TRAPIANTO CELLULARE NELLA HUNTINGTON COME NEL PARKINSON

 

 

Grandi speranze sono state riposte nella terapia cellulare delle malattie neurodegenerative, e gli incoraggianti risultati della sperimentazione animale hanno giustificato l’avvio nell’ultimo decennio di numerosi trials in tutto il mondo. Come abbiamo avuto modo di rilevare lo scorso anno a proposito del trattamento sperimentale della malattia di Parkinson, il giudizio sull’efficacia è tutt’altro che positivo (si veda: Note e Notizie 31-05-08 Il punto sulla terapia cellulare nel Parkinson)[1]. Infatti, la prima valutazione di lungo termine del trapianto di neuroni dopaminergici fetali in pazienti affetti dalla degenerazione nigro-striatale, ha evidenziato che una parte delle cellule trapiantate aveva acquisito i tratti patologici delle cellule nervose da sostituire[2]. Un tale esito accresce l’interesse per lo studio condotto da Francesca Cicchetti e collaboratori del Centre de Recherche du CHUL (CHUQ) in Québec (Canada), che ha valutato l’efficacia del trapianto cellulare in pazienti diagnosticati di malattia di Huntington (Cicchetti F., et al. Neural transplants in patients with Huntington’s disease undergo disease-like neural degeneration. Proc. Natl Acad. Sci. USA 106, 12483-12488, 2009).

Anche in questo caso, parte delle nuove cellule sembra siano andate incontro ad una degenerazione simile a quella dei neuroni malati dell’ospite, ma vediamo in sintesi gli aspetti salienti del lavoro.

I ricercatori hanno condotto uno studio post-mortem del tessuto cerebrale di tre pazienti affetti dalla sindrome coreica descritta da Huntington e sottoposti, dieci anni prima, a ad interventi multipli di trapianto di tessuto embrionale striatale nel nucleo caudato e nel putamen, ossia le due formazioni del corpo striato maggiormente interessate dal processo patologico. Gli autori dello studio riportano che due dei tre pazienti quando erano in vita, dopo il trapianto, avevano fatto registrare lievi e temporanei miglioramenti clinici per aspetti marginali della sintomatologia. La valutazione dello stato del tessuto della base encefalica è stata condotta con metodi istochimici e con l’impiego della microscopia elettronica per il rilievo dei markers dei neuroni di proiezione, degli interneuroni, degli elementi infiammatori, dell’huntingtina anomala e della connettività derivata dall’ospite. L’osservazione istologica ha consentito di rilevare bilateralmente, in due dei tre pazienti, innesti sopravissuti con i caratteristici interneuroni e neuroni di proiezione del neostriato. Topograficamente, i trapianti del caudato erano in genere andati incontro a necrosi, mentre nel putamen varie isole di cellule embrionarie erano sopravvissute e si erano sviluppate regolarmente. La sopravvivenza poteva aver esercitato un effetto terapeutico, perché l’atrofia del putamen in questi due casi era simile a quella dei soggetti sani di età corrispondente.

Lo studio istochimico ha consentito di rilevare che le cellule degli innesti sopravvissuti esprimevano i markers tipici degli interneuroni dello striato e dei neuroni di proiezione, e che i neuroni degli ospiti avevano formato sinapsi con le cellule di origine embrionaria. Inoltre, i ricercatori hanno verificato che le cellule nervose degli innesti non esprimevano i markers genetici della malattia di Huntington. A questi rilievi positivi non faceva però riscontro il quadro auspicato di normalità morfo-funzionale all’interno degli innesti. Infatti, nelle aree di tessuto impiantato si rilevavano segni morfologici ed istochimici di degenerazione, principalmente evidenti nei neuroni di proiezione spinosi medi, ossia la popolazione di cellule responsabile in massima parte del segnale in uscita dallo striato.

E’ noto che alla degenerazione degli innesti cellulari possono dare un contributo fattori quali l’attivazione microgliale, l’eccitotossicità ed un ambiente trofico carente. Per questo motivo i ricercatori hanno indagato al fine di accertare l’eventuale presenza di tali fattori, rilevando segni di risposta infiammatoria principalmente espressi da un’evidente infiltrazione microgliale del tessuto trapiantato.

I principali elementi emersi sono così sintetizzati dagli stessi autori dello studio:

1) la sopravvivenza degli innesti si riduce nel lungo termine;

2) gli innesti vanno incontro ad una degenerazione simile a quella del tessuto affetto dalla malattia con una perdita preferenziale dei neuroni di proiezione rispetto agli interneuroni;

3) le cellule immunologicamente non correlate degenerano più rapidamente di quelle del paziente, particolarmente il sottotipo dei neuroni di proiezione;

4) la sopravvivenza degli innesti nel caudato è minore che nel putamen;

5) i neuroni glutammatergici della corteccia cerebrale dell’ospite proiettano ai neuroni striatali trapiantati;

6) le modificazioni infiammatorie microgliali hanno come specifico obiettivo la componente neurale degli innesti.

Un aspetto che sembra di importanza cruciale per il contributo che studi come questo danno alla comprensione della patologia, è il rilievo dell’assenza nelle aree di impianto di aggregati proteici di ubiquitina ed huntingtina, caratteristici della malattia di Huntington. Questa osservazione suggerisce che la degenerazione delle cellule trapiantate è dovuta a fattori presenti nell’ambiente cerebrale del ricevente, piuttosto che all’effetto diretto delle proteine alterate cui si attribuisce un ruolo centrale nella patogenesi del danno.

In conclusione, si può osservare che se da un canto i risultati di questo lavoro deludono le aspettative di coloro che ritenevano la terapia cellulare in grado di compensare il danno di una malattia attualmente incurabile, dall’altra forniscono un’indicazione importante su meccanismi collegati all’eccitotossicità e all’attivazione microgliale, che contribuiscono alla patogenesi della malattia e possono costituire un bersaglio per nuovi tentativi terapeutici.

 

L’autrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, con il quale ha discusso l’argomento trattato, e la dottoressa Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Settembre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si consiglia la lettura di questa interessante nota della professoressa Cardon nella quale la recensione di tre lavori condotti da tre gruppi indipendenti di ricercatori su pazienti parkinsoniani sottoposti a trapianto da 9 a 16 anni prima, fornisce dati che consentono di spiegare i risultati parziali e incostanti rilevati ai controlli clinici.

[2] In due studi fu rilevata la presenza, in alcuni dei neuroni impiantati, di inclusioni contenenti α-sinucleina, corpi di Lewy e patologia Lewy-body-like: tutti segni che la malattia aveva interessato anche le cellule trapiantate (si veda la recensione di N. Cardon citata nel testo).