IL SESSO E IL NERVO SCONOSCIUTO

 

 

Se provate a chiedere a un neurologo quali siano i nervi cranici, molto probabilmente vi elencherà le dodici paia di nervi che emergono dall’encefalo e, magari, vi spiegherà che diagnosticarne la patologia costituisce una parte non secondaria del suo lavoro. Provate a chiedergli di un nervo cranico numero zero o nervo terminale e, quasi sicuramente, vi dirà che non esiste o che non lo conosce. Non gli si può fare di ciò una colpa, perché il nervo così denominato che percorre la superficie inferiore dei lobi frontali medialmente al nervo olfattivo, non è ancora descritto nella maggior parte dei trattati di anatomia, forse a causa del mancato riconoscimento da parte degli anatomisti del passato e di decenni di incertezze nell’attribuzione di un ruolo funzionale indipendente.

Infatti, mentre i nervi cranici canonici erano già conosciuti dai medici dell’antica Grecia, e in Galeno (129-210 d.C.) ne troviamo una descrizione prossima a quella della neuroanatomia macroscopica attuale, l’esile e fragile filo nervoso terminale è rimasto sconosciuto fino a poco più di un secolo fa, perché nelle dissezioni era invariabilmente asportato con le meningi.

E’ interessante notare che all’ipotesi dell’esistenza di questo nervo nella nostra specie si è giunti per gradi. Nel 1878 Gustav Fritsch lo isolò per la prima volta in un pescecane e, all’epoca, si ipotizzò che fosse una peculiarità di pesci e mammiferi acquatici. Nei decenni successivi, molti studiosi provarono ad isolarlo nelle specie più varie, col risultato del reperimento in quasi tutti i vertebrati sottoposti a dissezione accurata. Non era ragionevole, dunque, che mancasse nei primati, e perciò si decise di accertarne l’esistenza nella nostra specie, sebbene alcuni scettici vi si opponessero argomentando che se fosse esistito nel cervello umano non sarebbe sfuggito ai tanti valenti anatomisti delle tre grandi scuole europee, ossia la francese, l’italiana e la tedesca. Dopo la prima decade del Novecento, gli sforzi furono coronati da successo e, nel 1913, si ebbe la prima descrizione scientificamente ratificata del nostro tredicesimo nervo cranico.

Superato l’ostacolo dell’identificazione, coloro che credevano nell’utilità di studiare questo fascicolo di assoni, dovettero affrontare il problema del riconoscimento. La maggior parte dei medici anatomisti e dei neurologi, infatti, non accettava l’idea che a questo sottile filo nervoso si potesse attribuire un’identità morfo-funzionale da nervo encefalico, adducendo varie motivazioni e sollevando problemi che si possono riassumere nel modo seguente: i 12 nervi spiegano i cinque sensi speciali e tutta la senso-motricità cranio-facciale, quale sarebbe la funzione del tredicesimo?

Oltre all’assenza di un ruolo fisiologico definito, un altro elemento di resistenza al riconoscimento dell’identità di questa struttura nervosa, era costituito dalla sua posizione. Infatti, la sua inclusione nel novero dei nervi dell’encefalo, nel rispetto del rigoroso criterio topografico universalmente adottato, avrebbe comportato il cambiamento dell’indicazione delle dodici paia, costituito dal numero d’ordine che indica i nervi in perfetta successione rostro-caudale. In altre parole, il nervo terminale si sarebbe dovuto indicare come I paio al posto del nervo olfattivo, il quale avrebbe assunto la denominazione di II paio, con la quale si indica il nervo ottico, e così via, fino all’ipoglosso che sarebbe divenuto il tredicesimo[1].

In anatomia comparata si decise di adottare la definizione internazionale di “nerve zero” o “terminal nerve” impiegata in zoologia marina.

Probabilmente questi fattori hanno giocato un ruolo non secondario nell’indurre molti studiosi ad accettare l’ipotesi che questo nervo “scomodo” non fosse altro che un ramo del nervo olfattivo, pur in assenza di prove effettive e decisive al riguardo.

Il neurobiologo R. Douglas Fields, l’anatomista Leo Demski e il veterinario Sam Ridgway, ebbero l’occasione di accertare l’esistenza di una funzione olfattiva del nervo terminale studiando una balena pilota, morta per cause naturali (si veda: Leo S. Demski, Terminal Nerve in Enciclopedia of Neuroscience. Third Edition. Edited by George Adelman & Barry H. Smith. Elsevier 2004).

Le balene, come i delfini, presentano sulla sommità del capo uno sfiatatoio dal quale emettono vapori condensati con quel caratteristico getto che le rende immediatamente riconoscibili. I biologi marini hanno ricostruito l’evoluzione della balena da mammiferi acquatici in grado di respirare mediante narici facciali, alle quali era strettamente connessa l’organizzazione rinencefalica ed olfattiva tipica dei mammiferi terrestri. Nel corso di milioni di anni, le cavità aeree di balene e delfini sono andate incontro ad un progressivo spostamento verso l’alto, decisamente più vantaggioso per lo sfiato nell’aria, e ad una progressiva perdita del senso dell’olfatto, accompagnata dalla scomparsa del nervo olfattivo.

Fields e colleghi, dunque, ritennero lo studio della balena un test molto significativo, perché se il nuovo nervo cranico fosse stato solo un ramo del nervo olfattivo, non sarebbe dovuto esistere nella balena.

La cauta ed accurata asportazione della membrana leptomeningea da parte di Demski rivelò due formazioni sottili e bianche che, dal cervello anteriore, si dirigevano verso l’area dello sfiatatoio (R. Douglas Fields, Sex and the secret nerve. Sci Am Mind 18 (1): 20-27, 2007).

La presenza del nervo terminale nella balena consentiva di escludere una sua funzione olfattiva e una sua dipendenza anatomica dal nervo dell’odorato e, soprattutto, portava ad una conclusione tanto semplice quanto significativa: qualunque sia il suo ruolo fisiologico, deve essere più importante dell’olfatto per un cetaceo e tanto rilevante da essere conservato dalla selezione naturale nei vertebrati filogeneticamente più vari e distanti.

Tali considerazioni convergevano con quelle di altri studiosi e conducevano sulla pista della fisiologia della riproduzione. L’associazione fra attività sessuale e funzione dell’olfatto, così come il grande sviluppo del rinencefalo in molti mammiferi, si può semplicemente spiegare con la priorità temporale che ha avuto questo senso nel corso della filogenesi (si veda: G. Perrella et al., in “Seminari del Cognitive Science Club”, 1990-1992). Il processo su cui si basa l’olfatto, ossia rilevare molecole dell’ambiente associando loro una risposta (associazione di un valore che, nell’evoluzione, diventa attribuzione di un significato), costituisce la modalità sensoriale filogeneticamente più antica, che ha un antecedente addirittura nei batteri. Nei primi animali sessuati, l’attività automatica di saggio e vaglio di molecole esterne era ben presente, e si è sviluppata al servizio delle due principali spinte selettive: sopravvivenza e riproduzione.

Esattamente vent’anni fa, nel 1987, Celeste Wirsig resecò il nervo terminale in criceti maschi e rilevò che gli animali presentavano la stessa efficienza di quelli di controllo nel trovare, mediante la percezione dell’odore, un biscotto nascosto; la loro capacità di accoppiamento, però, risultava notevolmente compromessa. Risultati accostabili a quelli di Wirsig si erano ottenuti nei pesci e, in particolare, si cita spesso l’esperimento di Northcutt e Demski nel pesce rosso: inviando una leggera scarica elettrica al nervo zero di un maschio, senza stimolare il nervo olfattivo, si aveva l’istantaneo rilascio di sperma.

Il collegamento con l’attività sessuale appariva evidente, ma rimaneva da stabilire il nesso biologico.

Le risposte della ricerca non si sono fatte attendere, e sono giunte dall’anatomia e dalla biochimica.

Come il nervo olfattivo, il nervo zero presenta terminazioni nelle cavità nasali, ma le sue fibre afferenti si dirigono verso il setto e l’area preottica, dove formano sinapsi con i neuroni dei nuclei settali mediali e laterali, e con le cellule nervose dei tre nuclei preottici: periventricolare, mediale e laterale. Queste regioni cerebrali, nei mammiferi, sono state messe in rapporto con eventi cruciali della fisiologia riproduttiva, quali l’attrazione e la ricerca del partner, la motivazione sessuale e l’innesco dell’assetto copulatorio. Infatti, i neuroni di queste aree, oltre ad intervenire nella sete e nella fame quando si presentano come bisogno urgente, controllano il rilascio di ormoni sessuali (in particolare alte quote di GnRH). I nuclei del setto sono collegati mediante innervazione reciproca (bidirezionale o rientrante) con l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo, e il loro danno sperimentale causa alterazioni nel comportamento sessuale ed altri squilibri funzionali che si esprimono soprattutto con reazioni aggressive e disturbi della regolazione neurovegetativa dell’assunzione di cibo ed acqua. Un ultimo dato anatomico interessante, ma che non ha ancora trovato una spiegazione se non ipotetica, è costituito dalle connessioni del nervo terminale con la retina.

I ferormoni, composti di dimensioni maggiori di quelli che conferiscono profumo alle essenze odorose, sono noti per l’azione di innesco di risposte emozionali e sessuali[2]. Non è superfluo precisare, anche perché in molte trattazioni divulgative sono assimilati a stimoli odorosi, che vari tipi di ferormoni non hanno alcun odore e possono esercitare il loro effetto di attrazione sessuale senza interessare la corteccia cerebrale. Traslando questo dato alla realtà umana, si può osservare che la loro azione mediata dal nervo terminale, a differenza di quanto accade per ogni olezzo, lezzo o fragranza che superi la soglia fisiologica, non raggiunge la coscienza e si può rendere responsabile di quelle condizioni in cui proviamo attrazione fisica per qualcuno, indipendentemente dai suoi requisiti estetici e dalle nostre preferenze.

E’ importante rilevare che, negli animali, lo studio delle vie nervose attivate dai ferormoni ha condotto da tempo al riconoscimento di una struttura specializzata, indipendente dalle formazioni recettoriali olfattive, detta organo vomeronasale; questa formazione possiede un suo piccolo bulbo, accessorio del bulbo olfattivo, e si collega con l’amigdala ed altri nuclei che mediano risposte sessuali. Nei roditori, la stimolazione dell’organo vomeronasale mediante ferormoni, determina la scarica di un flusso di ormoni sessuali nel torrente circolatorio, ma l’azione non si limita ad effetti di breve termine, perché è in grado di modulare la frequenza dell’estro, del comportamento riproduttivo e dell’ovulazione.

Alcuni ricercatori hanno dimostrato un’attività funzionale nell’organo vomeronasale umano, ma non vi sono prove di un suo effettivo ruolo fisiologico nella mediazione della risposta ai ferormoni, perciò la maggior parte degli studiosi continua a considerarlo una struttura vestigiale nella nostra specie, e a rivolgere la sua attenzione alle connessioni del nervo terminale.

A settembre dello scorso anno, Diane Richmond presentava ai soci di BM&L la scoperta, da parte del Premio Nobel Linda B. Buck e del suo collaboratore Stephen Liberles, di una nuova classe di recettori (TAAR, da trace amino-associated receptor) presenti su cellule diverse da quelle dell’olfatto ed in grado di legare ferormoni (Note e Notizie 30-09-06 Olfatto: scoperta una nuova classe di chemosensori)[3]. La Buck ha rilevato che la nostra specie possiede i geni per almeno sei tipi di TAAR identificati nel topo.

Le connessioni anatomiche e la mediazione della segnalazione dei ferormoni, dovrebbero essere sufficienti per tratteggiare un profilo funzionale del nervo terminale e giustificare nuove ricerche, ma il quadro è ulteriormente definito da nuovi dati provenienti dall’embriologia.

L’abbozzo del nostro nervo compare in un’epoca precoce dello sviluppo ed ha un ruolo rilevante nell’embriogenesi neuroendocrina: tutti i neuroni del proencefalo che produrranno GnRH usano la traccia del nervo zero fetale come direttrice di migrazione per trovare la sede di destinazione cerebrale. Se i neuroblasti non possono seguire tale via, si avrà nell’adulto la sindrome di Kallmann caratterizzata da deficit dell’odorato ed impossibilità di sviluppo sessuale oltre la pubertà.

Gli studi fin qui condotti ci offrono, ormai, chiare evidenze che ci consentono di affermare che il nervo terminale è parte di quell’insieme di strutture cerebrali preposte al controllo neuroendocrino della riproduzione e, in particolare, sembra contribuirvi creando un adattamento fondato sull’attualità dei contatti e dei rapporti con individui dell’altro sesso.

Concludiamo questa breve trattazione con un affascinante interrogativo.

Il nervo terminale non è solo una struttura di ricezione, ma invia segnali diretti all’esterno del cervello: quale sarà il loro significato?

 

Gli autori della nota ringraziano Diane Richmond con la quale hanno discusso l’argomento trattato, ed Isabella Floriani che ha collaborato nel riassumere un testo originariamente molto più lungo.

 

Nicole Cardon & Giuseppe Perrella

BM&L-Marzo 2007

www.brainmindlife.org



[1] Teoricamente si potrebbe concepire una soluzione sulla falsariga dell’VIII paio dei nervi cranici: per nervo stato-acustico si intendono due nervi distinti con diversi recettori, gangli, nuclei, vie nervose e funzioni; allo stesso modo i primi due nervi potrebbero essere inclusi nel primo paio, che si definirebbe olfattivo-terminale.

[2] I ferormoni (in alcune trattazioni si legge feromoni, dall’inglese pheromone) sono molecole biologiche prodotte da organismi animali e rilasciate nell’ambiente esterno con funzione di segnale per individui della stessa specie. Si distinguono ferormoni traccianti, che consentono agli animali di essere seguiti; ferormoni di allarme, che inducono uno stato di allerta negli animali che li captano; ferormoni di segnalazione che generano l’assetto funzionale dell’accoppiamento o dell’aggressione; ferormoni innescanti, che producono modificazioni fisiologiche di lungo termine. Un volume abbastanza recente sui ferormoni, ma già divenuto un “classico” dell’argomento, è il testo di Tristram D. Wyatt (Pheromones and Animal Behavior. Cambridge University Press, 2003).

[3] In quella nota si fa riferimento anche ad un altro dato assolutamente straordinario: peptidi del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) sono riconosciuti da neuroni olfattivi e, negli animali, influenzano decisioni sociali e relative all’accoppiamento (Note e Notizie 08-04-06 Il fiuto per il partner richiede geni immuni). Si può dire che, in un certo senso, le scelte “a naso” hanno trovato un loro fondamento biologico.