fisiologica di queste cellule sono complessi, ma la mia
attenzione è stata attratta dalle prostaglandine, perché i salicilati e gli
altri farmaci non-steroidei che agiscono da antidolorifici periferici
inibendone la sintesi mediante il blocco della ciclo-ossigenasi, potrebbero
avere un ruolo anche nel dolore di origine neuropatica. Si potrebbe spiegare su
questa base una certa efficacia delle alte dosi di aspirina e di altri
anti-infiammatori non-steroidei nel dolore neuropatico.
GIOVANNI ROSSI – Si potrebbe iniettare nel liquor
midollare l’acetilsalicilato di lisina, evitando gli effetti collaterali di
somministrazioni sistemiche ad alto dosaggio.
GIUSEPPE PERRELLA – Teniamo conto del fatto che le
prostaglandine, con il blocco del recettore della glicina, prendono parte ad
un’azione più vasta e complessa mediata da varie citochine e fattori di
crescita. Gli inibitori della COX potrebbero rivelarsi deludenti.
NICOLE CARDON – Soprattutto in ragione del fatto
che l’attivazione della glia non è l’unico elemento nella genesi del dolore
neuropatico.
LUDOVICA R. POGGI – Certo.
ROBERTO COLONNA – Il lavoro del gruppo sui
meccanismi molecolari del dolore diretto da Ludovica ha focalizzato per molto
tempo l’attenzione sulla mediazione purinica, sui purinocettori, sulla sostanza
P, sul peptide CGRP, per cui mi aspettavo, dalla relazione di Ludovica,
qualcosa di più sui farmaci che agiscono su questi bersagli.
LUDOVICA R. POGGI – Non c’è molto di nuovo, per cui
non volevo ripetere quanto riportato dai miei collaboratori nell’aggiornamento
trimestrale.
DIANE RICHMOND – Sintetizzaci solo le cose più
rilevanti.
LUDOVICA R. POGGI – Va bene. Dunque, per quanto
riguarda la sostanza P, tutti sapete tutto, ormai, perciò ricordo a me stessa e
per la registrazione, che si tratta di un peptide di 11 aminoacidi, correlato
con la sostanza K o neurochinina A e, naturalmente, con la neurochinina B; si
trova in grande quantità nel ganglio mesenterico inferiore -perciò prezioso
strumento di ricerca sul dolore- nella sostanza nera di Soemmering
mesencefalica e nelle corna posteriori o dorsali del midollo spinale. Quando
stimoliamo un nocicettore del ganglio mesenterico inferiore con la capsaicina,
il mediatore della sensazione dolorosa è la sostanza P. Nella trasmissione
nocicettiva nel midollo spinale la sostanza P è stata messa in relazione con le
fibre dolorifiche di tipo C, anche se non si esclude la partecipazione ad altre
forme di trasmissione sensitiva, fra cui la barocezione. Va da sé che,
considerata l’importanza di questo peptide, siano stati sperimentati molti antagonisti
e, alcuni di questi, siano giunti alla sperimentazione umana. Fino ad ora
sembra che il fallimento sia completo. In particolare, si è tentato di ottenere
analgesia bloccando selettivamente il recettore della sostanza P, l’NK-1 o
neurochinina-1, ma la sperimentazione clinica ha dimostrato l’assoluta
inefficacia di questo tentativo. Si è ipotizzato che il solo blocco di NK-1 sia
insufficiente.
ROBERTO COLONNA – E il CGRP?
LUDOVICA R. POGGI – Ci stavo arrivando. Una
specifica azione di mediazione del dolore nel midollo spinale da parte del
peptide correlato al gene della calcitonina o CGRP non ha ricevuto prove
definitive.
DIANE RICHMOND – Si, ma le case farmaceutiche
stanno producendo antagonisti del CGRP per il trattamento delle cefalee, mi
chiedo su quale base.
LUDOVICA R. POGGI – I cosiddetti antagonisti del
CGRP, ancora in preparazione ma già molto pubblicizzati negli USA come
“migraine-killers”, interferiscono con il rilascio del peptide nei vasi
sanguigni della superficie cerebrale, impedendone l’azione che si presume
contribuisca al corteo sintomatico di alcuni tipi di cefalea.
DIANE RICHMOND – Ludovica, scusaci le
interruzioni e riprendi la sintesi di quanto non hai incluso nella relazione.
Eri rimasta agli antagonisti della sostanza P.
LUDOVICA R. POGGI – Si, certo. Dunque, non ho
incluso nella relazione tutti quei farmaci che leniscono il dolore distruggendo
i neuroni, perché sono contro i miei principi di scienza e coscienza.
NICOLE CARDON – Certo, contro i principi di
tutti noi, ma direi anche contro la civiltà e i principi della moderna medicina
scientifica.
GIOVANNI ROSSI – Vanno anche contro il più antico
precetto ippocratico.
ROBERTO COLONNA – Si? Quale?
GIOVANNI ROSSI – Ippocrate diceva: “Primo, non
nuocere!”
DIANE RICHMOND – Ludovica, fai comunque un
esempio del meccanismo d’azione di uno di questi distruttori, per nostra
cultura.
LUDOVICA R. POGGI – Subito. Un esempio di terapia
molecolare del dolore basata sull’uccisione di cellule nervose mediatrici del
dolore nel midollo spinale è il metodo che impiega la saporina. Si tratta di un
tipico “Cavallo di Troia”. La saporina, una tossina in grado di distruggere la
cellula nervosa, viene accoppiata alla sostanza P senza alterarne la capacità
di legarsi al suo recettore. I neuroni delle vie dolorifiche posseggono il
recettore NK-1 che riconosce e lega la sostanza P, perciò legheranno il
composto P-saporina che, come un Cavallo di Troia, è traslato all’interno della
cellula dove la saporina si libera dalla sostanza P ed esplica la sua attività
citotossica.
NICOLE CARDON – Si parlava di inibizione dei
canali del sodio TTX-resistenti, che sono presenti solo al livello periferico,
perciò il loro blocco non comporterebbe problemi dovuti ad effetti sul sistema
nervoso centrale. A che punto siamo?
LUDOVICA R. POGGI – I problemi sono sorti per la
somiglianza con i TTX-sensibili, ampiamente diffusi…
NICOLE CARDON – Vedi, ritorna il problema della
specificità recettoriale…
LUDOVICA R. POGGI – Si è pensato all’eliminazione
mediante siRNA.
NICOLE CARDON – Ma questo richiederebbe
l’impiego di virus vettori, che sembra comincino a destare preoccupazioni anche
in molti altri ricercatori. Quando scrissi quel commento al lavoro di Fred
Gage, a parte noi di BM&L, ben pochi erano sensibili alle mie
preoccupazioni, ora sembra che da tutto il mondo si levino voci preoccupate per
l’impiego di vettori virali. E gli antagonisti delle bradichinine?
LUDOVICA R. POGGI – Deludenti. Bene, con questo
avrei finito per il momento.
GIUSEPPE PERRELLA – In conclusione, vorrei
sottolineare che le principali difficoltà della ricerca in questo settore si
possono ricondurre ad un dato biologico: la percezione del dolore è mediata da
processi molteplici e complessi, che si sono evoluti per assicurare l’esistenza
e l’efficienza, nelle più svariate condizioni, di una speciale segnalazione in
grado di generare riflessi protettivi e risposte adattative. L’esistenza di una
pluralità di substrati anatomici e fisiologici ha reso meno vulnerabile la nocicezione.
Nel corso della filogenesi, il dolore ha avuto un ruolo di straordinaria
importanza per la sopravvivenza degli organismi, e la molteplicità delle sue
forme, legata al tipo di meccanismo molecolare e cellulare, così come alla
fisiologia della struttura, del tessuto o dell’organo d’insorgenza, ha protetto
e favorito lo sviluppo della complessa specificità che osserviamo nel nostro
organismo. Il grado di complessità e di specializzazione nell’elaborazione
degli stimoli dolorifici, si specchia nel livello di evoluzione dell’organismo
stesso. E’ facile notare che la canonica descrizione dei tipi di dolore secondo
la fisiologia della percezione, ci presenta degli eventi la cui logica
obbedisce a criteri di vantaggio selettivo ben definiti. Se si aspira a trattamenti
analgesici massimamente efficaci e rispettosi dei processi fisiologici, si deve
tener conto che il dolore è parte integrante del piano di sviluppo e
funzionamento dell’organismo stesso e, pertanto, la sua intima conoscenza è una
delle grandi sfide della biologia presente e futura.
La trascrizione della
registrazione-audio dell’incontro è stata curata da Isabella Floriani che, per
facilitare la lettura del testo, ha provveduto a correggere alcune improprietà
espressive e a tradurre alcune locuzioni spontaneamente proferite in inglese.