AZIONE ANTIDEPRESSIVA MEDIANTE REGOLAZIONE GENICA

 

 

I farmaci antidepressivi di più frequente uso modulano rapidamente i sistemi monoaminergici, in particolare prevenendo la ricaptazione della serotonina (5-HT), ma i loro effetti su una sintomatologia depressiva che non sia di lieve entità, si registrano solo dopo varie settimane, per questo si è ipotizzato che uno stimolo alla neurogenesi faccia parte del meccanismo d’azione di questi farmaci (Intervista a Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze; Note e Notizie 08-07-06 Antidepressivi come regolatori della neurogenesi)[1]. In ogni caso, è stato dimostrato che gli inibitori selettivi della ricaptazione di 5-HT sono in grado di modificare il pattern di espressione di molti geni e, probabilmente, i loro effetti clinici sono da riportare, oltre che al noto meccanismo d’azione che aumenta la quota di neurotrasmettitore extrasinaptico, ad una complessa modulazione dell’espressione genica che porterebbe dopo un certo tempo ad un adattamento molecolare stabile. Su questa base si è ritenuto che composti in grado di modulare la regolazione epigenetica dell’espressione genica[2], come gli inibitori delle istone deacetilasi (HDAC), possano avere effetti antidepressivi.

Nestler e colleghi del Fishberg Department of Neuroscience at Mount Sinai School of Medicine in New York, hanno studiato gli effetti dell’inibizione delle HDAC, enzimi che agiscono sullo stato di acetilazione degli istoni e regolano il rimodellamento della cromatina, rilevando un’evidente azione antidepressiva (Covigton H. E., et al. Antidepressant actions of histone deacetylase inhibitors. Journal of Neuroscience 29, 11451-11460, 2009).

I ricercatori hanno impiegato un modello murino di “frustrazione sociale cronica” per studiare l’acetilazione degli istoni in condizioni depressive ed indagare gli effetti degli inibitori delle HDAC nei neuroni del nucleo accumbens, una regione cerebrale implicata nello sviluppo degli stati depressivi e considerata un bersaglio dell’azione dei farmaci antidepressivi.

L’analisi immunoistochimica ha rivelato che, sebbene i livelli di acetilazione dell’istone H3 in corrispondenza del residuo di lisina 14 (acH3K14) si riducevano temporaneamente di circa il 50% un’ora dopo l’evento stressante finale, dopo 24 ore e dopo 10 giorni si assisteva ad un loro innalzamento. Il grado di espressione di HDAC2, ma non di HDAC1 e HDAC3, a 24 ore e a 10 giorni dall’evento stressante finale era ridotto e, presumibilmente, questa riduzione mediava l’aumento dei livelli di acH3K14. Questo dato è particolarmente rilevante, perché ha trovato conferma nella realtà umana: lo studio di campioni del nucleo accumbens ottenuti dall’autopsia di pazienti deceduti in condizioni di depressione conclamata, hanno mostrato un simile innalzamento dei livelli di acH3K14 associato ad una riduzione di HDAC2.

Negli esperimenti sono stati impiegati due inibitori delle HDAC: il vorinostat, inibitore delle classi I e II degli enzimi, e l’MS-275, inibitore solo della classe I. I due composti sono stati infusi nel nucleo accumbens di topi soggetti a frustrazione cronica da stress sociale, con il risultato di una riduzione dell’evitamento sociale indotto dalla cronica esperienza di frustrazione e del prolungamento del tempo impiegato ad interagire con i propri simili.

Nel forced-swim test, ordinariamente impiegato nella valutazione dei farmaci antidepressivi, sia il vorinostat che l’MS-275 hanno mostrato effetti simili a quelli delle molecole impiegate nel trattamento della depressione, ma entrambi sono risultati inefficaci nel trattare il comportamento equivalente all’ansia umana (anxiety-like behaviour).

I topi nei quali è stato indotto stress da frustrazione sociale presentano un pattern distintivo nell’espressione genica dei neuroni del nucleo accumbens, e tale pattern può essere normalizzato mediante un trattamento con fluoxetina; pertanto i ricercatori hanno potuto confrontare gli effetti dell’MS-275 con quelli della fluoxetina sull’espressione genica mediante microarray analysis: come la fluoxetina, l’MS-275 in gran parte riportava alla norma i cambiamenti indotti dallo stress, e i due composti inducevano variazioni simili nei patterns di espressione di molti geni. Ma, il confronto fra il farmaco di riferimento per il trattamento dei disturbi depressivi e la nuova molecola, ha anche messo in evidenza che nel caso di alcuni geni la modificata regolazione dovuta allo stress cronico poteva essere normalizzata dalla somministrazione di MS-275, ma non dalla fluoxetina. Un tale rilievo consente di individuare, almeno in via ipotetica, nuovi targets per l’azione antidepressiva:

1) geni codificanti la proteina-canale delle gap junction di membrana α5[3];

2) la proteina che assembla i complessi della densità post-sinaptica discs large associated protein 1;

3) il recettore adrenergico α.

Concludendo si può osservare che, sebbene si debbano ancora risolvere problemi legati alla selettività ed alle modalità di somministrazione, gli inibitori delle HDAC, attualmente al vaglio della sperimentazione clinica per indicazioni oncologiche, potrebbero costituire una nuova classe di antidepressivi.

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Novembre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 



[1]  Una possibilità per spiegare la latenza di circa 28 giorni nei roditori e di 3-6 settimane nell’uomo è la regolazione genica dei processi che portano alla produzione di nuovi neuroni; già nell’intervista del 2003 il nostro presidente avanzava questa ipotesi (Si veda l’Intervista). Nel 2006 un lavoro di Encinas e collaboratori (si veda la nota di recensione) confermò l’ipotesi accertando che la fluoxetina (Prozac) accresce la neurogenesi agendo sul secondo dei sei stadi di sviluppo dei neuroni del giro dentato dell’ippocampo.

[2] Si vedano nell’elenco delle “Note e Notizie” le recensioni di lavori di argomento connesso e, in particolare, a proposito della regolazione genica indotta dalle cure materne e rimodulata dallo stress: Note e Notizie 28-01-06 Cure materne, stress e metilazione del DNA. 

[3] Macromolecola polipeptidica implicata nella formazione delle gap junction.