IL PRIONE NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

 

 

In seguito alla pubblicazione della recensione del lavoro del gruppo di Strittmatter che ha dimostrato l’intervento della proteina prionica cellulare (PrPC) nella patogenesi da oligomeri solubili del peptide beta-amiloide () nella malattia di Alzheimer (si veda: Note e Notizie 02-05-09 Interazione prione-beta amiloide nella malattia di Alzheimer), abbiamo ricevuto numerose richieste di commento a questo risultato, soprattutto da parte di studenti delle facoltà di Medicina e Chirurgia[1], ai quali raccomandiamo la lettura del commento di Cisse & Mucke pubblicato contestualmente al lavoro originale, in quanto le considerazioni dei due redattori di Nature ci sembrano fornire un’esauriente risposta ai quesiti che ci sono stati posti (Cisse M. & Mucke L. Alzheimer’s disease: A prion protein connection. Nature 457, 1090-1091, 2009; l’articolo originale: Laurén J. et al., Cellular prion protein mediates impairment of synaptic plasticity by amyloid-beta oligomers. Nature 457, 1128-1132, 2009).

Lo staff dei recensori di BM&L-Italia segue da tempo la connessione fra prioni e danno da amiloide, anche grazie a comunicazioni personali di vari ricercatori, e tiene periodici journal clubs fin da quando nacque l’esigenza di seguire gli sviluppi di questi studi dopo essere venuti a conoscenza di un lavoro - il cui testo ci era noto fin dal 2004 anche se fu poi edito solo alla fine dell’estate 2005 - del quale si propone qui di seguito il contenuto in un’estrema sintesi.

In breve, ricercatori dell’Istituto di Neuropatologia dell’Università di Münster, a seguito dell’individuazione della proteina prionica nelle placche senili e in quelle amiloidi di pazienti affetti da malattia di Alzheimer, decisero di accertare il significato della presenza del prione in quelle lesioni e sottoporre a verifica sperimentale l’ipotesi che la considerava espressione di una semplice reazione alla deposizione di amiloide. Lo studio dimostrò la partecipazione del prione alla formazione delle placche, mediante la promozione dell’aggregazione dei peptidi beta-amiloidi, ed escluse una sua azione sulla trascrizione o la scissione dell’APP (Schwarze-Eicker K., et al. Prion protein (PrPc) promotes beta-amyloid plaque formation. Neurobiol. Aging 26 (8): 1177-1182, 2005).

Il collegamento fra molecole e processi che appartengono a filoni originariamente distanti della ricerca, ancora una volta dimostra quanto la neurobiologia stia divenendo un campo unificato, che non concede più ai ricercatori il lusso di trascurare del tutto i settori diversi da quello in cui operano. Spesso lo studio di una specifica patologia conduce a molecole e a loro precursori dei quali non si conosce il ruolo fisiologico, e le successive indagini volte ad accertarne la funzione rivelano la partecipazione a processi che, nella ripartizione accademica degli argomenti di studio, si considerano distanti da quelli indagati nelle ricerche originarie. E’ accaduto per il precursore amiloide APP nella malattia di Alzheimer e per la forma cellulare della proteina prionica.

Il polipeptide che, contravvenendo alla regola della biologia molecolare di Watson e Crick, si replica e per questo motivo ha meritato il nome di prione (prion), è stato studiato soprattutto nell’isoforma responsabile delle malattie trasmissibili (PrPSC)[2], ma sta rivelando un profilo molto interessante come glicoproteina espressa sulla superficie di molti tipi cellulari, e maggiormente concentrata nelle aree pre- e post-sinaptiche, incluse le placche neuromuscolari del muscolo striato. Ha prevalentemente una conformazione ad alfa-elica[3], con la regione N-terminale caratterizzata da un segmento che contiene cinque ripetizioni di una sequenza di otto aminoacidi, la cui espansione per mutazione determina lo sviluppo di malattie ereditarie da prioni, e dalla presenza di due siti di legame ad alta affinità per il Cu2+ che possono legare anche lo Zn2+. Evidenze sperimentali suggeriscono un ruolo nel metabolismo e nel trasporto del rame e dello zinco e, probabilmente, la transizione nell’isoforma associata alla patologia disturba questa funzione contribuendo alla neurotossicità[4].

Il gene PRNP che codifica la PrPC umana è sul cromosoma 20, con localizzazione 20p13 (Gene ID: 5621)[5]. Sono stati identificati numerosi alleli mutanti responsabili di forme familiari di malattie neurodegenerative da prioni come la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) e la sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker. I topi knockout per il gene (Prnp0/0) sono assolutamente resistenti allo sviluppo della malattia dopo inoculazione e non replicano i prioni, confermando la teoria secondo cui il potere infettivo della forma PrPSC è legato alla sua capacità di trasformare le molecole di PrPC esistenti nell’organismo in repliche di se stessa. Nei primi esperimenti si era notato che i topi Prnp0/0 non manifestavano un fenotipo evidente, in altre parole non sembrano presentare disturbi rilevanti, per cui i ricercatori hanno considerato la possibilità di eliminare i prioni endogeni a scopo profilattico e terapeutico. Naturalmente una controindicazione assoluta all’idea di percorrere questa via per fini clinici sarebbe rappresentata dall’accertamento di un ruolo fisiologico irrinunciabile. Per questo motivo la ricerca volta ad accertare le funzioni della PrP ha assunto un rilievo sempre crescente.

Studi più approfonditi hanno permesso di riscontrare nei topi Prnp0/0 anomalie nella trasmissione sinaptica secondo alcuni fenotipi bioelettrici ben caratterizzati e, più in generale, oltre ad alterazioni della fisiologia delle sinapsi di sottosistemi ippocampali, sono state descritte anomalie del sonno e dei ritmi circadiani. Dunque, l’idea di una terapia delle infezioni da prioni volta all’eliminazione della PrPC sembra essere stata definitivamente abbandonata, anche in considerazione dell’esito di studi che hanno ipotizzato un ruolo della glicoproteina nella sopravvivenza cellulare, vista la sua interazione con vie biochimiche dell’apoptosi.

La PrPC si è rivelata una proteina altamente conservata nell’ambito dei mammiferi ed è stata rinvenuta anche nei marsupiali, ma la sua presenza sembra tanto diffusa da far ritenere che possa far parte delle proteine strutturali di tutti i vertebrati, essendo stata identificata in anfibi, rettili, uccelli e pesci. Durante lo sviluppo è espressa già nelle fasi più precoci dell’embriogenesi e nei tessuti adulti è reperibile nella maggior parte delle cellule, con il massimo grado di concentrazione nel sistema nervoso. Oltre alla già menzionata presenza preponderante presso le membrane pre- e post-giunzionali, merita di essere ricordata la notevole densità riscontrata nelle cellule del sistema immunitario.

Come glicoproteina ancorata alla membrana mediante GPI, si ritiene che possa prendere parte all’adesione cellulare e vari studi sono in corso per accertare, oltre questa possibilità, anche quella di un suo ruolo nei processi di segnalazione.

Alla luce di tutto ciò che abbiamo fin qui considerato, ci sembra più che mai opportuna in questo caso, ossia a proposito delle interazioni prione-beta amiloide, la scelta di tacere nell’attesa di passare nuovamente la parola alla ricerca.

 

L’autrice della nota, ringraziando la dottoressa Floriani per la correzione della bozza, invita alla lettura degli altri scritti di argomento connesso proposti sul nostro sito.

 

Nicole Cardon

BM&L-Maggio 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE]

 



[1] Si ricorda che le malattie da prioni, che consistono in processi neurodegenerativi ad esito fatale che colpiscono l’uomo e gli animali, rappresentano una categoria sui generis in patologia perché si presentano come malattie genetiche, sporadiche e infettive. Si veda anche Note e Notizie 13-09-08 L’interferenza RNA per le malattie da prioni.

[2] Così denominato perché isolato per la prima volta da pecore infette da scrapie. La maggior parte dei ricercatori usa questo acronimo per indicare in generale l’isoforma patologica delle malattie trasmissibili, una minoranza preferisce una maggiore precisione siglando, ad esempio, PrPCJD il prione nella malattia di Creutzfeldt-Jakob. La banca-dati internazionale delle proteine per il polipeptide umano ha adottato la sigla PRNP e il nome prion protein [Homo sapiens]; sono numerosi i sinonimi in sigla e per esteso in inglese: CD230 antigen, PrP, PrP27-30, PrP33-35C, PRIP, ASCR, CJD, GSS, prion protein, prion related protein, major prion protein, etc.

[3] Il dominio C-terminale è costituito da tre alfa-eliche e un breve tratto antiparallelo in beta-configurazione. Le eliche 2 e 3 sono stabilizzate da un singolo ponte disolfuro. Vi sono anche due siti di glicosilazione associati all’asparagina.

[4] Gli atomi di rame libero catalizzano varie reazioni che portano alla produzione di radicali ossidrilici responsabili dello stress ossidativo, su questa base è stata formulata anni or sono l’ipotesi di un ruolo protettivo svolto dalla forma cellulare del prione mediante il legame degli atomi di rame.

[5] La banca-dati genetica di PubMed elenca 196 riferimenti (GeneRIFs, da Gene References Into Functions) a studi sui correlati funzionali nell’aggiornamento del 12 aprile 2009.