Parkin e Parkinson

 

 

La malattia di Parkinson è al primo posto per frequenza fra le sindromi neuromotorie ed al secondo fra le malattie neurodegenerative, dopo l’Alzheimer. E’ noto che i soggetti affetti soffrono di una particolare rigidità non spastica o cerea, associata ad ipocinesia, impotenza motoria e tremore, configurando un quadro che James Parkinson definì “paralisi agitante”. Il tremore si accentua nella stasi involontaria e tende a diminuire nel gesto intenzionale che recluta un’attività neuronale di controllo, all’opposto di quanto accade nelle sindromi cerebellari. La mano ferma e semichiusa può presentare un movimento a scosse delle dita che sembra mimare il gesto di contare delle banconote; i normali movimenti del braccio che hanno fulcro nell’articolazione del gomito non sono possibili in una forma fluida e continua ma, per la rigidità cerea, se si flette o si estende l’avambraccio sul braccio all’esame neurologico si può avvertire una resistenza a scatti, che è stata accostata all’effetto che produrrebbe una ruota dentata posta nell’articolazione (fenomeno della ruota dentata). Inoltre, il paziente non trattato può essere instabile in stazione eretta da fermo.

E’ noto che la patogenesi della malattia consiste nella degenerazione di neuroni dopaminergici della Sostanza Nera (vedi la rubrica “Alfabeta”) che proiettano al Corpo Striato (vedi ancora “Alfabeta”). Da molto tempo la terapia si basa prevalentemente sull’impiego del precursore della dopamina (L-DOPA), che può attraversare la barriera emato-encefalica ed essere decarbossilato a dopamina dalle cellule encefaliche. Alla L-DOPA si associano degli inibitori delle decarbossilasi periferiche. Molti altri farmaci sono stati associati a questa terapia, fra cui l’agonista dopaminergico Bromocriptina, l’Amantadina come inibitore del re-uptake della dopamina, il Deprenil quale inibitore delle MAO-B che catabolizzano la dopamina e gli anticolinergici -in uso già prima della scoperta della patogenesi dopaminica- il cui impiego razionale si basa sull’iperattività dei neuroni colinergici causata dalla ridotta inibizione da parte di quelli dopaminergici.

Purtroppo la degenerazione è progressiva ed ingravescente, così che la terapia basata solo sull’apporto del neuromediatore e sulla riduzione degli effetti del sistema antagonista, con l’avanzare del processo, è sempre meno efficace. L’impianto di cellule staminali nel morbo di Parkinson finora è stato un fallimento[1].

Per questo motivo la ricerca volta ad accertare i vari meccanismi molecolari che agiscono da cause nelle differenti forme della malattia, assume una particolare importanza per migliorarne la prognosi.

Le cause della degenerazione selettiva dei neuroni a dopamina non sono ancora esattamente conosciute, ma è noto che possono essere implicate sia molecole esogene, sia proteotossine endogene.

 Alcune rare forme familiari della sindrome, ad eredità autosomica dominante, sono state messe in relazione con alterazioni del gene per l’alfa-sinucleina.

L’alfa-sinucleina alterata è un componente dei corpi di Lewy, inclusi cellulari che si riscontrano in questa ed altre malattie neurodegenerative, cui si è dato il nome di Sinucleopatie (Synucleopathies).

Un’altra alterazione genica importante, osservata nel Parkinson, è costituita dalle mutazioni del gene parkin che sono state associate con il Parkinsonismo giovanile autosomico recessivo (AR-JP). La Parkina è una E3 ubiquitina ligasi, che degrada proteine con conformazioni aberranti. Yufeng Yang et al. (Parkin Suppresses Dopaminergic Neuron-Selective Neurotoxicity Induced by Pael-R in Drosophila, Published Online, Neuron, Immediate Early Publication, in press, March 2003) hanno impiegato un sistema organismico, ovvero il sistema nervoso di Drosophila per indurre l’espressione di una molecola, la Pael-R, un substrato della Parkina, in tutti i neuroni. L’espressione della Pael-R determinava una degenerazione selettiva dei neuroni a dopamina, dipendente dall’età. La coespressione della Parkina degradava la Pael-R e sopprimeva la tossicità. Al contrario, interferendo con la funzione della Parkina endogena di Drosophila, si determinava l’accumulo di Pael-R con aumento della tossicità.

Questi risultati sembrano incoraggianti, ancor più se si nota che l’iperespressione della Parkina può mitigare la patologia neuritica indotta dall’alfa-sinucleina, di cui sopprime la tossicità. E’ evidente che la manipolazione dell’espressione della Parkina potrebbe aprire un nuovo campo di studi nella terapia del Parkinson.

 

                                                                                                                 BM&L-Marzo 2003

 

                                         



[1] Come si può vedere da una review della letteratura e secondo quanto ci riferiva qualche settimana fa Stuart Butler in una comunicazione personale durante un workshop a Roma.