EFFETTI DELLA LINGUA
SULLA DISCRIMINAZIONE DEI COLORI
La psicologia della percezione è stata dominata per lungo
tempo da congetture, spesso formulate in maniera articolata e definite “teorie”,
ma non supportate dalla verifica sperimentale. Alcune di queste formulazioni
interpretative della realtà empirica, consideravano la visione dei colori
totalmente dipendente dalla cultura linguistica, altre, all’estremo opposto,
ritenevano che l’esperienza cognitivo-verbale legata alla cultura non fosse in
grado di influenzare in alcun modo le categorie naturali basate su processi
fisiologici identici in tutti gli esseri umani.
Gli ultimi decenni, grazie anche all’integrazione di
neuroscienze, psicologia e filosofie della mente, facilitata da straordinari
programmi culturali come quello della “cognitive science”, hanno visto lo
sviluppo di teorie scientifiche della visione dei colori basate sulla rigorosa
costruzione di ipotesi e ragionamenti fondati su migliaia di prove sperimentali
e sottoposti alla continua verifica da parte di studiosi fra loro indipendenti e
non di rado operanti con metodi e procedure diverse (IN CORSO – Il colore visto dagli uccelli in una rassegna
di BM&L).
Attualmente si conoscono meccanismi cellulari e molecolari
alla base della visione dei colori nei vari animali ed è possibile tentare un
confronto fra specie, ma è evidente che l’esperienza percettiva non può essere
ridotta a questi eventi elementari e che i nostri processi psichici che
elaborano gli stimoli sensoriali sono il prodotto di una complessità originata
dall’evoluzione della specie, dalla cultura e dalle differenze individuali.
Un lavoro condotto da Winawer e collaboratori (Winaver J., etal. Russian blues reveals effects of
language on colour discrimination. PNAS 19, 7780-7785, 2007) dimostra in maniera evidente l’influenza della lingua sulle prestazioni
in un compito fondato sulla discriminazione fra toni di uno stesso colore.
La lingua russa, a differenza dell’inglese, ha due parole
diverse per indicare il colore chiaro e quello scuro nello spettro del blu. Qualcosa
di simile accade in italiano con le parole celeste o azzurro per
i toni più chiari e blu per quelli più intensi e scuri.
I ricercatori hanno riscontrato che i volontari parlanti
russo erano più rapidi nella distinzione fra due tinte appartenenti a due
categorie semantiche diverse che fra due, pur ben distinte, ma
convenzionalmente appartenenti alla stessa categoria semantica e perciò
denominate con la stessa parola. Un tale effetto non era riscontrabile nei
volontari di lingua inglese che hanno un solo vocabolo (blue) per
indicare tutti i toni e le tinte del blu.
Questo studio dimostra che le categorie linguistiche possono
incidere su una performance di scelta basata sulla percezione di una
frequenza cromatica.
Sarebbe interessante studiare professionisti del colore e
confrontare, ad esempio, pittori con una formazione accademica e in possesso di
un vasto lessico tecnico per denominare i colori, con pittori autodidatti
altrettanto esperti ma con un limitato numero di parole per denominare le tinte
che sanno comporre. Non è escluso che uno studio simile possa riservare qualche
stimolante sorpresa.