ANTIDEPRESSIVI COME REGOLATORI DELLA NEUROGENESI

 

 

E’ noto che non si conosce l’esatto meccanismo molecolare dell’azione farmacologica di molti psicofarmaci di larghissimo impiego, oppure, come accade per gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) impiegati nella cura della depressione, si conosce un meccanismo che, con ogni probabilità, non è il principale responsabile degli effetti terapeutici, che sono invece da ascriversi ad altri processi quali quelli in grado di indurre neurogenesi (si veda Intervista a Giuseppe Perrella. BM&L, ottobre 2003).

Già da anni, come bene illustrato nella citata intervista del nostro presidente, l’efficacia in vari disturbi depressivi degli inibitori selettivi della ricaptazione di 5-HT è stata interpretata sulla base della loro capacità di promuovere lo sviluppo di nuove cellule nervose, e varie scuole, come quella di Douglas Bremner, sostengono che l’evento lesivo principale nei disturbi dello spettro dello stress e dell’ansia, inclusa la depressione da stress, consista nella riduzione di neuroni in aree particolarmente vulnerabili come l’ippocampo. Gli stretti rapporti patogenetici fra tutte quelle sindromi che in passato erano incluse nella categoria delle nevrosi, ha indotto molti neurobiologi e psichiatri ad ipotizzare che l’impoverimento neuronico dovuto a perdita e/o difetto di rigenerazione, sia un elemento patologico comune a molte espressioni di sofferenza psichica costituendo, perciò, un obiettivo terapeutico elettivo. In questa prospettiva è stata avviata la sperimentazione, per l’impiego in qualità di psicofarmaci, di varie classi di sostanze naturali e di sintesi (BDNF ed altri fattori neurotrofici, agonisti del recettore del VEGF, ecc.) di cui è noto l’intervento o l’efficacia in processi di crescita e sviluppo della cellula nervosa.

In attesa dei risultati di questa sperimentazione, e dei tempi ancora più lunghi che richiederà lo sviluppo di una terapia cellulare, i farmaci più prescritti nella depressione e nei disturbi dello spettro dello stress rimangono gli SSRI, il cui esatto meccanismo di promozione della neurogenesi non è stato fino ad oggi accertato. Lo studio che mira a conoscere le basi reali degli effetti terapeutici di questi farmaci, sia pur posticipato rispetto all’introduzione in terapia, ha una notevole importanza perché potrà consentirne un impiego scientificamente fondato e potrà aiutarci a comprendere i motivi della parziale o totale inefficacia in una percentuale elevata di pazienti trattati.

Appartiene al novero di queste ricerche il lavoro condotto da Enikolopov e collaboratori, che fornisce chiare evidenze circa lo stadio della neurogenesi al quale agisce la fluoxetina, uno dei più noti SSRI (Encinas J. M. et al. Fluoxetina targets early progenitor cells in the adult brain. Proc. Natl Acad. Sci. USA 103, 8233-8238, 2006).

Nel giro dentato, che insieme con il giro paraippocampico costituisce il lobo limbico, sono costantemente generati neuroni mediante un processo multifasico che, negli animali da esperimento, attivamente risponde all’azione della fluoxetina, incrementando la quantità di cellule nervose mature prodotte. Enikolopov e i suoi colleghi, hanno cercato di definire lo stadio della neurogenesi al quale agisce il farmaco.

La caratterizzazione e la quantificazione dei progenitori neurali ai vari stadi di sviluppo mediante l’immunofluorescenza è difficile, perché i neuroni del giro dentato sono fittamente stipati e le proteine che fungono da contrassegno, come la nestina, sono diffusamente espresse in tutto il citoplasma. Per questo motivo i ricercatori hanno realizzato dei topi le cui cellule del giro dentato emettono dal loro nucleo un segnale fluorescente, offrendo una distinta configurazione dei contrassegni cellulari, in grado di facilitare la stima quantitativa. Combinando la marcatura fluorescente del nucleo con la colorazione di varie proteine espresse ai diversi stadi della neurogenesi, gli autori sono riusciti a caratterizzare una sequenza di sei stadi di sviluppo. A questo punto hanno studiato gli effetti della somministrazione cronica di fluoxetina sull’attività proliferativa delle cellule a ciascuno degli stadi dell’evoluzione. E’ emerso che il farmaco accresce la neurogenesi agendo su cellule nervose al II stadio (progenitori neurali amplificanti).

Sarà interessante verificare se altri farmaci antidepressivi agiscono sullo stesso stadio della neurogenesi e se questi dati possono essere estrapolati alla realtà umana.

Infine, si può rilevare che il modello sperimentale realizzato dagli autori di questa ricerca potrà essere impiegato per una migliore definizione delle caratteristiche delle cellule progenitrici neurali agli stadi iniziali, contribuendo a migliorare la conoscenza della neurogenesi ippocampale e della fisiopatologia dei disturbi depressivi e da stress.

 

L’argomento trattato nella nota è stato discusso con Giovanni Rossi; si ringrazia Isabella Floriani per la collaborazione. 

 

Nicole Cardon & Giuseppe Perrella

BM&L-Luglio 2006

www.brainmindlife.org