LA SINDROME DI RETT POTREBBE ESSERE REVERSIBILE?

 

 

Attualmente si ritiene che la malattia dello spettro dell’autismo descritta da Andreas Rett, sia causata da mutazioni o duplicazioni del gene legato al cromosoma X che codifica la methyl-CpG-binding protein 2 (MeCP2), che si lega al DNA metilato sopprimendo la trascrizione genica.

In una nota redatta a dicembre dello scorso anno, Diane Richmond e Nicole Cardon, recensendo un ottimo lavoro del gruppo di Zhaolan Zhou, fornivano anche un sintetico inquadramento della sindrome, al quale si rimanda per ulteriori dati informativi (Note e Notizie 02-12-06 Sindrome di Rett: una fosforilazione all’origine).

In quel lavoro si dimostrava che una fosforilazione dipendente dall’attività dei neuroni è alla base della regolazione di una proteina fondamentale per lo sviluppo dei sintomi: cioè la fosforilazione di MeCP2 regola la trascrizione dipendente dall’attività del gene Bdnf.

Mutazioni e duplicazioni del gene responsabili della sindrome si traducono in anomalie sinaptiche e dendritiche che, pur causando gravi disturbi, non portano a morte le cellule nervose; da ciò derivano due dirette conseguenze: 1) non si può parlare di malattia neurodegenerativa, 2) si può provare a riprodurre l’attività di MeCP2 per cercare di ristabilire la funzionalità dei neuroni.

Guy e colleghi hanno esplorato la possibilità di reintegrare la funzione dipendente dal gene alterato, per vedere se in tal modo si riesce ad incidere sul fenotipo patologico, ossia sulle lesioni sinaptiche e dendritiche e sui sintomi neurologici che da queste derivano (Reversal of neurological defects in a mouse model of Rett syndrome. Science 315, 1143-1147, 2007).

A tale scopo sono stati impiegati modelli murini della malattia di Rett, costituiti da topi transgenici in cui Mecp2 era reso silente, ma poteva essere riattivato mediante trattamento con tamoxifen.

In seguito al trattamento con tamoxifen, sia gli animali in età evolutiva, sia gli adulti con sintomatologia in fase avanzata, presentavano una sorprendente scomparsa dei deficit neurologici.

Un simile risultato in modelli animali della malattia, creati a scopo sperimentale, non può essere automaticamente traslato nella realtà umana, ma incoraggia la prosecuzione della ricerca in tale direzione, perché con questi presupposti è lecito nutrire speranze.

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Aprile 2007

www.brainmindlife.org