LA RICERCA SULLA PEDOFILIA

 

(PRIMA PARTE)

 

PREMESSA. La ricerca, nei vari campi in cui si articola lo studio della pedofilia, ha ottenuto alcuni risultati di rilievo ma, nel suo complesso, procede in forma discontinua e a rilento. Le ragioni di tali difficoltà sono numerose, ma di sicuro ha un ruolo deterrente il fatto che i ricercatori e i clinici impegnati in questo settore sono spesso posti in cattiva luce dall’informazione e considerati dall’opinione pubblica alla stregua di difensori o complici di crimini quali abusi, torture e omicidi, di cui si rendono responsabili adulti pedofili[1]. In proposito va subito detto che non tutti gli adulti che abusano di bambini rientrano nella diagnosi psichiatrica di pedofilia e non tutti i pedofili diventano criminali. Tuttavia, è difficile separare nell’immaginario collettivo un’attrazione sessuale abnorme e innaturale dalle sue peggiori conseguenze, che il grande giro d’affari della pedopornografia in rete ha espanso in un orrore e una barbarie senza precedenti.

Molti ricercatori negli USA stanno provando a diffondere nell’opinione pubblica la convinzione che la pedofilia, nella maggior parte dei casi, possa essere considerata come un disturbo psichico da studiare e curare, ma la maggioranza dei cittadini statunitensi non vuole che si spenda denaro pubblico per questi studi e ritiene che si debbano concentrare gli sforzi sulla repressione e sulla prevenzione del crimine individuando i pedofili mediante il controllo dell’uso di internet[2].

A queste considerazioni si deve aggiungere un’altra difficoltà che incontra lo studio scientifico della pedofilia, consistente nella mancanza di un quadro culturale univoco entro cui concepire lo studio e interpretare i dati ottenuti (si veda in proposito: Aggiornamenti – Sesso e Psicopatologia – Necessità di una nuova concezione).

Le figure criminologica, sociologica, psicologica, psichiatrica e biologica del pedofilo non coincidono, e questo complica il rapporto degli autori dei progetti di ricerca con le fonti pubbliche e private di finanziamento.

Si pensi, ad esempio, alla differenza psicologica che sussiste fra un comportamento indotto dalla degenerazione di un costume, come quello di andare con prostitute sempre più giovani fino ad avere rapporti sessuali con una minorenne, e la spinta erotica evocata solo dai caratteri infantili che trova un compromesso nel corpo di una ragazza che appaia immaturo come quello di una bambina. Nel primo caso è evidente il ruolo giocato da fattori sotto-culturali e, fino a prova del contrario, non vi è una radice psicopatologica; nel secondo caso esiste un elemento cardine per sospettare una pedofilia e si giustifica l’inclusione in un campione per lo studio dei tratti genetici. Entrambi i casi, invece, sono inclusi nella stessa categoria in molti studi di impronta sociologica, giuridica e politica, con un’inevitabile influenza su giornalisti e opinion makers, in grado di condizionare chi non abbia una specifica formazione, inclusi coloro che si occupano del finanziamento della ricerca. Un altro esempio di ostacolo indiretto dell’ambiente culturale allo studio sperimentale, lo troviamo nei rapporti fra pedofilia ed omosessualità. Nell’esperienza clinica di molti psichiatri in tutto il modo c’è il rilievo di una maggiore incidenza di sentimenti e condotte pedofiliche negli omosessuali maschi rispetto alla generalità dei pazienti: una tale associazione andrebbe accuratamente studiata in campioni estesi, ma molte organizzazioni in difesa dei diritti degli omosessuali, vista la cattiva fama dei pedofili, con un efficace attivismo militante intervengono sistematicamente proibendo, scoraggiando o disturbando la trattazione di questo argomento da parte di programmi televisivi, rubriche giornalistiche e perfino lezioni universitarie[3].

In questa breve rassegna, limitata ai principali studi condotti nel campo delle neuroscienze, si farà riferimento prevalentemente alla concezione psichiatrica della pedofilia, adottata dalla maggior parte degli studi di impronta biologica, psicologica e medica.

 

LA PEDOFILIA COME DISTURBO PSICHIATRICO. La storia nosografica ha inizio nel 1886, quando lo psichiatra tedesco Richard Freiherr von Krafft-Ebing[4] coniò il termine paedophilia erotica nella sua celebre trattazione dei disturbi psichici della sfera sessuale intitolata Psychopathia Sexualis[5]. In questa opera, che è stata tradotta, ripubblicata e consultata dagli psichiatri di tutto il mondo per oltre un secolo, si distingue il semplice desiderio sessuale per i bambini dall’abuso.  Krafft-Ebing sosteneva che l’ideazione legata alla devianza sessuale non costituiva per sé una tendenza criminale, ma in molti casi poteva essere considerata come il sintomo di una vera e propria malattia della quale il portatore era piuttosto la vittima che il responsabile.

Analizzando la personalità e il comportamento delle persone attratte fisicamente dai bambini, Krafft-Ebing distinse i pedofili propriamente detti (hard-core pedophiles), identificandoli con quelli che manifestavano la predilezione deviante fin dall’adolescenza, da coloro che si facevano responsabili di forme di abuso in cui i bambini o ragazzi apparivano quali sostituti di adulti. Questa seconda categoria di persone sembrava sviluppare l’attrazione patologica più tardi nella vita, in seguito al fallimento di una relazione con una persona adulta o per la realizzazione dell’impossibilità di riuscire ad avere un normale rapporto di coppia. In questo secondo gruppo sono inclusi i “molestatori occasionali” o situational molesters rappresentati da persone incapaci, verosimilmente per disabilità mentale, di avere relazioni con persone che ritengono alla pari, oppure da individui che, dopo aver sperimentato frustrazioni ed umiliazioni in un normale rapporto adulto-adulto, si sono rivolti a pre-adolescenti più manipolabili, influenzabili o addirittura plagiabili. Fra i molestatori occasionali erano inclusi anche coloro che a motivo del proprio lavoro incontrano regolarmente bambini e ragazzi e sono tentati di usare la propria autorità o il potere derivante dal proprio ruolo sociale per ottenere da loro gratificazioni sessuali. In una sotto-categoria di molestatori occasionali, quella della “pedofilia senescente”, la scelta delle vittime fra i bambini sarebbe dettata dall’impotenza o dal complesso delle condizioni dell’età involutiva che non consentirebbero di ottenere il consenso di un partner sessuale adulto.

 

[continua] 

 

La curatrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, autore della relazione qui sintetizzata e divisa in parti per i visitatori del sito.

 

Isabella Floriani

BM&L-Giugno 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE DI AGGIORNAMENTO]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Sembra che ai genetisti non sia riservato lo stesso grado di sospetto nel giudizio della pubblica opinione, forse perché il loro lavoro appare più neutrale e si ritiene che gli esiti delle loro ricerche possano fornire elementi per l’individuazione di individui a rischio di sviluppare condotte pericolose. 

[2] Lo studio dell’incidenza delle forme di fruizione della pedopornografia in rete sulla psicologia dei pedofili sta configurando un settore specifico di indagine psicologica.

[3] In molti trattati di psichiatria e psicopatologia americani ed europei, fino ad alcuni decenni fa, la pedofilia era considerata una particolare manifestazione sintomatica dell’omosessualità (si veda, ad es.: Kolb, Psichiatria Clinica. Idelson, Napoli 1979). Spesso, chi scrive, ha sentito degli esponenti di gruppi omosessuali politicizzati parlare a tale riguardo di pregiudizio; secondo costoro l’associazione pedofilia-omosessualità sarebbe parto di una tesi preconcetta. Ma, se così fosse, non sarebbe una ragione di più per studiarla e dissipare ogni residuo dubbio? In Italia e in molti Stati dell’Europa e degli USA si è affermato presso i mezzi di comunicazione di massa una sorta di stile “politically correct” che spesso cede alle pressioni dei più forti che, certamente, non sono i bambini abusati. A questa osservazione un ricercatore omosessuale ha opposto la seguente ragione: “Insinuare nella mente del pubblico e dei medici, in particolare, l’idea che gli omosessuali siano più frequentemente pedofili di qualsiasi altra persona, può ostacolare il cammino che porterà le coppie omosessuali a sposarsi ed ottenere per legge l’adozione di bambini”. Lasciamo al giudizio del lettore ogni commento.

[4] Nacque a Mannheim, in Germania, il 14 agosto del 1840 e morì a Graz, in Austria, il 22 dicembre del 1902.

[5] Il sottotitolo dell’opera specificava “con Speciale Riferimento all’Istinto Sessuale di Carattere Contrario: Uno studio Medico-Forense”. E’ considerata la prima trattazione sistematica, rigorosa e moderna delle psicopatie della sfera sessuale che oggi rientrano nella categoria diagnostica delle parafilie: partendo dall’omosessualità, Krafft-Ebing esplora con rigore sistematico tutta la gamma delle anomalie dell’impulso sessuale e dei comportamenti conseguenti, coniando anche i termini sadismo e masochismo. Sebbene, combinando le tesi di Ulrichs e Morel fosse giunto alla conclusione che le “deviazioni sessuali” fossero il frutto di una degenerazione nervosa su base ereditaria, l’opera ha conservato a lungo interesse perché gli stereotipi e le descrizioni comportamentali che venivano proposte hanno trovato corrispondenza nell’esperienza di tre generazioni di clinici.