NEUROGENESI ANTIDEPRESSIVA COL BLOCCO DEGLI ALFA2

 

 

Nel corso dell’intervista rilasciata a Nicole Cardon sette anni or sono per questo sito, Giuseppe Perrella ipotizzava che una parte dell’effetto dei farmaci antidepressivi fosse da ascriversi ad un’azione di stimolo della neurogenesi, sulla base di una latenza clinica dell’effetto di alcune settimane, compatibile con i tempi necessari allo sviluppo di una quota di nuovi neuroni ippocampali in grado di compensare le cellule perdute (Intervista a Giuseppe Perrella, Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze). Da allora si sono accumulate molte evidenze in tal senso e uno studio recente fornisce un supporto ulteriore a quella ipotesi.

Molti antidepressivi richiedono alcune settimane per determinare effetti clinicamente apprezzabili nella maggior parte dei pazienti affetti da forme non lievi di depressione, ma la somministrazione contemporanea di antagonisti dei recettori adrenergici α2 si è dimostrata efficace nel ridurre l’intervallo di latenza. I meccanismi mediante i quali il blocco di questa classe di recettori riduce i tempi necessari al miglioramento dell’umore, non sono ancora definiti. Ora, Yanpallewar e colleghi del Department of Pharmacology, Institute of Medical Sciences, Banaras Hindu University, Varanasi (India), hanno accertato che l’azione anti-α2 determina un aumento della neurogenesi adulta e di fattori neurotrofici nell’ippocampo (Yanpallewar S., et al., α2-adrenoreceptor blockade accelerates the neurogenic, neurotrophic, and behavioral effects of chronic antidepressant treatment. Journal of Neuroscience 30, 1096-1109, 2010).

I ricercatori hanno studiato prima gli effetti dello stimolo dei recettori α2 mediante agonisti in somministrazioni acute e croniche, rilevando un declino della proliferazione dei progenitori ippocampali. Poi hanno verificato che un trattamento preparatorio con la yohimbina, un α2-antagonista, era in grado di impedire questo effetto negativo. Allora hanno deciso di sperimentare, in ratti adulti, un trattamento con l’antidepressivo imipramina combinato con la yohimbina: al 7° giorno dall’inizio della somministrazione era già evidente un aumento della proliferazione dei progenitori ippocampali. Nei roditori trattati con la sola imipramina, invece, si è dovuto attendere il 21° giorno per rilevare un effetto apprezzabile di stimolo alla proliferazione delle nuove cellule nervose dell’ippocampo.

L’effetto del trattamento combinato non era limitato allo stimolo proliferativo, ma si è reso evidente anche sulla morfologia dei neuroni immaturi, con il notevole aumento della quota di cellule fornite di complessi dendriti terziari. A queste osservazioni ha fatto riscontro il dato molecolare dell’incremento nel giro dentato dei livelli di mRNA di fattori neurotrofici quali il BDNF, il VEGF, e l’FGF2.

Per stabilire se la promozione dei processi legati alla neurogenesi ed alla proliferazione fosse rilevante ai fini dell’accorciamento del tempo di latenza per il prodursi dell’effetto depressivo al livello del comportamento, Yanpallewar e colleghi hanno impiegato il novelty suppressed feeding test, una prova comportamentale basata sui tempi di latenza nell’assunzione del cibo, che ha mostrato notevole sensibilità nella valutazione sperimentale dei trattamenti antidepressivi cronici. L’attesa riduzione della latenza nell’assunzione del cibo è stata riscontrata al settimo giorno nei roditori sottoposti a trattamento combinato e al ventunesimo in quelli trattati con la sola yohimbina.

I risultati di questo studio forniscono un ulteriore sostegno alla già ben supportata ipotesi che attribuisce ai tempi lunghi richiesti dalle modificazioni adattative nella neurogenesi e nell’espressione dei fattori trofici, il ritardo nell’effetto degli antidepressivi. Ma, soprattutto, suggerisce che il blocco dei recettori α2 potrebbe essere impiegato in terapia per ridurre i tempi di latenza dei farmaci.

L’opinione di chi scrive è improntata ad estrema prudenza circa l’introduzione di un altro farmaco ad azione recettoriale per il trattamento di sindromi caratterizzate primariamente dalla perdita di neuroni dell’ippocampo e di altre aree del cervello[1]. La prudenza è suggerita, in questo caso, non solo da considerazioni di carattere generale sul trattamento farmacologico della depressione, ma anche da un’osservazione specifica sul rischio di alterazione degli equilibri fra sistemi legati alla trasmissione adrenergica. Non si dispone di conoscenze sufficienti per essere certi che il blocco degli α2 sia scevro di effetti indesiderati non immediatamente apparenti nell’uomo. Si pensi, ad esempio, che la noradrenalina normalmente stimola la proliferazione dei neuroni nell’ippocampo, dunque l’effetto della yohimbina rilevato dai ricercatori dovrebbe essere considerato un “effetto paradosso” in attesa di probabili spiegazioni legate al sottotipo di recettori attivati in questo caso, o ad altri fattori che attualmente ci sfuggono.

Il prosieguo della ricerca dovrebbe fornire una più dettagliata caratterizzazione delle popolazioni recettoriali implicate, soprattutto per comprendere meglio come e perché le segnalazioni fra sistemi neuronici intervengono nel plasmare le risposte neurogenetiche e proliferative, e non per trovare una giustificazione di comodo all’impiego di nuovi farmaci che accelerino gli effetti di quelli già in uso. Anche in considerazione del fatto che la prescrizione degli antidepressivi spesso avviene per ottenere un’azione chimica sul cervello, in luogo di un’azione sulle condizioni di vita della persona considerata nel suo insieme di salute fisica e psichica, e di un intervento sulle eventuali cause sociali, relazionali e personali che hanno determinato la componente “appresa” del funzionamento psichico depressivo, sempre necessaria perché si abbia malattia, anche con il massimo grado di predisposizione genetica noto.

 

L’autrice della nota ringrazia il presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, con il quale ha discusso l’argomento trattato, e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono su questo sito.

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Marzo 2010

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 



[1] Le prime dimostrazioni nell’uomo della riduzione di volume dell’ippocampo ed altre aree cerebrali per la perdita di neuroni causata da disturbi dello spettro dell’ansia e da depressione da stress si devono a Douglas Bremner e collaboratori; un resoconto di questi studi si trova in G. Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress. Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Napoli 2005.