LA RICERCA SULLA PEDOFILIA

 

(SESTA ED ULTIMA PARTE)

 

Sono stati adottati vari tipi di approccio psicoterapeutico alla pedofilia, ma attualmente prevalgono due orientamenti: 1) le psicoterapie psicodinamiche e 2) i trattamenti cognitivo-comportamentali.

1) Psicoterapie psicodinamiche. Basate sulle teorie psicoanalitiche, tendono ad analizzare la vita passata del paziente fin dai suoi ricordi risalenti alle fasi più precoci della vita, alla ricerca di tracce di esperienze responsabili di traumi psichici o conflitti inconsci che possano aver inciso sul formarsi dell’orientamento e dell’identità sessuale. Tradizionalmente la ratio di questo tipo di trattamenti segue quella della psicoanalisi e consiste nel riportare alla coscienza gli eventi significativi, verbalizzandoli e condividendoli con il terapeuta, il quale li interpreta allo scopo di privarli del loro potenziale patogeno dal quale sarebbe derivato l’anomalo orientamento sessuale. L’attuale quadro di conoscenze tende ad escludere un’eziologia psicodinamica per la maggior parte dei casi di pedofilia, pertanto i parziali risultati postivi talvolta ottenuti con queste tecniche sono da ascriversi più a fattori quali il carisma del terapeuta, l’impegno del paziente nel cercare il cambiamento, la qualità del rapporto istaurato e così via.

2) Trattamenti cognitivo-comportamentali. Sono rivolti al presente della vita del paziente e si basano sulla condivisione dell’obiettivo comportamentale dell’eliminazione dei comportamenti pedofilici attraverso la conoscenza delle possibili cause e l’evitamento di situazioni, condizioni, attività ed esperienze che possano alimentarli. Si può dire, semplificando, che nella pratica più frequente negli Stati Uniti d’America si possono distinguere due principali modalità di terapia cognitivo-comportamentale, la prima maggiormente ispirata all’istruzione del paziente nel campo delle conoscenze che riguardano il disturbo di cui è affetto, la seconda più caratterizzata in senso pedagogico ed ispirata ad una morale civile che considera indegne le spinte sessuali che possono indurre a molestare dei bambini. Nel primo caso si pone l’accento sulla correzione di distorte convinzioni quali quelle che portano i pedofili a sostenere che ai bambini piace il rapporto sessuale con l’adulto, nel secondo caso prevale la trasmissione di regole e strategie che consentano al pedofilo di non nutrire la propria tendenza ed evitare situazioni pericolose per l’accendersi del desiderio.

Gli studi che valutano l’efficacia delle psicoterapie non possono avere, per ovvi motivi, i riferimenti precisi, rigorosi ed affidabili della ricerca biomedica di laboratorio, tuttavia possono offrire delle indicazioni generali. Ad esempio, la revisione dei lavori più recenti indica che i pedofili autori di reati sessuali, quando riescono a completare con successo un programma di trattamento psicologico, acquisiscono un equilibrio con una probabilità molto bassa di recidiva e, coloro che incorrono nuovamente nella commissione di reati, nella maggior parte dei casi non compiono reati di natura sessuale. Un quadro di questo genere era già stato delineato da Charlotte Bilby, criminologa dell’Università di Leicester, e Belinda Brooks-Gordon dell’Università di Londra, in una rassegna pubblicata nel 2006 sul British Medical Journal[1].

Le terapie psicologiche, per la loro natura di rapporto conoscitivo protratto nel tempo, hanno consentito di mettere a fuoco un problema in passato considerato solo in chiave sociologica o criminologica, ossia la pedopornografia. E’ evidente che le immagini che riproducono bambini e ragazzi impuberi come partner sessuali, siano in grado di stimolare pensieri, desideri e costruzioni immaginarie in grado di fungere da processi psichici che alimentano l’attività dei cicli neuroendocrini, ed è intuitivo che un costante immergersi in queste immagini costituisca una vera e propria realtà surrogata in grado di influenzare l’atteggiamento mentale nella vita di tutti i giorni. I siti web con contenuti pedopornografici hanno introdotto due elementi precedentemente sconosciuti: 1) la pedopornografia come spettacolo con potenziale fruizione di massa; 2) la fornitura quotidiana ed apparentemente illimitata di nuove immagini riprese in tutto il mondo. Non bisogna sottovalutare questi due aspetti perché, come hanno spesso riferito in terapia pedofili fruitori di internet, prima della diffusione di queste immagini attraverso la rete telematica non era possibile vedere nulla di simile, in quanto nel mercato dei film pornografici -unici antecedenti direttamente comparabili- non avevano spazio pellicole in cui si mostrassero bambini in rapporti sessuali con adulti, e qualsiasi altra diffusione di immagini fotografiche costituiva un fatto episodico e limitato a poche pose. Con l’introduzione nel repertorio di immagini pornografiche vendute attraverso la rete di quelle di bambini vittime di abusi, si è creata una vera e propria industria criminale pedopornografica che adesca, recluta, rapisce, sfrutta e perfino uccide bambini che sono stati usati per lucrare, in un mercato mondiale con bassissimi costi di gestione ed altissimi guadagni. La circolazione in tempo reale nei cinque continenti, mette a disposizione di ogni pedofilo una quantità enorme di fotografie e filmati sempre nuovi che possono  essere memorizzati con un click del mouse sul proprio computer, creando un archivio che può facilmente raggiungere enormi proporzioni, costituendo un “immaginario” che non ha paragone in alcuna esperienza reale del passato e che il proprietario può rivisitare a suo piacimento[2].

L’effetto deleterio della pedopornografia telematica sulla psicologia del pedofilo (tendenza alla reificazione dei bambini, creazione di una “normalità pedofilica”, ecc.) è ancora scarsamente indagato, ma uno studio del 2008 condotto da Drew A. Kingston dell’Università di Ottawa sembra confermarne la pericolosità. Infatti, seguendo 341 individui condannati per essersi resi responsabili di molestie ed abusi ai danni di bambini e ragazzi, è emerso che coloro che facevano uso di materiale pornografico, specialmente dai contenuti esplicitamente devianti, presentavano una probabilità più elevata di commettere nuovamente reati.

L’importanza psicologica dell’uso della pornografia infantile era stata evidenziata già nel 2006 da Seto, Cantor e Blanchard del Centre for Addiction and Mental Health di Toronto che, in un campione di 685 soggetti di sesso maschile studiati nelle loro abitudini dal 1995 al 2004, trovarono che l’accusa di un reato di pornografia infantile costituiva un fedele indicatore diagnostico di pedofilia, molto più delle molestie materialmente perpetrate nei confronti di minori[3].

Sebbene la relazione fra pedopornografia e reati sessuali non è chiara in termini criminologici[4], da un punto di vista psicologico non ha bisogno di essere ulteriormente illustrata, e ben si comprende l’esplicita proibizione di fruire di tali immagini da parte di molti psicoterapeuti che puntano a determinare un apprendimento che condizioni almeno in termini cognitivi un diverso atteggiamento.

Un limite, che talvolta risulta evidente, dei trattamenti che tendono a modificare il comportamento senza aver determinato una riorganizzazione del funzionamento psichico che prescinda dalla componente pedofilica o, per dirla in termini psicodinamici classici, senza aver favorito un cambiamento dello stile psicoadattativo tipico della persona, consiste nel determinarsi di uno scompenso nel nuovo assetto cognitivo-comportamentale. Talvolta trattamenti che secondo i terapeuti sono stati condotti a termine con successo, non hanno fatto altro che istruire il paziente su ciò che è male, inducendolo a rifuggire le occasioni rischiose, in tal modo consentendogli di introiettare una serie di divieti e condizionamenti che gli impediscono di attingere alla sfera sessuale per nutrire l’equilibrio psichico, senza fornire un adeguato sostituto della componente sessuale dell’identità, su cui si fonda in parte il sentimento di autostima[5].

Anche per la psicoterapia il problema principale, come osservato più in generale in precedenza, consiste nel non accettare il trattamento da parte dei pedofili che in molti casi[6] non si sentono ammalati o portatori di una devianza.

In conclusione, si può facilmente affermare che la strada da percorrere è ancora lunga, e non soltanto quella della conoscenza scientifica che potrà consentirci di accertare con maggiore precisione le cause della pedofilia, consentendoci di distinguere tipologie cliniche, psicologiche ed umane diverse, ma anche quella della cultura in generale che dovrà affrontare con coraggio la contraddizione fra l’opinione diffusa che non vuole limitare la sessualità che non si esprime secondo i canoni eterosessuali generativi, e la protezione dei più piccoli ed indifesi membri della società da traumi psichici permanenti e da tutti gli altri rischi alimentati dalle attività che lucrano sulla mercificazione a scopo sessuale della vita umana (Si veda: Aggiornamenti – Sesso e Psicopatologia – Necessità di una nuova concezione).

 

La curatrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, autore della relazione qui sintetizzata e divisa in parti per i visitatori del sito.

 

Isabella Floriani

BM&L-Settembre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE DI AGGIORNAMENTO]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si veda anche p. 81 di Peer Briken, Andreas Hill e Wolfgang Berner, Abnormal Attraction. Scientific American MIND 20 (3): 76-81, 2009.

 

[2] Si pensi che sul computer di soggetti indagati per detenzione di materiale pedopornografico sono state rinvenute, nel corso delle indagini disposte dall’autorità giudiziaria, decine di migliaia e, talvolta, centinaia di migliaia di immagini. La detenzione di materiale pedopornografico in Italia è un reato, ma non è così in molti paesi e, dunque, in rete è molto diffuso lo scambio fra “collezionisti” di immagini acquistate in precedenza.

[3] Seto M. C., Cantor J. M., Blanchard R., Child pornograhy offenses are a valid diagnostic indicator of pedophilia. Journal of Abnormal Psychology 115 (3), 610-615, 2006. Si consiglia, a chi voglia approfondire l’argomento, l’interessante rassegna: Seto M. C., Pedophilia. Annu. Rev. Clin. Psychol. 5, 391-407, 2009.

[4] In proposito non vi è accordo, infatti se alcuni autori americani sostengono l’esistenza di un rapporto di causalità diretta fra la diffusione della pornografia infantile mediante internet e i crimini sessuali, altri autori come Briken, Hill e Berner -probabilmente con riferimento alla realtà tedesca- sostengono che non si è avuta una crescita dei reati sessuali a dispetto della rapida diffusione dell’uso di internet (Peer Briken, Andreas Hill e Wolfgang Berner, Op. Cit., p. 81).

[5] E’ comprensibile come ciò accada con una certa frequenza per gli omosessuali pedofili.

[6] Verosimilmente quelli in cui la componente genetica dell’orientamento sessuale ha un peso maggiore.