FUNZIONE OLFATTIVA E SCHIZOFRENIA

 

 

Anosmia, iposmia ed altre alterazioni dell’olfatto, sono state messe in relazione con vari disturbi mentali, ma l’associazione più studiata rimane quella con la schizofrenia. Una prospettiva particolare è stata assunta in queste ricerche da Dolores Malaspina, psichiatra e studiosa dell’olfatto della New York University, e dai suoi collaboratori del New York State Psychiatric Institute. Ai risultati e alle opinioni del team newyorkese, lo scorso sabato 10 gennaio 2009 a Firenze un gruppo di soci di “Brain, Mind & Life” ha dedicato un incontro di approfondimento e discussione.

E’ noto che i circa 12 milioni di cellule sensoriali olfattive[1], ciascuna delle quali provvista di 350 recettori diversi, ci consentono di rilevare informazioni provenienti dall’ambiente in generale e dal corpo di altre persone in particolare, mediando un ampio spettro di risposte che influenzano le nostre interazioni sociali. Molti effetti della chemorecezione nasale rimangono inconsci e, per questo, sono stati a lungo ignorati, ma la loro importanza appare sempre maggiore con il progredire delle conoscenze. E’ stato dimostrato, ad esempio, che è possibile fiutare la peculiarità antigenica MHC di una persona, e preferirla per questo motivo; è noto che anche la nostra specie rileva ferormoni sessuali, probabilmente mediante una via nervosa specifica (v. Note e Notizie 31-03-07 Il sesso e il nervo sconosciuto)[2]; annusare il sudore di una persona che ha paura, per effetto dei ferormoni di allarme, aumenta la vigilanza e migliora le prestazioni cognitive; l’odore di una persona amica è preferito a quello di un estraneo; infine, alcune preferenze relazionali e sociali sono influenzate dagli odori.

Malaspina e colleghi, su questa base, hanno ipotizzato che un danno della chemorecezione nasale possa avere un ruolo nel determinare alcuni aspetti delle psicosi e, in particolare, il ritiro sociale che spesso si osserva nella schizofrenia. A tale scopo hanno misurato la competenza olfattiva dei pazienti schizofrenici, molti dei quali con un basso grado di interazione sociale, e la hanno paragonata a quella di persone non affette dal disturbo.

Il primo degli studi discussi dai soci di BM&L risale al 2003, quando l’équipe di New York  sottopose 70 pazienti e 68 soggetti di controllo ad una prova di riconoscimento di 40 odori comuni, fra i quali quelli del cioccolato, della pizza, del fumo di sigaretta e dei fiori di lillà. Gli schizofrenici ottennero punteggi marcatamente più bassi, e il sottogruppo costituito da psicotici con una maggiore espressione di sintomi negativi, quali ritiro sociale, negligenza e trascuratezza personale, perdita di motivazione ed estrema povertà di linguaggio, fece registrare i risultati peggiori. Emerse una proporzione diretta fra il deficit sociale e quello olfattivo.

Due anni dopo, nel 2005, Malaspina e colleghi studiarono 26 adolescenti affetti da forme di psicosi ad insorgenza precoce, caratterizzate da perdita di contatto con la realtà, illusioni ed allucinazioni. Anche in questo studio emersero stretti legami fra l’incapacità di riconoscere gli odori e l’isolamento sociale. In particolare, i giovani che presentavano tipici sintomi schizofrenici, incluso il ritiro dai rapporti con gli altri, avevano un’alta probabilità di fallire nelle prove di riconoscimento osmico, mentre nessuno di quelli che aveva ricevuto una diagnosi di disturbo bipolare, per la presenza di sintomi tipici delle psicosi maniaco-depressive, manifestò deficit olfattivi.

Questi risultati hanno suggerito al gruppo newyorkese che un difetto del senso dell’odorato e delle altre funzioni a questo connesse, possa determinare compromissione di attitudini ed abilità sociali. Si deve però osservare che il nesso di causa/effetto non è stato dimostrato in questi lavori, e che i due disturbi potrebbero originare parallelamente da cause genetiche e/o epigenetiche, le quali potrebbero coesistere con o senza sinergia.

Da alcuni è stato proposto che la fisiopatologia cerebrale sottostante la schizofrenia distrugga aree cerebrali che controllano la motivazione sociale e l’olfatto allo stesso tempo. E’ stato avanzato anche il paragone diretto con malattie neurodegenerative come il Parkinson e L’Alzheimer che, in molti casi, si accompagnano a perdita della funzione olfattiva.

Attualmente Deborah Goetz, associata di ricerca del New York State Psychiatric Institute, sta collaborando con Dolores Malaspina allo scopo di individuare le basi morfofunzionali encefaliche dei deficit dell’olfatto e delle abilità sociali. I risultati parziali di questi studi hanno rilevato alterazioni della corteccia prefrontale inferiore.

Malaspina spera che le sue ricerche possano portare a nuovi trattamenti delle picosi mediante farmaci che, acuendo e generalmente migliorando la funzione olfattiva, possano accrescere la motivazione e la prestazione nei contatti sociali, interrompendo alcuni circoli viziosi che si osservano nei disturbi con ritiro relazionale.

E’ perfino superfluo sottolineare che fra i soci di BM&L-Italia, così come nella comunità internazionale dei neurobiologi e degli psichiatri, prevalgono le posizioni scettiche al riguardo. Ma la Malaspina ha ribadito quanto in precedenza dichiarato in una conversazione con Josie Glausiusz: “In realtà è attraverso il senso dell’olfatto che la maggior parte dei mammiferi costruisce le relazioni sociali. Il cervello olfattivo è realmente il cervello sociale.”[3]

Le numerose ed articolate critiche che sono state mosse a questa prospettiva, richiederebbero uno spazio molto più esteso di quello concesso a questo breve scritto, pertanto ci limiteremo a sintetizzare, in una frase, l’obiezione più radicale: “La schizofrenia non è un difetto di abilità sociali” (Ludovica R. Poggi).

Concludendo, riteniamo di non errare affermando che, sebbene le aspettative della Malaspina appaiano infondate, proseguire la ricerca in questa direzione potrà produrre risultati interessanti, soprattutto se si cercherà di individuare la base cerebrale di questo nesso apparente.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Gennaio 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO E BREVE RASSEGNA]

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] L’epitelio olfattivo della cavità nasale è costituito da tre classi di cellule: 1) cellule basali, distinte in orizzontali e globose, 2) cellule di supporto e 3) neuroni olfattivi o cellule sensoriali olfattive, elementi bipolari caratterizzati da un singolo dendrite dal quale si dipartono le cilia olfattive che si espandono nella mucosa con i loro recettori. L’assone delle cellule olfattive forma il primo nervo cranico che conduce gli stimoli al bulbo, dal quale le informazioni sono inviate alla corteccia. Una trattazione sintetica ed aggiornata della fisiologia olfattiva si trova in Siegel, Albers, Brady e Price, Basic Neurochemistry. Academic Press 2006; il testo di riferimento sull’argomento rimane l’Handbook of Olfaction and Gustation. Neurological Disease and Therapy. Second edition. Edited by Richard L. Doty. 1121 pp., illustrated. New York, Marcel Dekker, 2003. $250. ISBN 0-8247-0719-2. Il volume fu presentato in Italia dalla nostra Società scientifica, in un incontro in cui si previde l’assegnazione del Premio Nobel a Richard Axel e Linda B. Buck.

[2] Si consiglia la lettura di questa nota, proposta anche nella sezione “IN CORSO”, perché consente, seguendo i links ad altre recensioni, un rapido aggiornamento su alcuni aspetti dei nuovi ruoli riconosciuti alla chemorcezione nasale.

[3] Si veda: Sci. Am. MIND 19 (4): 44, 2008, dove la dichiarazione è riportata in un riquadro, nel contesto di un articolo di rassegna.