BM&L-ITALIA: SESSO E PSICOPATOLOGIA
NECESSITA’ DI UNA NUOVA CONCEZIONE
Attualmente con il termine “sesso” si indica un oggetto del
mercato globale delle parole e delle cose. Il vocabolo esprime ormai un
significato convenzionale che non appartiene più alla materialità anatomica e
fisiologica dei genitali, e sempre meno alle conseguenze dell’esperienza
passionale dell’eros, perché in entrambi i casi si rimanda
implicitamente ad un soggetto, ad una persona reale della quale si considera
una parte del corpo o del vissuto. La nuova astrazione semantica,
modellata su una categoria merceologica, ha assunto una sua dimensione
peculiare e indipendente che possiamo considerare, secondo che la si connoti
positivamente o negativamente, emancipata o avulsa dall’uomo
stesso.
Si può dire che prima di questa mercificazione, di fatto,
nella storia recente delle società più sviluppate, il sesso non era
pensato, e forse nemmeno ritenuto concepibile, come oggetto del tutto separato
dalla persona. Si deve andare molto a ritroso nel tempo, magari interrogando le
tracce archeologiche di civiltà arcaiche, per rinvenire rappresentazioni di
genitali che si suppone siano state investite di qualità sacra e considerate indipendentemente
dal corpo, ma è evidente che il processo mentale che ha ispirato una tale
separazione abbia seguito una logica opposta a quella della reificazione
contemporanea. D’altra parte si può notare che le rappresentazioni genitali
simboliche e sacre dell’antichità mitica, come le figure delle divinità
priapiche o le drammatizzazioni quali il rito dell’anasyrma[1],
nel potere sovraumano e mistico-magico che veniva loro attribuito, rimanevano
in continuità con la realtà naturale, influendo sulla dimensione
erotico-genitale come parte di un essere-soggetto, senza
snaturarla.
La medicina, nella tradizione filosofica recente, è spesso
criticata per la sua scomposizione dell’uomo in parti ed oggetti speciali, solo
parzialmente giustificata dall’esigenza tecnica implicita nel suo statuto che
si costituisce sulla dissezione come cardine logico e metodologico del suo
sapere e della sua prassi. Eppure, in medicina l’apparato genitale esiste
accanto a tutti gli altri apparati che compongono l’organismo, senza dei quali
la sua realtà non è pensabile, studiabile, conoscibile e diagnosticabile.
L’andrologo e il ginecologo hanno una formazione bio-medica generale e
collaborano con lo psicologo e lo psichiatra, perché i problemi della sfera
sessuale non sono avulsi dal complesso dell’organismo e dalla vita psichica del
soggetto.
Il taglio operato dalla creazione della categoria “sex”, nel
mondo mediatico e culturale internazionale, è più netto ed artificioso
oltre che privo delle giustificazioni tecniche ed etiche di una cura.
Il desiderio, l’attrazione e la passione erotica, integrano
l’esperienza umana contribuendo a definirne aspetti e valori, pertanto la
sessualità nel suo complesso può considerarsi parte costitutiva della radice
antropologica della cultura, del senso e della storia. Se si apprezza la
portata del valore ontologico di un tale riconoscimento, non si dovrebbe
considerare utile ed opportuna la cruenta dissezione di questa parte da
quel tutto costituito dall’unità mente-corpo, ossia da quella figura
nella quale siamo abituati a concepire l’individuo umano[2].
Nel corso dei secoli e per lunghi periodi storici, una parte
del pensiero e delle sue manifestazioni relative alla sessualità è stata
esclusa dalla coscienza collettiva mediante varie forme di censura e condanna
morale, ma non si è trattato tanto di una separazione-esclusione quale opposto
simmetrico dell’attuale separazione-esaltazione, quanto di strategie volte a
condizionare le coscienze in modo da indurle a vigilare esercitando una forma eteronoma
di inibizione che è stata spesso definita repressione sessuale.
L’ancien régime includeva tutte le pubblicazioni che
avessero per oggetto storie e pratiche sessuali nella categoria dei libri
ritenuti pericolosi, i quali erano curiosamente etichettati philosophical
books ed includevano pamphlet contro la monarchia, satire
anticlericali, fogli volgari dai contenuti mistificanti, e veri e propri
trattati di metafisica. La categoria “filosofica” escludeva senza degradare,
eliminava senza mettere all’indice, confinava nello spazio ristretto di una
prigione dorata le idee potenzialmente destabilizzanti dell’ordine sociale e
del sistema politico.
Ai primi dell’Ottocento, una nuova sensibilità non si
accontentava più dell’esclusione indiscriminata di tutto ciò che trattava o
illustrava argomenti sessuali ed erotici, introducendo criteri estetici di
giudizio dai quali nasce un nuovo concetto e la parola stessa che lo esprime: pornografia.
Lo sviluppo di un genere letterario pornografico con una sua
fisionomia ed autonomia culturale fu favorito, paradossalmente, da un
meccanismo di esclusione riservata, nella scia dei philosophical books
dell’ancien régime: le grandi biblioteche europee istituirono un settore
speciale cui era consentito l’accesso solo per motivi di studio. Questa
sezione, che a Parigi era chiamata Enfer e a Londra Private Case,
ammantata del fascino del proibito e protetta dalla giustificazione culturale,
finì per attrarre schiere di nobili, borghesi e cittadini di ogni condizione,
purché in grado di leggere e fingersi studiosi.
La maggior parte dei sociologi fa risalire all’inizio degli
anni Settanta, a seguito della contestazione sessantottina del concetto di osceno
e degli effetti culturali dei movimenti di liberazione sessuale, il
superamento della maggior parte delle forme legali di proibizione, censura e
repressione per i materiali di argomento erotico. In quel periodo il cinema
presenta un’esplosiva invasione di nudi e di scene dai contenuti sessuali
espliciti anche nelle pellicole rivolte ad un pubblico di famiglie, mentre si
vanno progressivamente specializzando e distinguendo fra loro il genere
erotico e quello pornografico. Si assiste, in quei giorni, allo
sviluppo del primo grande sfruttamento commerciale di massa degli impulsi
sessuali, al quale sono seguiti fenomeni temporanei e duraturi che hanno
riguardato o riguardano la stampa, la televisione, la telefonia e internet,
con l’impiego di immagini in formato analogico e poi, sempre più spesso,
in versione digitale[3]
per uso telematico.
Un aspetto che mi sembra rilevante nell’evoluzione
socio-antropologica più recente, attiene alla cosiddetta secolarizzazione
delle società, causa di un progressivo indebolimento, fino talvolta alla
scomparsa, del giudizio e del controllo esercitato dal singolo
sulle proprie azioni in base ad una morale sessuale religiosa fondata al
contempo sulla cultura collettiva e sulla spiritualità individuale. Questo
fenomeno ha determinato, nell’adulto medio, lo spostarsi dell’esercizio di
censura e del controllo del limite del consentito, dal livello
individuale intrapsichico a quello collettivo socio-legale, con la conseguenza
dello sviluppo di nuove figure di reato nella legislazione di molti paesi[4].
In passato il limite del lecito era generalmente
definito in conseguenza di un modello di rapporti umani centrato
sull’affettività familiare, che costituiva punto di partenza e di arrivo di un
percorso nel quale il formarsi della coppia rappresentava una fase intermedia:
“io desidero una persona, se questa persona desidera me, potremo formare una
coppia e dai nostri rapporti sessuali nasceranno figli con i quali avremo
costituito una nuova famiglia”. Le manifestazioni sessuali nate fuori da questo
modello, quanto più se ne discostavano, tanto più erano considerate “sbagliate”
e soggette ad una frequente auto-censura che generalmente si esercitava
attraverso la coscienza del peccato, consistente nel riconoscere di aver
tradito il patto simbolico con la divinità.
Oggi, con la perdita di tale impianto di coscienza
individuale e collettiva, non sostituito da un equivalente laico altrettanto
diffuso e saldamente fondato in chiave ontologica, si vive una crisi del
significato umano dell’esperienza sessuale.
Alla ideale convivenza di diversi modelli culturali
dell’esperienza umana auspicata negli scorsi decenni, ha fatto riscontro nella
realtà di questi anni una più modesta coesistenza di vari stili di vita,
accanto ad un indebolimento della volontà di affermazione della propria
autonomia di giudizio coltivata nell’esercizio della ricerca e nutrita del
gusto della logica. La maggiore diffusione di dati di conoscenza si è avuta
contestualmente ad un impoverimento culturale che ha ridotto gli strumenti
necessari alla loro interpretazione e ad una sempre più diffusa tendenza
all’inerzia intellettuale, in una realtà in cui l’istruzione è sempre più
lontana dalla cultura e sempre più vicina al know-how, come aveva
previsto quasi trent’anni or sono Jean-François Lyotard[5].
Si comprende come in questa realtà abbia fatto presa
l’invenzione del “sesso” quale oggetto di possesso e bene di consumo, generando
un’accentuazione ed un’accelerazione del processo di progressiva perdita di
integrazione della vita sessuale nel senso che un soggetto dà alla
propria vita nella catena di responsabilità fondata sulle unioni familiari, ed
abbia consolidato la tendenza all’appropriazione o alla rivendicazione di una
quota dell’oggetto del desiderio[6]
nei modi e nelle forme in cui ciascuno lo concepisce.
In tal modo si è finito per applicare ad una parte
dell’esperienza umana un paradigma politico-economico espresso mediante la tendenza
conservatrice verso un sesso come genere di lusso riservato ad una élite[7],
e la tendenza progressista a farne oggetto di rivendicazione per una
fruizione di massa.
Divenuto categoria merceologica, il sesso è stato
riconfigurato e gestito dalla microfisica di un potere quanto mai pervasivo ed
efficiente, perché sostenuto dalle risorse del mercato tecnologico in grado di
monetizzare e reinvestire con una rapidità ed un’estensione vertiginosa in un business
nel quale la domanda è potenzialmente universale. Basti pensare che
il giro di affari di questa categoria ha detenuto un primato incontrastato su internet
fin dall’inizio della diffusione del suo impiego, e solo di recente ha dovuto
cedere il primo posto in classifica al budget finanziario.
Il concetto stesso di libertà sessuale è stato alterato
dalla creazione di questo multiforme campo di offerta che ha
moltiplicato gli oggetti in vendita attingendo al repertorio delle figure,
delle forme e dei modi di ciò che era considerato perversione.
Il pedofilo, che non è attratto dai caratteri sessuali
maturi secondo la comune tendenza rinforzata nel corso dell’evoluzione dalla
selezione naturale, ritiene di poter rivendicare il suo oggetto sessuale
al quale ha diritto come fruizione di un bene, non importa che ciò che desidera
sia parte di un bambino con la sua volontà, dignità, sensibilità e
inviolabilità, perché lo trova come cosa che si acquista su internet
in forma di immagine.
Si è andato perciò indebolendo sempre più nella coscienza
collettiva il dato naturale dell’esperienza erotica come conseguenza
dell’incontro e della scelta di due persone, ossia parte di un rapporto umano
fondato su reciprocità e sentimenti, i quali, manifestandosi nella gamma a
tutti nota che va da quelli più nobili e duraturi a quelli i più egotici
e labili, contribuiscono a conferire, in chiave affettiva, un valore di senso
che la coscienza dei soggetti, sia pure con diversi gradi di urgenza e
consapevolezza, sembra richiedere. Perché, se è vero che è possibile avere
rapporti sessuali senza apparente investimento affettivo, è pur vero che nella
massima parte dei casi l’intimità fisica determina implicazioni psichiche che
si traducono in stati emozionali potenzialmente in grado di generare
instabilità, come nella ricerca di un nuovo equilibrio che richiede la
relazione con l’altra persona.
Oggi sappiamo che, in genere, i rapporti sessuali lasciano
nell’apparato psichico una traccia di appartenenza molto più estesa e
complessa di un semplice ricordo cosciente, verosimilmente per l’attivazione di
processi di lunga storia filogenetica, le cui basi neurobiologiche sono
attualmente oggetto di studio in varie specie animali[8].
Per rendersi conto di ciò che si può generare nella mente, anche a nostra
insaputa, è sufficiente pensare a quanto risulti intollerabile essere
misconosciuti o non compresi da una persona con la quale si è stati in intimità
fisica, anche se non si è legati da un rapporto affettivo stabile che dati da
tempo e si fondi su conoscenza e stima reciproca. Le risposte psichiche a
questo genere di esperienza presentano notevoli variazioni individuali, ma la
reazione di frustrazione è così frequente e nota da aver dato luogo ad
innumerevoli caratterizzazioni nelle forme espressive della letteratura, del
teatro e del cinema.
Ho scelto di citare la traccia di appartenenza
lasciata nell’encefalo dai rapporti sessuali, perché può bene rappresentare il
modo in cui il sapere biologico contribuisce alla nostra riflessione: non proponendo
un suo paradigma disciplinare, ma fornendo vincoli ed ancoraggi neurofunzionali
alle nostre elaborazioni[9].
Naturalmente il contributo delle discipline sperimentali ai lavori di questo
aggiornamento non si limita a fornire la base e i limiti alla speculazione
psicologica, ma avrà una sua autonomia, che sarà bene evidente nelle relazioni
che avremo modo di ascoltare a breve. Basti solo pensare che il sesso di una
persona è una componente biologica, prima ancora che psicologica,
dell’identità. Componente che prende parte a processi psichici fondamentali e
che si integra, talora in modo problematico, con la sua espressione sociale e
culturale rappresentata dal genere[10].
Ho voluto
proporre queste riflessioni di sapore filosofico, perché ritengo che le difficoltà
tecniche nell’individuazione e nella definizione della psicopatologia sessuale
si inscrivano in questo quadro culturale che è, in parte, anche terreno e
teatro[11]
della complessa crisi di crescita delle moderne neuroscienze. Se è banalmente vero che ogni sapere sull’uomo implicitamente si
colloca nella cornice della concezione antropologica dominante dell’epoca, è
tanto più vero che, se si partecipa alla costruzione di un nuovo sapere e ci si
accorge di vivere un tempo nel quale proprio codesta cornice è frantumata e
scomposta in frammenti che non tutti collocherebbero nelle stesse posizioni,
non si può fare a meno di porsi il problema della concezione dell’uomo e della
sua crisi.
In questa
prospettiva si comprende quanto sia importante conoscere e studiare la temperie
culturale in cui viviamo, per cercare di comprendere gli effetti che è in grado
di produrre sul modo di sentire e pensare, così come i segni che è in grado di
incidere su una nuova ed incerta figura antropologica che va emergendo
quasi come epifenomeno del gioco di interessi che si producono nella rete
globalizzata di rapporti di potere. E’ una figura che non è più causa del mondo
delle cose e dei fatti, ma un suo prodotto che lo rappresenta e lo
riproduce inconsapevolmente all’infinito, come se lo concepisse. E’ una figura
che, così presentata, pochi sembrano riconoscere, alla quale pare che nessuno
si ispiri, ma che, a quanto mi è dato comprendere, finirà per riguardare tutti.
Lo studio
psicologico delle persone che ho incontrato nel corso della mia vita mi ha
portato a dare importanza a tre elementi che fondano l’essere nella relazione:
l’identità, l’aspettativa e il ruolo. Tutti e tre questi
elementi sono intimamente connessi con il sesso e con le sue espressioni
psichiche, tutti e tre questi elementi sono interessati dalla mutazione
antropologica in corso.
Alla luce di
quanto ho fin qui considerato, si comprende con quale interesse abbia raccolto
la proposta di Giovanna Rezzoni di non limitare questo aggiornamento ad una
rassegna dei lavori più recenti e rilevanti, ma farne il momento iniziale di
una ricerca volta a riformulare sulla base delle più recenti acquisizioni
scientifiche dei concetti-guida sicuri ed affidabili, rinunciando a
definire e “normare” ciò che non conosciamo bene e che non si presta ad essere
ridotto ad oggetto scientifico o a categoria psicopatologica.
Approfitterò dell’occasione che mi è data dalla relazione
sui “criteri nosografici per le psicopatie sessuali” per proporre il mio
contributo in termini di esperienza, riflessioni e ragionamenti, allo sviluppo
di una nuova concezione della sessualità che consenta una coerente ed utile
revisione dei criteri di normalità e patologia. Proverò ad analizzare
dettagliatamente e puntigliosamente le incongruenze, i paradossi e gli errori
in cui è incorsa la commissione dell’American Psychiatric Association
nel suo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM-IV-TR) condizionando, per il suo
ruolo egemonico nella cultura e nella prassi psichiatrica, una parte
considerevole della ricerca e della pratica clinica.
Per introdursi a questo genere di problemi e comprenderne la
reale incidenza, non conosco migliore lettura di quella delle due recenti note
scritte da Giovanna Rezzoni e qui di seguito pubblicate come parte integrante
della scheda introduttiva.
Concludendo questa introduzione, prima di lasciare la parola
ai soci relatori, voglio ringraziare, come vuole la consuetudine molto
opportunamente introdotta da Giovanni Rossi, tutti i partecipanti, ciascuno nel
proprio ruolo e per le proprie competenze, per il contributo di idee e
materiali che hanno dato in fase di preparazione, ma molto più per quello che
daranno oggi durante questo incontro. Buon Lavoro.
Giuseppe Perrella
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ATTI SESSUALI NEL SONNO E SESSOSONNIA: UN
DIFFICILE PROBLEMA
Anche se la
finzione cinematografica, proseguendo un’antica tradizione di trame teatrali, è
prodiga di episodi in cui un partner annuncia all’altro di aver avuto
rapporti sessuali con questi a sua insaputa durante il sonno o una sbronza, la
maggior parte delle persone adulte sa per personale esperienza che un’attiva
partecipazione, anche agli atti più istintivi dell’amore fisico, richiede la
condizione psicofisiologica della veglia.
Ciò è vero, non
solo perché in quella speciale comunicazione non-verbale la scelta degli atti
finalizzati, dei gesti effusivi e delle risposte adeguate richiede una guida intenzionale cosciente dei repertori automatici patrimonio della specie,
ma anche perché l’intercorso implica sollecitazioni tattili e cinestesiche
d’intensità sufficiente a produrre, mediante le scariche eccitatorie del
sistema reticolare, l’attivazione nella corteccia cerebrale dello stato di
veglia.
L’effetto di
sostanze psicotrope in grado di deprimere la coscienza può complicare il
quadro, ma il risultato non contraddice l’esperienza comune, perché non si
registrano rilevanti dissociazioni fra stato mentale e comportamento, e generalmente
si nota un grado di passività che cresce proporzionalmente alla riduzione della
coscienza. Pertanto si può affermare, un po’ semplificando, che se una persona
è del tutto incosciente sarà anche completamente passiva nella condizione di
intimità, sicché in tale ipotesi non sussisterà lo status del rapporto
sessuale, ed un atto compiuto su una persona in tale circostanza potrà
facilmente configurare una situazione di abuso.
Una condizione
ben diversa è rappresentata dal caso, spesso confuso con i precedenti, in cui
un soggetto è cosciente durante l’amplesso, ma per effetto di un’amnesia,
spesso a carattere dissociativo, ne perde completamente il ricordo.
Tanto si ricava
dall’ordinaria esperienza relativa a persone non affette da specifici disturbi
sessuali, del sonno o di altro genere, e dall’osservazione dell’effetto su tali
soggetti di dosi non elevate delle sostanze psicotrope di più comune impiego;
aver presente questo quadro torna utile per tracciare una netta linea di
demarcazione tra il fisiologico e il patologico nelle riflessioni su una nuova
tipologia di manifestazioni connesse con la sfera sessuale e insorgenti nelle
ore notturne. Vediamo, in breve, i termini della questione e i motivi del
nostro interesse.
Negli ultimi anni
sono state descritte, in persone in apparente stato di sonno, varie forme di
attività erotica fino a rapporti sessuali fisiologici, e veri e propri atti di
violenza sessuale. Gli autori che per primi li hanno proposti all’attenzione
della comunità scientifica, hanno fatto rientrare questi comportamenti, posti
in essere prevalentemente durante il primo terzo dell’arco di tempo durante il
quale il soggetto dorme, nella categoria diagnostica dei disturbi del sonno; ma si può osservare che, considerata la scarsa
conoscenza che abbiamo della loro eziopatogenesi, potrebbero, del pari, essere
ritenuti disturbi
psichici che alterano il sonno.
L’interpretazione di queste manifestazioni e la loro collocazione nosografica sono ancora controverse, perciò non meravigliano le accese polemiche e gli intensi dibattiti sorti quest’estate a seguito della pubblicazione, su un’autorevole rivista di medicina legale, di un articolo di Ebrahim del London Sleep Center, in cui si cita il caso giudiziario di un imputato assolto da tre accuse di stupro sulla base della diagnosi di “automatismo dovuto a comportamento sessuale sonnambulistico” (Sonnambulistic sexual behaviour (sexsomnia). J. Clin. Forensic Med. 13, 219-224, 2006).
La questione non
è di poco momento perché investe i limiti della diagnosi di sonnambulismo, ma
soprattutto perché riguarda la natura dei processi cerebrali alla base di
questi fenomeni. Per un migliore inquadramento della problematica sarà
necessario attendere il raggiungimento di risultati inequivocabili e definitivi
da parte della ricerca che studia l’eziopatogenesi, perché l’esatta conoscenza
della fisiopatologia dei sistemi neuronici responsabili dei sintomi potrà
definire un preciso vincolo biologico per tutte le costruzioni interpretative
psicologiche e psicopatologiche, fornendo un miglior fondamento al ragionamento
giuridico volto a stabilire l’esistenza dei requisiti di responsabilità ed
imputabilità. Oggi, in assenza di un preciso riferimento a conoscenze
sperimentali, non si può far altro che l’analisi critica degli elementi in
nostro possesso.
Ripercorriamo
attraverso le due tappe più significative il breve percorso che ha preceduto
l’articolo di Ebrahim.
Nel 1999 Alves e dieci suoi collaboratori del Centro de Estudos do Sono dell’Università di San Paolo del Brasile studiano in dettaglio, mettendola in relazione con l’attività elettroencefalografia del sonno, una forma di parasonnia caratterizzata da comportamento sessuale in un giovane di 27 anni con anamnesi familiare positiva per il sonnambulismo, del quale era affetto egli stesso. In precedenza erano stati descritti sette casi di attività sessuali strutturate in soggetti dormienti, ma non erano stati messi in relazione con un disturbo del sonno in maniera così definita. Nel caso clinico descritto da Alves e colleghi, il primo episodio sonnambulico si ebbe all’età di 9 anni e, dai venti anni di età, cominciarono a manifestarsi durante il sonno episodi di comportamento violento e gravemente distruttivo che procurarono lesioni, oltre che allo stesso paziente, alla consorte ed al loro piccolo bambino. La moglie del giovane riferì agli psichiatri che negli ultimi quattro anni si erano anche verificati frequenti episodi di “amnesia sessuale”: il marito ne cercava spontaneamente l’intimità, facendola oggetto di attenzioni ed effusioni fino a giungere a rapporti sessuali completi e protratti, ma dopo mostrava di non ricordare assolutamente nulla. Da notare che il fratello del paziente, pur essendo del pari sonnambulo, non era mai andato incontro ad alcuna di tali manifestazioni. L’insieme delle peculiarità presentate da questo caso si possono riassumere nella presenza contemporanea di un disturbo comportamentale del sonno REM, e di sonnambulismo violento e non-violento con comportamenti sessuali durante il sonno NREM. Un ultimo, ma non irrilevante dato, riguarda la terapia: 2 mg al giorno di clonazepam potevano sopprimere la complessa sintomatologia (Alves R., et al. Sexual behavior in sleep, sleepwalking and possible REM behavior disorder: a case report. Sleep Res. Online 2, 71-72, 1999).
Nel 2003 Shapiro, Trajanovic e Fedoroff dell’Università di Toronto, in un lavoro che ha l’obiettivo dichiarato di descrivere una nuova parasonnia e il non celato scopo di attribuirsi la paternità della definizione di un nuovo disturbo psichiatrico, coniano il termine “sexsomnia” (reso in italiano con sessuosonnia o sessosonnia) per indicare il complesso dei comportamenti erotici manifestati da undici pazienti durante le fasi di sonno ad onde lente (NREM). Come è noto le parasonnie, il prototipo delle quali è il sonnambulismo, consistono nell’anomala attivazione durante il sonno di sistemi fisiologici normalmente attivi nella veglia; un tratto ritenuto caratterizzante, soprattutto dagli psichiatri del Nord-America, è l’insorgenza durante le fasi NREM, ossia quelle non accompagnate dai rapidi movimenti degli occhi (REM) associati all’attività onirica. La sessosonnia sembra, pertanto, possedere i requisiti che soddisfano i criteri per la definizione di parasonnia, ma, affinché non la si ritenga una particolare manifestazione di sonnambulismo, Shapiro, Trajanovic e Fedoroff hanno proposto una distinzione basata su tre caratteristiche del disturbo sessuale: 1) risveglio automatico più marcato; 2) attività motorie relativamente ristrette e specifiche; 3) frequente presenza di stati mentali legati al sogno (Sexsomnia – a new parasomnia? Can J Psychiatry 48, 311-317, 2003).
Da questa prima
definizione di sessosonnia, ormai largamente accettata oltre oceano, sembra
sia trascorso molto tempo, se giudichiamo il tono che traspare dalla forma in
cui sono scritte le pubblicazioni più recenti, dalle quali si può ricavare
l’impressione che vi sia una scienza consolidata a supporto della nuova
categoria nosografica, anche se è facile rendersi conto che nulla di nuovo e
rilevante è stato accertato negli ultimi tempi. Alcune delle prudenti e
provvisorie formulazioni iniziali sembrano essere scomparse, per lasciare il
posto ad un rigido schematismo dovuto a null’altro che alla scelta di adottare
una nuova convenzione nella classificazione e non a progressi nella conoscenza
che abbiano risolto i numerosi dubbi sulla natura di tali disturbi.
L’elenco di tutte
le obiezioni che si possono muovere all’adozione di un criterio che include
nella stessa categoria la vocalizzazione notturna di parole dal valore
semantico erotico e la messa in atto di un’azione violenta e criminosa come uno
stupro, prenderebbe pagine e pagine investendo, probabilmente, temi e problemi
che esulano dai limiti di questo scritto e dalle competenze di chi scrive,
oltre che argomenti di altre aree calde del dibattito in psichiatria, quale
quella relativa ai criteri nosografici imposti dalla commissione dell’APA
attraverso il manuale DSM, o la discussione sui metodi, sui fini e sull’utilità
delle categorie diagnostiche in psichiatria. Ci limiteremo, pertanto, solo ad
alcuni rilievi critici strettamente inerenti alla caratterizzazione del
disturbo, anche allo scopo di tener vivi nella nostra mente alcuni problemi
irrisolti dalla creazione di codesta nuova casella nosografica e, ci sia
consentito, per stimolare anche chi legge, affinché non ne resti passivo
l’intelletto di fronte all’apparenza di un hortus conclusus, in
osservanza di quella vecchia definizione dei pionieri delle scienze cognitive
che poneva al primo posto, fra i tratti distintivi dell’intelligenza, la
capacità di porsi un problema.
La prima
questione che discuteremo brevemente riguarda il sonnambulismo come prototipo
di parasonnia e la sua distinzione dalla sessosonnia.
Un punto, su cui
l’insegnamento tradizionale delle scuole di psichiatria europee ed il DSM-IV-TR
concordano, è l’importanza e insieme la difficoltà di distinguere il
sonnambulismo dalla simulazione o da altri comportamenti volontari che si verificano durante la
veglia. A tal fine il manuale
diagnostico e statistico dell’American Psychiatric Association suggerisce:
“Manifestazioni che fanno pensare ad un Disturbo di Sonnambulismo includono una
storia positiva nella fanciullezza, comportamenti low complexity o
stereotipati durante gli episodi di sonnambulismo, assenza di vantaggio
secondario derivante dal comportamento notturno e presenza di tipici reperti
polisonnografici quali ripetuti risvegli dal sonno NREM. Inoltre, per certi
soggetti è difficile apparire o comportarsi come un sonnambulo sotto diretta
osservazione o in una registrazione video fatta nel laboratorio del sonno” (DSM-IV-TR, 687-688, ed. It.,
Masson 2001).
Dunque, perché si
possa dire di trovarsi in presenza di un sonnambulo e non di un abile
simulatore o di una persona affetta da un disturbo psichico che ne altera le
attività coscienti, è necessario che il comportamento sia caratterizzato da bassa complessità o da stereotipie,
come si addice ad un automatismo privo di accesso alle modulazioni della
coscienza, cieco ai numerosi feed-backs provenienti dall’ambiente e
sordo alle esigenze della comunicazione. La sessosonnia, caratterizzata da
Shapiro, Trajanovic e Fedoroff per attività motorie specifiche, prevede comportamenti altamente organizzati in
alcuni casi. Infatti, oltre a violente masturbazioni che possono essere messe
in atto con semplici gesti ripetitivi, sono riportati casi di uomini che
compiono atti sessuali completi ed articolati scegliendo, oltre alla comune
penetrazione vaginale, la penetrazione orale ed anale (Ebrahim et al. Sonnambulistic sexual behaviour (sexsomnia). J.
Clin. Forensic Med. 13, 219-224, 2006). La descrizione di questi comportamenti complessi
contrasta apertamente con il criterio di bassa complessità e stereotipie di
moto.
Un altro criterio
per la diagnosi differenziale è l’assenza di vantaggio secondario
dovuto al comportamento notturno. Nel caso descritto da Alves nel 1999 è
difficile pensare all’assenza di un vantaggio secondario: il giovane brasiliano
presentava comportamenti violenti ed aggressivi che avevano indotto timore
nella partner, solo dopo anni è comparsa l’attività sessuale in sonno
che ha in parte sostituito il comportamento aggressivo ed è stata bene accetta
dalla moglie. Come non ritenere la reazione positiva della moglie un classico
effetto collaterale positivo del sintomo o, come si dice nel gergo psichiatrico
di origine psicoanalitica, un vantaggio secondario?
Fino a questo punto, quindi, l’aderenza al modello del sonnambulismo come parasomnia da parte della sessosonnia è quanto meno problematica, tuttavia si può obiettare che il sonnambulismo sia ritenuto prototipo perché forma più nota e frequente, ma potrebbe non essere un modello astratto e completo delle caratteristiche di ogni parasonnia, senza che ciò infici il criterio dell’esistenza della sessosonnia come disturbo indipendente della stessa categoria. Allora, il tratto comune a tutte le forme di parasonnia rilevato dagli psichiatri nordamericani, ossia l’indipendenza dal sonno REM legato ai sogni, assume un particolare rilievo come elemento di caratterizzazione. Eppure, come abbiamo visto in precedenza, in aperto contrasto con questo tratto, il punto “3” della lista degli elementi che secondo Shapiro e colleghi caratterizza la sessosonnia, è proprio la “frequente presenza di stati mentali legati al sogno” (Sexsomnia – a new parasomnia? Can J Psychiatry 48, 311-317, 2003).
Un altro aspetto
problematico è dato dal fatto che gli episodi di comportamento erotico solo
raramente sono registrati o direttamente osservati nei cosiddetti laboratori
del sonno. A questo si aggiunga la tendenza a raccogliere anamnesi orientate da
un sospetto diagnostico o dalla stessa inclusione in un campione sperimentale
definito sulla base degli interessi dei ricercatori; tale bias
metodologica, associata a tempi troppo brevi di studio dei pazienti e di
diretto contatto con loro, priva spesso di informazioni preziose che potrebbero
portare ad inquadrare in maniera del tutto diversa i sintomi rilevati.
Un problema più
radicale è l’utilità dell’individuazione della sessosonnia come disturbo
indipendente, visto che i “comportamenti sessuali durante il sonno” sono già
patrimonio della diagnostica psichiatrica e la loro interpretazione avviene
sulla base dello studio complessivo e approfondito della singola persona.
Si può anche
osservare che le descrizioni di rapporti sessuali in stato di trance da
parte di pazienti isteriche non erano rare nel passato; con l’abolizione della
categoria nosografica dell’isteria da parte dell’APA, e con la conseguente scomparsa
di tutti gli studi ad essa connessi dal curriculum di formazione dei medici e
degli psichiatri, si è smesso di pensare a questi sintomi in termini di
personalità e stati mentali complessivi.
Le considerazioni
di chi scrive sono anche, in parte, il frutto di riflessioni derivate da
un’interessante discussione con il presidente di BM&L-Italia che,
concludendo la conversazione, mi ha lasciato con una considerazione che vi
propongo qui di seguito, sperando che stimoli le vostre riflessioni tanto quanto
ha stimolato le mie.
“Quando si parla
di questi argomenti siamo fortemente limitati da due condizionamenti culturali
che riguardano la coscienza o, meglio, il concetto di coscienza cui siamo
soliti riferirci: il primo è dato dalla tendenza a considerarla come un’entità
monolitica, ed il secondo è rappresentato dal trascurare l’esistenza della sua
base strutturale e funzionale quando non si manifesta nelle caratteristiche
attività della veglia che ne costituiscono l’esperienza comune. Dimentichiamo
che l’essere coscienti e auto-coscienti è solo una conseguenza o un aspetto di
un’attività neuronica complessa che è anche somma di numerosi processi
distinti. Le questioni relative alle parasonnie si possono considerare, in
questo senso, correlate al sostrato neurale della coscienza. Possiamo concepire
questo sostrato come un complesso insieme di sistemi che esprime un’attività
globale evidente nella sincronia delle oscillazioni del V strato della
corteccia cerebrale. Se ne consideriamo due stati di equilibrio ideali, quali
lo stato di massima attivazione nella veglia e lo stato di attivazione minima
nel sonno, possiamo facilmente concepire le parasonnie come un difetto
nell’inibizione corticale necessaria a mantenere l’equilibrio dello stato di
sonno profondo. Poiché la maggioranza delle sinapsi corticali è inibitoria e la
stragrande maggioranza di queste è GABA-ergica, si spiega facilmente
l’efficacia di una benzodiazepina come il clonazepam che esercita un effetto
GABA-agonistico legandosi al sito BZ del recettore del GABA”.
L’autrice della
nota ringrazia il presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, per i
suggerimenti, le correzioni e le integrazioni al testo.
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ESIBIZIONISMO E VOYERISMO IN SVEZIA
RIVELANO UN PROBLEMA
Una tendenza
culturale che si è andata affermando negli ultimi decenni, tanto negli USA
quanto in Europa, vuole che ogni comportamento attinente alla sfera sessuale,
anche il più insolito ed artificioso, sia ostentatamente considerato normale,
nel timore che chi esprime il giudizio possa essere tacciato di arretratezza o
di atteggiamento discriminatorio e intollerante nei confronti di coloro che
compiono atti diversi e lontani dall’accoppiamento riproduttivo. Questo stile politically
correct ha contribuito a rafforzare e diffondere una sorta di convinzione
preconcetta, secondo cui non esisterebbe una patologia psico-sessuale,
ma solo diversi modi di sentire e interpretare il desiderio erotico, come se tutto
e sempre fosse frutto di una libera scelta. La sincera convinzione che
le cose stiano davvero in questo modo, ha indotto molti maîtres à pansée
ed opinion makers ad erigere un muro difensivo ideologico a garanzia di
inviolabilità della libertà sessuale e a screditare ogni forma di sapere volto
a conoscere le peculiarità e l’origine di disturbi che invece, talvolta,
possono rivelarsi gravemente invalidanti per chi ne è affetto, o contribuire a
determinare lo sviluppo di altri problemi psichici.
D’altra parte, se
è vero che ogni valutazione che investa persona, personalità ed
identità, pone problemi sconosciuti a una semplice dicotomia
normale/patologico come quella della medicina fisica che può basarsi sul valore
numerico di un dato bioumorale, è altrettanto vero che l’esistenza di una
patologia della sfera dell’eros, non intesa come devianza dalla norma
socioculturale ma come conseguenza di un funzionamento neuropsichico anomalo, è
una realtà inconfutabile. Questione diversa è quella della esatta definizione
dei limiti fra normale e patologico che, spesso agitata come minaccioso
fantasma nel corso di dibattiti ideologici, non costituisce un problema
insormontabile, a meno che non la si elegga a pretesto dialettico per insinuare
il sospetto di infondatezza in ogni approccio psichiatrico e sessuologico,
perché se è pur vero che esistono condizioni in cui è difficile o impossibile
tracciare un confine, ve ne sono molte altre in cui la distinzione si presenta
con solare evidenza, come sa ogni psichiatra esperto.
Il quadro appena
delineato è complicato dall’egemonia dei criteri fissati dalla classificazione
dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association (APA), tutti
centrati sul comportamento ed estranei alla migliore tradizione della
psichiatria scientifica che, tralasciando ogni aspetto comportamentale dovuto
alla fantasia, al costume o alla bizzarria di persone non affette da disturbi
mentali, ha cercato di identificare, caratterizzare e curare processi mentali
patologici. E’ ovvio che spostando l’attenzione dai processi intrapsichici -e
dal loro substrato neurale- al comportamento, sia più facile assimilare e
confondere il gusto inconsueto di una persona sana con il sintomo di un
ammalato.
I rischi che si
corrono nel focalizzare l’attenzione sulle manifestazioni comportamentali si
possono bene sintetizzare, a mio avviso, nelle due ragioni per cui, secondo il
nostro presidente, la psichiatria non si può ridurre a scienza del
comportamento.
La prima,
Giuseppe Perrella la rintraccia in uno spunto di saggezza di Giovenale: “Duo
cum faciunt idem non est idem”, che riassume bene quanto il senso più autentico
e profondo delle azioni umane risieda nella mente di chi le compia. La seconda,
in una citazione di Salvador Dalì, il cui significato per essere compreso
richiede che si illustri brevemente il contesto nel quale si colloca la frase.
Il celebre
pittore surrealista, con l’aiuto dello psicanalista Jacques Lacan, aveva creato
un personaggio, completo di autobiografia patologica, ispirato all’altezzosa grandeur
di un paranoico che portava mantello, pizzo e baffi nella foggia seicentesca di
Velazquez, e un bastone -come quello che il massimo pittore spagnolo adoperava
per appoggiare la mano destra nel dipingere i dettagli- brandito a mo’ di
scettro regale. Dalì interpretava da consumato attore questo ruolo per creare
curiosità, attenzione e interesse intorno alla sua figura e, a chi chiedeva
quanto vi fosse di vero, amava rispondere: “La differenza fra me e un pazzo è
che io non sono pazzo”. In altre parole: l’unica differenza è in un elemento
non visibile, nascosto nella mia psiche, trascurato da chi si fa semplice
spettatore, ma detentore del senso di ciò che si vede. L’artista metteva in
scena la follia sul palcoscenico del mondo, rendendola parte della realtà, ma
avvertiva: tutto ciò è comportamento e, in quanto tale, forma e figura
che esprime o cela una verità che solo la mia mente può rivelarvi.
A tali due
spunti, tratti dai seminari del nostro presidente, voglio aggiungere il
riferimento ad un aneddoto di tradizione indiana. Si narra di un uomo che aveva
trascorso la sua vita fino ad età matura in silenzio, sedendo immobile su di
una pietra, tanto da essere ritenuto muto, paralitico e demente. Un giorno, fra
lo stupore di tutti, parlò e chiese che gli fosse condotto uno scriba, al quale
da allora in avanti, per tutto il resto della sua vita, dettò i suoi pensieri.
Così nacquero alcuni dei più straordinari libri di saggezza indù.
Dunque, il
criterio ispiratore dell’APA sembra più vicino a quello della doxa
popolare che considerava matto Salvador Dalì e demente il saggio indiano, che a
quello del ricercatore, del medico, del filosofo o del semplice uomo di buon
senso che non si accontenta delle apparenze.
La vecchia
categoria nosografica delle psicopatie (tutte le sindromi
psichiatriche erano ripartite in tre gruppi: nevrosi, psicosi e psicopatie)
includeva le devianze
sessuali -secondo Freud espressione
di pulsioni parziali- oggi classificate fra le parafilie
dall’APA nel suo manuale diagnostico e statistico giunto alla IV edizione
riveduta (DSM-IV-TR; si nota di passaggio che la V edizione non è ancora
entrata in uso). Pur con i limiti delle
conoscenze dell’epoca, l’analisi psicopatologica classica aveva identificato
dei criteri diagnostici coerenti con l’impostazione teorica e costantemente
confermati dalla pratica clinica; alcuni di questi criteri sono ritenuti
tuttora validi da varie scuole europee. Ad esempio, un elemento nucleare,
imprescindibile e diacritico nella diagnosi di sadismo, è il piacere -talvolta con caratteri di manifesto piacere
sessuale- che il soggetto prova nel procurare sofferenza alla sua vittima; allo
stesso modo non si dà masochismo se non si rileva piacere intenso
nel procurarsi dolore. L’elemento centrale della diagnosi è lo stato mentale
della persona. Leggiamo invece nel manuale DSM-IV-TR: “Per il Sadismo Sessuale,
viene formulata la diagnosi se la persona ha agito sulla base di questi impulsi
con una persona non consenziente”(“Criterio B” del DSM, v. DSM-IV-TR, pp. 605 e 613, ed. It.,
Masson 2001). Questo non è un
criterio psicologico o psicopatologico, al più può appartenere alla ratio
del Diritto Penale. Sarebbe come dire che uno è affetto da alcolismo se ruba
bottiglie della bevanda alcolica preferita.
Un ultimo
riferimento ai criteri del DSM prima di occuparci dello studio che costituisce
l’oggetto principale di questa nota.
Ad un recente
convegno sull’argomento, un neurobiologo ha chiesto agli psichiatri su quale
base l’American Psychiatric Association avesse deciso che il criterio
principale per la diagnosi di tutte le parafilie
(esibizionismo, voyeurismo, pedofilia, sadismo, masochismo, ecc.) fosse la
durata superiore ai sei mesi (“Criterio A” del DSM, v. DSM-IV-TR, pp. 605 e 613, ed. It.,
Masson 2001). Lo psichiatra che
presiedeva l’assise, un po’ imbarazzato, gli ha risposto qualcosa circa la
necessità che i sintomi durassero molto, perché simili disturbi generalmente
hanno un carattere cronico e strutturale. Ma il neurobiologo, che sulle prime
aveva supposto l’esistenza di un motivo neurofunzionale o psicologico, ha
insistito: “Sì, ma chiedo perché proprio sei mesi?”. Nessuno ha saputo o
voluto dargli una risposta.
L’insieme dei
criteri diagnostici del DSM per le parafilie è un autentico pasticcio, che
mostra incompetenza perché ignora i contenuti salienti del funzionamento
mentale delle persone che presentano tali disturbi ed amplifica aspetti formali
ed artificiosi, in una mescolanza di convenzioni mediche e convenzioni
giuridiche male applicate. Ad esempio, i 180 giorni sono un limite
convenzionale adottato per il giudizio di cronicità in varie patologie
internistiche, quali ad esempio le epatiti, ma in tali casi la durata temporale
corrisponde a precisi indici prognostici verificati su una base
clinico-sperimentale. Allo stesso modo è improprio il criterio dell’assenza di
consenso, perché propone per la diagnosi di desumere uno stato mentale
patologico (il sadismo sessuale) di una persona, dall’atteggiamento mentale (non
consenziente) di un’altra che, in questo caso, è vittima del comportamento
originato dalla presunta patologia che si intende accertare.
Si comprende,
perciò, il valore che attribuiamo ad ogni studio che si prefigga una migliore
conoscenza dei disturbi sessuali mediante un’osservazione ed un’elaborazione
non condizionata dai criteri DSM.
In particolare, il lavoro di Langstrom e Seto del “Centre for Violence Prevention” del Karolinska Institutet di Stoccolma, condotto su un campione nazionale della popolazione svedese, ci ripropone la necessità di un accurato studio dei processi psichici e del vissuto cosciente delle singole persone per poter comprendere il significato di un comportamento (Langstrom N. & Seto M. C., Exhibitionist and Voyeuristic Behavior in a Swedish National Population Survey. Arch Sex Behav. [Epub ahead of print] Aug 11, 2006).
La ricerca, parte
di un esteso studio avviato nel 1996 e condotto su tutto il territorio
nazionale della Svezia allo scopo di raccogliere dati relativi a molti aspetti
della salute e della sessualità, è stata realizzata intervistando un campione
significativo della popolazione generale del paese, costituito da 2.450
volontari di entrambi i sessi e di età compresa dai 18 ai 60 anni. Langstrom e
Seto hanno in particolare studiato la prevalenza e i correlati della presenza
nella popolazione di comportamenti esibizionistici e voyeuristici definiti
sulla base di episodi in cui gli intervistati abbiano esperito un’eccitazione
sessuale nel mostrare i propri genitali ad una persona sconosciuta
(comportamento esibizionistico) o nell’osservare altri durante i loro rapporti
sessuali (comportamento voyeuristico).
Fra i volontari
che hanno risposto, 76, corrispondenti al 3,1%, hanno riferito di aver esperito
almeno una volta eccitazione sessuale nell’aver mostrato i genitali ad una
persona sconosciuta, e ben 191 fra coloro che hanno dato risposta, ossia il
7,7% del campione, hanno riferito di essersi eccitati sessualmente nello spiare
delle persone che avevano rapporti sessuali. Complessivamente il 10,8% del
campione. Sono state studiate, poi, le possibili associazioni dei comportamenti
esibizionistici e voyeuristici con una serie di variabili: 17 legate alla
sessualità, 9 a condizioni sociodemografiche, 5 alla salute e 4 alla ricerca
del rischio.
Entrambe queste
forme di comportamento prossime alla parafilia mostravano associazione positiva
con l’appartenenza al sesso maschile, con un più basso grado di soddisfazione
esistenziale, un più alto tasso di problemi psicologici, un maggiore uso di
alcool e droghe. Per ciò che riguarda la vita sessuale dei soggetti
intervistati, l’associazione positiva è stata riscontrata con la presenza
rispetto alla media di maggiori interessi ed attività sessuali, incluso un
maggior numero di partners, una maggiore eccitabilità sessuale, una
maggiore frequenza di masturbazione, un più elevato uso di materiale
pornografico e una maggiore probabilità di aver avuto un partner dello stesso
sesso.
Coerentemente con
quanto riportato in altre ricerche condotte su campioni clinici di persone
affette da parafilie, coloro che hanno riferito eccitazione sessuale nel
mostrare i propri genitali e nell’osservare rapporti sessuali, presentavano con
maggiore frequenza altri comportamenti sessuali atipici quali travestitismo e
sadomasochismo. Sono stati dimostrati rapporti generali e specifici fra
fantasie sessuali e comportamento parafilico dei soggetti intervistati.
Non sfugge ad
alcuno che le differenze di costumi e cultura sessuale fra la Svezia e gli
Stati del Continente europeo di più marcata cultura cristiana e vari Stati
americani (gli Stati della cosiddetta Bible Belt, lo Utah, ecc.) sebbene
si siano attenuate negli anni recenti, non sono del tutto scomparse. E questo
aspetto deve essere tenuto nel debito conto, anche in considerazione del fatto
che ciò che appartiene al costume di un popolo entra a far parte del modo di
vedere, sentire ed interpretare un comportamento. Dove la copertura del corpo è
stata storicamente impiegata sempre per difendersi dal freddo e non per
occultare i genitali allo sguardo “peccaminoso” di altri, è prassi costante che
nelle saune, nelle palestre, nelle piscine, nei campi naturistici, si mostrino
i propri genitali e si vedano quelli di estranei di entrambi i sessi. Dove il
contatto erotico e i rapporti sessuali non hanno una storia millenaria di
legame esclusivo con la responsabilità sociale attraverso un vincolo
matrimoniale indissolubile, si comprende che i limiti alle manifestazioni
pubbliche della propria sessualità non siano stati tradizionalmente oggetto di
un controllo sociale, ma siano stati più spesso definiti da ragioni di
opportunità, buon gusto, igiene o etichetta.
Ma, seguendo gli
insegnamenti del nostro presidente, possiamo mettere il dito nella piaga di ciò
che viene spesso trascurato dagli psichiatri, ossia: 1) l’accertamento di
quanto la condotta sia irrinunciabile, 2) che ruolo abbia nell’adattamento
psichico del soggetto, e 3) perché abbia assunto tale ruolo – ad esempio, ciò
si potrebbe essere verificato per una dinamica di compenso e non per uno
specifico processo di origine psico-sessuale; in tal caso le manifestazioni
comportamentali rappresentano una traccia per un ben diverso percorso
diagnostico.
Si tratta di tre
quesiti di fondamentale importanza ai quali si deve cercare, con l’aiuto della
persona esaminata, di dare una risposta nell’ambito di un più complessivo
studio della psiche, non solo per una corretta diagnosi differenziale, ma anche
per non correre il rischio di scambiare un comportamento volontariamente scelto
in assenza di proibizioni, limiti o divieti, o magari generato progressivamente
da cedimenti a pressioni ambientali, per il segno di una specifica patologia.
L’autrice della
nota ringrazia il presidente di “BRAIN MIND & LIFE - ITALIA”, Giuseppe
Perrella, con il quale ha lungamente discusso ed approfondito l’argomento
trattato.
[1] Nel gesto rituale dell’anasyrma, il sollevamento di
una sottana femminile rivela un fallo che, pur trascendendo il valore
biologico, si presenta nella sede naturale dell’individuo falloforo.
[2] Mi riferisco in generale alla concezione “wholistic” di
Linda Faye Lehman che accomuna i soci di BM&L, ma più in particolare agli
esiti della nostra ricerca sviluppata nel corso del seminario sull’Arte del
Vivere.
[3] Mi piace ricordare che il termine suona improprio in
italiano e, infatti, deriva da una resa “ad orecchio” del termine inglese digital
che vuol dire cifrato; le cifre numeriche si chiamano in fatti digits
in inglese.
[4] L’apparente aumento di sensibilità dei legislatori,
espressione di un supposto grado più avanzato di civiltà del popolo che li ha
eletti, non ha riscontro in una realtà complessivamente più progredita sul
piano etico e le nuove legislazioni evidenziano in vari Paesi occidentali,
incluso il nostro e gli Stati Uniti d’America, stridenti contraddizioni. Ad
esempio, si hanno condanne penali o richieste di ingenti risarcimenti per aver
toccato una parte del corpo coperta da indumenti, in paesi in cui gli stupri di
donne rimasti impuniti aumentano ogni anno e le violenze quotidiane su un
numero impressionante di bambini rapiti, venduti, violentati, fotografati e
talvolta uccisi, rimangono impunite anche per effetto della protezione
esercitata da potenti lobbies di criminali che sfruttano la pedofilia.
[5] “L’antico principio secondo il quale l’acquisizione del
sapere è inscindibile dalla formazione (Bildung) dello spirito, e anche
della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso. Questo rapporto fra la
conoscenza ed i suoi fornitori ed utenti tende e tenderà a rivestire la forma
di quello che intercorre fra la merce ed i suoi produttori e consumatori, vale
a dire la forma valore. Il sapere viene e verrà prodotto per essere venduto, e
viene e verrà consumato per essere valorizzato in un nuovo tipo di produzione:
in entrambi i casi per essere scambiato.” (Jean-François Lyotard, La
condizione postmoderna – rapporto sul sapere, p. 12, Feltrinelli, Milano
1981. In
originale: La condition postmoderne. Les Editions de Minuit, Paris
1979).
[6] Frequentemente considerato alla stregua di un bisogno.
[7] Un esempio in tal senso sono le case, i parchi e i villaggi
del sesso, realizzati come ambienti di lusso dotati di ogni comfort e di
consulenze mediche e psicologiche.
[8] Si veda, in proposito, la nostra nota sulla monogamia
legata al rapporto sessuale nel criceto Microtus ochrogaster (Note e
Notizie 14-01-06 Un atto sessuale che lega una coppia per sempre).
[9] Mi riservo di presentare, in sede di discussione, degli
esempi, alcuni volti ad illustrare i casi in cui il dato sperimentale aiuta a
demistificare un errore dovuto a bias, ed altri in cui il dato biologico
consente di recuperare nozioni della psichiatria fenomenologica, della
psicoanalisi e del senso comune.
[10] Ho studiato l’argomento molti anni fa, dal punto di vista
della clinica psichiatrica, dedicandovi alcuni scritti, ne riprenderò due per
la relazione “Identità ed identità sessuale”.
[11] Etimologicamente theatron è il mezzo attraverso il
quale si contempla un fatto dello spirito.