NUOVE PROSPETTIVE PER LA MALATTIA DI ALZHEIMER

 

 

I farmaci attualmente approvati e maggiormente impiegati per il trattamento della malattia di Alzheimer, agiscono sulla colinesterasi per ridurre la degradazione di acetilcolina, o sui recettori del glutammato NMDA per prevenire l’eccitotossità. Il fondamento razionale dell’uso a scopo terapeutico di queste due classi di composti, può così essere sintetizzato: nel primo caso si tende a far aumentare la disponibilità di un neuromediatore importante per i processi cognitivi, nel secondo si cerca di ostacolare uno dei meccanismi di danno cellulare.

Entrambi i trattamenti, in molti casi, risultano quasi privi di effetti apprezzabili sulla sfera intellettiva, soprattutto in ragione del fatto che il decadimento cognitivo è legato alla perdita massiccia di neuroni, non contrastata dalla prima strategia terapeutica e ridotta in proporzione minima dalla seconda.

Sono allo studio nuove possibilità di trattamento basate sui meccanismi patogenetici noti, e la maggior parte delle molecole sperimentate è diretta ad ostacolare la formazione dei peptidi β-amiloidi (per un quadro delle terapie in corso di sperimentazione si veda la scheda introduttiva dell’aggiornamento dello scorso anno: La malattia di Alzheimer, attualità nella ricerca e nuove terapie – Roma, 20 giugno 2006).

La contrapposizione su quale fosse il primum movens patogenetico della malattia, l’accumulo di amiloide extracellulare o la degenerazione neurofibrillare intracellulare, ha creato nella ricerca di base due campi distinti, la cui separazione si è inevitabilmente riflessa nella sperimentazione terapeutica. Recentemente sono stati rilevati meccanismi molecolari di collegamento fra la cascata di eventi innescata dai peptidi β-amiloidi (βA) e la degenerazione neurofibrillare seguente l’iperfosforilazione della proteina tau; su questa base un gruppo di ricerca guidato da Mucke ha esplorato gli effetti della riduzione dei livelli di tau endogena sul declino cognitivo indotto da βA (Roberson Erick D., et al. Reducing endogenous tau ameliorates amyloid β-induced deficits in an Alzheimer’s disease mouse model. Science 316 (5825), 750-754, 2007).

I ricercatori hanno incrociato topi portatori di mutazioni nel gene umano per il precursore proteico amiloide (hAPP) con topi Tau-/- ed hanno poi studiato le capacità di memoria ed apprendimento della prole nata da questo incrocio, impiegando il labirinto di Morris.

Un risultato sorprendente è consistito nel riscontro che i vari deficit osservati nei topi hAPP erano prevenuti da livelli di tau ridotti del 50%.

Si è poi osservato che i topi hAPP;Tau-/- nelle prove di apprendimento spaziale davano risultati migliori dei topi hAPP;Tau+/-, suggerendo che operi un effetto dipendente dalla dose del gene.

Per cercare di determinare il meccanismo attraverso il quale tau accentua gli effetti deleteri di hAPP, Mucke e colleghi hanno esaminato i livelli di hAPP e βA nei topi hAPP;Tau-/- e hAPP;Tau+/- e li hanno comparati con quelli dei topi hAPP esprimenti livelli normali di tau. Non rilevando alcuna differenza quantitativa nei livelli di hAPP e di βA solubili o aggregati, i ricercatori hanno dedotto che il peggioramento indotto da tau, non consistendo nell’aumento dei peptidi amiloidogenici, sia da ascrivere al collegamento di  questi con gli altri eventi molecolari che portano a morte cellulare. In altre parole, senza tau i peptidi amiloidogenici sono meno patogeni.

Nei topi hAPP la riduzione di tau non ha portato ad una riduzione di altre lesioni e contrassegni patologici, quali la distrofia dei dendriti che circondano le placche e le diramazioni aberranti degli assoni, ma ha determinato una ridotta vulnerabilità al danno eccitotossico, fattore notoriamente importante nella patogenesi della malattia di Alzheimer.

Una verifica sperimentale interessante di tale rilievo è venuta dall’induzione di crisi convulsive con meccanismo eccitotossico nei ceppi genetici sperimentati: hAPP;Tau-/- e hAPP;Tau+/- sono apparsi più resistenti alle crisi dei topi con espressione naturale della tau, in presenza o in assenza di hAPP/βA.

Questi risultati propongono un nuovo ruolo per la proteina tau nella regolazione dell’eccitabilità neuronica.

In conclusione, lo studio condotto nel laboratorio di Mucke propone uno stretto legame fra l’ipereccitazione neuronica aberrante e i deficit cognitivi, e propone un ruolo di tau come regolatore dell’eccitotossicità, aprendo straordinarie possibilità all’intervento terapeutico nella malattia di Alzheimer e in altre patologie neurodegenerative caratterizzate da alterazioni di questa proteina.

 

L’autrice della nota ringrazia Giuseppe Perrella con il quale ha discusso l’argomento trattato, ed Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Luglio 2007

www.brainmindlife.org