LA LINGUA MADRE INFLUENZA L’ARITMETICA NEL CERVELLO?

 

 

Recenti ritrovamenti di ossa craniche di ominidi cinesi, hanno consentito ai paleontologi di retrodatare di molte decine di millenni l’origine dei principali tratti che distinguono ancora oggi il cranio delle popolazioni originarie di quelle regioni dell’Asia da quello dei Caucasici. Lo stretto rapporto fra morfologia cranica e cerebrale è noto, ma non è stabilito con certezza un legame genetico fra variazioni delle strutture neurocraniche e fenotipia dell’anatomia interna del cervello. E’ ragionevole ipotizzare che un certo numero di reti neuroniche abbia configurazione e localizzazione diversa nel cervello dei Cinesi senza che ciò corrisponda ad una sostanziale differenza funzionale con le analoghe strutture encefaliche di Europei, Africani e Americani, tuttavia molti ricercatori ritengono che tali diversità abbiano rilievo fisiologico, al punto da descrivere i diversi patterns di attivazione come una diversa modalità di elaborazione. Con questa impostazione interpretativa sono stati condotti numerosi studi, molti dei quali hanno evidenziato schemi di attivazione diversi per i Cinesi nell’esecuzione di compiti linguistici. Tali risultati hanno condotto all’ipotesi che la lingua parlata, piuttosto che la genetica, plasmi le caratteristiche morfo-funzionali cerebrali delle popolazioni autoctone della Cina.

Negli Stati Uniti, l’influenza dell’apprendimento precoce della lingua sui processi cognitivi dei cinesi è diventata, in breve tempo, una convinzione tanto diffusa e condivisa da non essere quasi più messa in dubbio o criticata. L’esistenza di differenze nei patterns neurofunzionali per gli stessi compiti fra persone asiatiche ed occidentali è ormai un fatto indiscutibile, ma il vero problema, a nostro avviso, è costituito dall’interpretazione del significato e del rilievo fisiologico di tali differenze.

Una ricerca condotta in collaborazione da ricercatori cinesi ed americani, partendo dall’ipotesi che sia l’apprendimento precoce della lingua a plasmare la tipologia dei processi cognitivi, ha studiato l’attivazione cerebrale nel trattamento dei numeri e in alcuni compiti di aritmetica. Le cifre numeriche e le regole matematiche sono universali, pertanto gli autori hanno supposto che confrontare le prestazioni in questo ambito fra gruppi di diversa lingua madre, avrebbe potuto fornire risultati indicativi sul ruolo che l’idioma parlato abbia sugli altri processi cognitivi.

Il campione sperimentale era costituito da 24 volontari, 12 di madre lingua inglese ed altrettanti di madre lingua cinese, corrispondenti per età, genere e grado di istruzione (Tang Y., et al. Arithmetic processing in the brain shaped by cultures. Proc. Natl Acad. Sci. USA 28, 10775-10780, 2006).

Lo studio delle risposte alla semplice vista dei numeri, mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI), ha dimostrato nei due gruppi notevoli differenze, più marcate in corrispondenza dell’emisfero sinistro, come era da attendersi. In particolare, nei parlanti inglese, si notava maggiore attivazione nell’area motoria supplementare di sinistra e nelle aree di Broca e di Wernicke. Un’attivazione ancora più marcata si registrava in una superficie corticale posta fra l’area 9 e le aree 6 ed 8 della classificazione di Brodmann, corrispondente all’incirca all’area di associazione premotoria, un complesso di neuroni che è stato messo in relazione con funzioni visuospaziali e cognitive. I due gruppi di volontari sono stati sottoposti a due semplici prove aritmetiche: un’addizione e un esercizio di comparazione quantitativa. La logica convenzionalmente adottata in questo tipo di sperimentazione, considera il grado di impegno (mathematical loading) progressivamente crescente in questa successione:

 

1)      visione-riconoscimento di cifre numeriche,

2)      addizione,

3)      comparazione quantitativa.

 

Al crescere del grado di impegno, cresceva nei cinesi l’attivazione dell’area di associazione premotoria, mentre nei dodici volontari anglofoni cresceva l’attivazione delle aree perisilviane, tradizionalmente associate dalla neurologia occidentale a funzioni linguistiche. Ulteriori analisi di connettività delle immagini fMRI hanno confermato l’impiego di reti neuroniche diverse, da parte dei due gruppi, nelle prove di addizione e comparazione.

Sulla base di questi risultati, gli autori dello studio concludono che la lingua madre possa influenzare lo sviluppo dei circuiti cerebrali implicati nell’elaborazione dei numeri e dell’aritmetica, ma non trascurano un riferimento a differenze culturali nei metodi di insegnamento e a variazioni genetiche in grado di condizionare un diverso tipo di organizzazione funzionale.

Un’osservazione critica conclusiva riguarda la mancanza in questo studio di un confronto mirato fra cinesi ed anglofoni delle aree cerebrali che si ritiene elaborino la quantità indipendentemente dalle funzioni linguistiche, come il solco intraparietale, che “è specificamente attivato da informazioni di quantità, verbali e non-verbali, indipendentemente dalla modalità sensoriale, dal tipo di notazione simbolica e dallo stato cognitivo del soggetto” secondo risultati concordanti riportati in una nota di Patrizio Perrella (Note e Notizie 10-12-05 Le basi neurobiologiche della competenza numerica). Alla lettura di questa nota si rimanda anche per altri dati sulle basi neurobiologiche della competenza numerica che, a differenza di quanto ritenuto in passato, sembrano essere in parte indipendenti da quelle della parola.

 

L’autrice della nota ringrazia Giuseppe Perrella e Giovanni Rossi, con i quali ha discusso l’argomento trattato, e Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Settembre 2006

www.brainmindlife.org