COSA RENDE UNICO IL CERVELLO UMANO

 

 

(SECONDO INCONTRO)

 

 

Il secondo appuntamento degli incontri di studio dedicati a “Le differenze neurobiologiche all’origine dell’unicità umana” è stato interamente dedicato alla genomica comparativa.

 

GENOMICA COMPARATIVA. Nella divulgazione scientifica, ma anche in alcuni testi universitari, si incontra ancora un’affermazione da tempo rivelatasi erronea: il DNA umano e quello dello scimpanzé (Pan troglodytes) coincidono per il 98-99%. La stima di una percentuale così alta di somiglianza strutturale, si può far risalire ad uno studio condotto nel 1975 da King e Wilson, i quali, sulla base dei metodi e delle conoscenze del tempo, rilevarono una differenza fra le due specie di circa l’1% nelle sequenze geniche codificanti le proteine. I due ricercatori giustamente intuirono che la grande quantità di differenze anatomiche e comportamentali che distinguono l’uomo da queste scimmie antropomorfe, doveva attribuirsi prevalentemente a cambiamenti evolutivi dell’espressione genica. Tuttavia, anche se alcuni in tempi recenti hanno continuato a far riferimento a quella esigua differenza[1], è ormai chiaro che la quota di divergenza è stata sottostimata e che, con ogni probabilità, l’intelligenza, il linguaggio e le stesse dimensioni del cervello umano non trovano spiegazione solo in un 1-2% di geni diversi e in una differente espressione di parte del rimanente 98-99%[2].

La differenza nella sequenza complessiva del DNA è stata stimata da Britten e collaboratori intorno al 5%[3], e i risultati ottenuti negli altri studi non si discostano di molto, con le stime più basse che non si allontanano dal 4%[4]. Ma ciò che più conta, sono gli aspetti qualitativi introdotti dalle nuove conoscenze che accrescono la distanza molecolare fra noi e le antropomorfe. Sono state infatti scoperte delezioni e duplicazioni multiple di blocchi di DNA, che si sono verificate indipendentemente nell’evoluzione umana e degli scimpanzé. Ciò implica che in Homo sapiens vi sono geni assenti in Pan troglodytes e viceversa. Ma queste non sono che una piccola parte delle differenze macromolecolari accertate.

Per esempio, rispetto alle antropomorfe noi abbiamo corredi diversi di microRNA. Si comprende l’importanza di questo dato alla luce della funzione di regolazione della traduzione degli mRNA svolta dai microRNA. Un’altra importante differenza consiste nelle specializzazioni della nostra specie nelle modalità in cui i domini multipli dei geni codificanti le proteine sono associati (splicing) nel formare le proteine espresse. Ancora, nella modificazione post-traduzione delle proteine, sono note specializzazioni esclusivamente umane che appaiono rilevanti per le malattie infettive e degenerative.

Si comprende come queste tre fonti di specificità nel loro insieme diano origine ad una miriade di differenze macromolecolari con gli scimpanzé e con tutte le altre specie, offrendo ai ricercatori un vasto repertorio di elementi che richiedono di essere interpretati nel loro significato fenotipico e fisiologico.

Anche se la specificità molecolare umana può essere accostata ad un gigantesco mosaico composto da innumerevoli tessere, le caratteristiche distintive del nostro genoma possono essere ricondotte a pochi semplici processi, quali:

 

1) variazioni della sequenza genica,           

2) variazioni nell’espressione genica,

3) riarrangiamenti, duplicazioni e perdite di blocchi di DNA.

 

1) Variazioni della sequenza genica. Molte delle differenze nella sequenza nucleotidica sono il prodotto di sostituzioni casuali (genetic drift), per cui è necessario riconoscere quelle attribuibili alla selezione naturale, ad esempio distinguendo fra le sostituzioni nucleotidiche che determinano un cambiamento di aminoacidi nella proteina e quelle che generano triplette che nel codice genetico sono sinonimi indicanti lo stesso aminoacido. Fra i geni che si ritiene siano andati incontro a selezione positiva nella nostra linea evolutiva, vi sono FOXP2, MCH1 e ASPM.

FOXP2 (da forkhead box P2), in grado di regolare centinaia e forse migliaia di altri geni, è stato messo in relazione con le abilità che consentono la produzione del linguaggio verbale, perché sue mutazioni sono state riconosciute all’origine di disturbi fonoarticolatori e grammaticali su base familiare (si veda FOXP2 e la parola)[5]. MCH1 (da microcephalin) e ASPM (da abnormal spindlelike microcephaly associated) sono entrambi associati alle dimensioni cranioencefaliche, perché alcune loro forme mutanti sono responsabili di microcefalia. La selezione di FOXP2, MCH1 e ASPM potrebbe aver avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della facoltà di parlare e nell’incremento di dimensioni del cervello connesso con le funzioni psichiche umane.

Gli studi su singoli geni, come quelli che hanno portato all’identificazione delle peculiarità umane appena esposte, trovano un loro naturale complemento nei lavori basati su metodi bioinformatici che consentono di effettuare paragoni fra migliaia di geni codificatori e regolatori nelle banche-dati genomiche e di identificare centinaia di elementi di DNA che probabilmente sono andati incontro a variazioni di sequenza per effetto di selezione negativa o positiva. In proposito, un elemento caratterizzante l’evoluzione genetica umana, è costituito dalla trasformazione di numerosi geni di recettori dell’olfatto in pseudo-geni non funzionali, per effetto della perdita della pressione selettiva.

2) Variazioni dell’espressione genica. Un altro campo di indagine che sta rivelando elementi che contribuiscono a creare l’unicità umana è quello relativo all’identificazione dei cambiamenti evolutivi nell’espressione genica, particolarmente mediante lo studio dei siti dei promotori e dei fattori di trascrizione. Le classi funzionali dei geni interessati sono numerose e l’interpretazione del significato delle variazioni evolutive è estremamente difficile. Per superare questo problema, Oldham, Horvath e Geschwind hanno adottato un metodo di “analisi di rete” (network analytic approach) mediante il quale hanno identificato insiemi di moduli di coespressione genica comuni all’uomo e allo scimpanzé, accanto a moduli corticali comprendenti geni del metabolismo energetico presenti quasi esclusivamente nella nostra specie e geni implicati nella formazione e nel funzionamento delle sinapsi.

Questo tipo di studi presenta molti limiti, la cui discussione ha imposto ai relatori un’analisi di dettagli tecnici e specialistici che esula dai limiti della nostra trattazione e sulla quale sorvoliamo[6], limitandoci qui a ricordare che lo studio dei cambiamenti dell’espressione genica responsabili dell’aumento di dimensioni del cervello umano, richiederebbe comparazioni fra tessuti encefalici umani e non-umani nelle prime fasi dello sviluppo fetale, con evidenti problemi di ordine etico, oltre che di disponibilità dei campioni.

L’identificazione di differenze nella sequenza e nell’espressione genica è solo il primo passo per l’identificazione di cambiamenti fenotipici, che richiedono studi di comparazione dell’espressione fra gli stessi tessuti di specie diverse. Il confronto fra l’espressione del gene della trombospondina 4 (THBS4) della neocorteccia dei lobi frontali umani, di macaco e di scimpanzé ha rivelato una densità di gran lunga maggiore nell’uomo e, poiché le trombospondine stimolano la formazione delle sinapsi, questo dato è stato messo in relazione con una maggiore efficienza dei processi di ricambio e plasticità sinaptica necessari alle funzioni di apprendimento.

3) Riarrangiamenti, duplicazioni e perdite di blocchi di DNA. Tali processi sono in gran parte responsabili dell’ulteriore 3-4 % di differenza tra il nostro genoma e quello di scimpanzé, da aggiungersi all’1-2% delle stime del passato. Come già accennato, duplicazioni multiple, delezioni e riorganizzazioni strutturali, si sono verificate nel corso dell’evoluzione indipendente, iniziata 6-8 milioni di anni fa, della linea che porta ad Homo sapiens e di quella che conduce a Pan troglotydes e a Pan paniscus (il bonobo o scimpanzé pigmeo), con il risultato della comparsa di geni esclusivi dell’uomo. Alla comprensione del ruolo fisiologico e del significato evolutivo di questi elementi presenti solo nel nostro DNA, la ricerca dei prossimi anni dedicherà molti sforzi e si spera che possa ottenere più supporti e finanziamenti di quanti finora ricevuti.

 

[continua]

 

L’autore della nota vi da appuntamento al terzo incontro e rimanda al resoconto del primo incontro (Note e Notizie 27-03-10 Cosa rende unico il cervello umano – primo incontro) per una breve introduzione all’argomento, che include le motivazioni del costituirsi di un campo di indagine specifico sull’unicità del cervello umano.

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-Aprile 2010

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO DI UN CONVEGNO]

 

 

 



[1] Marks J., What it means to be 98% chimpanzee: Apes, people, and their genes. University of California Press, Berkley 2002.

 

[2] Cohen J., Evolutionary biology. Relative differences: The myth of 1%. Science 316 (5833) 1836, 2007.

[3] Britten R. J., Divergence between samples of chimpanzee and human DNA sequence is 5% counting indels. PNAS USA 99 (21) 13633-13635, 2002.

 

[4] Vedi alla pagina 61 di Preuss T. M., The Cognitive Neuroscience of Human Uniqueness, in “The Cognitive Neurosciences” [Michael Gazzaniga, editor in chief] 4th edition. The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2009, e cfr. Varki A. & Altheide T. K., Comparing the human and chimpanzee genomes: Searching for needles in a haystack. Genome Research 15 (12) 1746-1758, 2005.

 

[5] Si consiglia la lettura di questo articolo monografico perché non si limita a fornire dettagli sugli studi genetici, ma inquadra l’evoluzione del ruolo di FOXP2 nella filogenesi, da regolatore dell’esecuzione del canto degli uccelli alla produzione della parola umana, proponendo anche un sintetico confronto fra la prospettiva linguistica e quella emergente dai dati sperimentali. Per MCH1 ed ASPM si suggerisce di cercare nell’elenco delle “NOTE E NOTIZIE” le recensioni di argomento connesso.

 

[6] Si trova un breve elenco dei problemi con due utili riferimenti bibliografici alla pagina 59 di Preuss T. M., The Cognitive Neuroscience of Human Uniqueness, in “The Cognitive Neurosciences” [Michael Gazzaniga, editor in chief] 4th edition.The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2009.