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LA MALATTIA DI ALZHEIMER
Si propongono dei brani a scopo di presentazione, la monografia nella sua versione integrale è disponibile per i soci. |
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Premessa. Da quando Alois Alzheimer per primo descrisse e caratterizzò mediante i correlati istopatologici questa malattia degenerativa dell'encefalo, il campo di studi si è talmente espanso che in una trattazione sintetica come la presente non sarà possibile considerare tutti i filoni di ricerca in atto o fornire dettagli sui risultati sperimentali [...] |
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Generalità ed epidemiologia. La malattia di Alzheimer si classifica fra le sindromi degenerative del sistema nervoso centrale, ossia condizioni patologiche ad eziologia non definita, caratterizzate da un processo di morte neuronale [...] Se si accetta l'estensiva definizione di demenza dell'American Accademy of Neurology, cioè progressivo e permanente declino delle funzioni cognitive, si deve registrare che quasi il 15% per cento delle persone che vivono fino a 65 anni ed il 35% di coloro che raggiungono gli 85, sviluppa una forma di demenza, fra le quali l' alzheimeriana è la più frequente [1]. [...] |
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I casi accertati negli Stati Uniti raggiungono i 4 milioni [2], mentre le stime epidemiologiche relative al numero di persone affette in tutto il mondo considerano un totale di 12 milioni. Entro il 2025 si prevede un numero di diagnosi intorno ai 22 milioni, mentre per il 2050 le previsioni avanzate al World Alzheimer's Congress del luglio 2000, per l'aumento della popolazione e della durata della vita, fissano la stima oltre i 36 milioni di persone affette. [...] |
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Cenni storici. Nel 1906 Il neuropatologo tedesco Alois Alzheimer studia al microscopio preparati istologici ricavati da sezioni sottili del cervello di una sua paziente affetta da una complessa ed invalidante malattia neuropsichica, caratterizzata da una grave forma di deterioramento mentale ad insorgenza precoce ed andamento rapidamente ingravescente. Descrive due tipi di lesioni che ricollegherà all'etiopatogenesi della malattia: le placche e le alterazioni neurofibrillari. [3] [...] La pubblicazione di questi dati, nel 1907 [4], avvierà la ricerca sul primum movens patogenetico (placche amiloidi o degenerazione neurofibrillare) che ancora non ha trovato una risposta definitiva. |
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Non si sa molto della paziente del dottor Alzheimer, il suo nome è riportato come Auguste D. e, sebbene avesse tratti del comportamento, sintomi ed aspetto di un'anziana ammalata di demenza senile, aveva solo 55 anni quando morì. Aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita ricoverata in un istituto per malati di mente, in quanto andava incontro a periodiche bouffées aggressive, manifestava sintomi proiettivi [5] e non sembrava più in grado di riconoscere i volti, verosimilmente scambiando l'aspetto fisionomico degli altri per il proprio. |
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All'originario lavoro di Alzheimer, Perusini aggiunse nel 1909 tre nuove osservazioni anatomocliniche molto dettagliate [6] e i suoi studi negli anni successivi (1910-1911) consentirono la comprensione di alcuni rilevanti aspetti clinici e patologici, così che la malattia, detta in Germania "morbo di Alzheimer", divenne nota in Italia come "morbo di Alzheimer-Perusini" [7]. [...] Kraepelin la ritenne una forma grave e precoce di demenza senile, secondo il concetto di senilità precoce di Fuller, anche se già nel 1910 le riconosceva autonomia nosografica. [...] Questa caratterizzazione gli parve sufficiente per definire una nuova categoria diagnostica che indicò, ufficialmente per la prima volta, con il nome di malattia di Alzheimer [8]. |
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Dalla Demenza Presenile
alla sindrome attuale.
La scoperta di Alzheimer produsse grande interesse all'epoca,
ma per molto tempo fu vista solo come una curiosità medica,
perché rarissimamente diagnosticata. [...] |
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Difatti questa condizione, che prese il nome di malattia di Pick, è dovuta ad una degenerazione circoscritta, prevalentemente a localizzazione fronto-temporale [9], talvolta con interessamento parietale, che solo nelle fasi più avanzate determina un'estesa atrofia corticale. La convinzione di Pick che la sindrome dovesse accostarsi più alle demenze senili che ad altre patologie organiche note derivava, oltre che dal quadro morfologico [...] |
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Sebbene la prima descrizione da parte di Pick risalga al 1901, solo dopo alcuni decenni la malattia fu considerata una sindrome indipendente e classificata fra i processi degenerativi ereditari. La sua insorgenza nel quinto decennio di vita, la prevalenza nel sesso femminile e l'impossibilità di una precisa caratterizzazione clinica nelle fasi avanzate, la resero spesso indistinguibile dalla malattia di Alzheimer. [...] |
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Pietre miliari e controversie attuali.
Prima di addentrarci nei problemi patologici, sarà utile fare
un rapido excursus delle principali tappe che hanno scandito il
progresso delle conoscenze negli ultimi tre decenni. [...] |
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Poco tempo dopo, quattro diversi gruppi di ricerca sequenziarono il gene che codifica per la proteina da cui il peptide origina. Così come erano parse sorprendenti le piccole dimensioni del peptide in grado di formare fibrille e cumuli di sostanza extracellulare, sorpresero le grandi dimensioni della proteina codificata dal gene di recente individuato. Il peptide beta-amiloide era un frammento di una macromolecola di membrana cui si diede il nome di precursore del peptide beta amiloide o beta-amyloid precursor protein o ßAPP. [...] |
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Nel 1991, studiando il DNA di una famiglia con Alzheimer ad insorgenza precoce, un gruppo della St. Mary's Hospital Medical School di Londra localizzò il gene per la ßAPP sul cromosoma 21 e dimostrò che la mutazione puntiforme si verificava proprio nel frammento di DNA codificante il polipeptide precursore [10]. All'incirca in quello stesso periodo altri studi indicavano che in famiglie in cui ricorreva la malattia di Alzheimer il cromosoma 21 poteva essere portatore di un difetto. Questa correlazione era molto suggestiva, perché da tempo era noto che i soggetti affetti da sindrome di Down, o trisomia 21, quando vivono sufficientemente a lungo, invariabilmente sviluppano i sintomi di una patologia simile all'Alzheimer. |
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L'idea che il peptide Aß fosse all'origine della cascata di eventi
determinante la progressione della malattia era ormai opinione
dominante, nota come "teoria dell'amiloide", e i dati genetici
sembravano confermarla in pieno. Ben presto si formò una vera e
propria scuola di pensiero che ebbe, ed ha tuttora, in Dennis
Selkoe uno dei maggiori esponenti. |
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Nel 1992 Roses sfidò l'ortodossia beta-amiloide: annunciò di aver identificato un gene di suscettibilità per lo sviluppo delle forme più frequenti, ad insorgenza nell'età media ed avanzata. Si trattava del gene per l'allele "e 4" dell'apolipoproteina E (APOE), cioè una variante [11] di una lipoproteina che trasporta il colesterolo. [...] |
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Nel 1993 fu isolata dalle placche amiloidi l'a-sinucleina, inizialmente indicata con il nome di non-Aß component precursor (NACP). Fu subito evidente che poteva avere un ruolo importante nella patogenesi della malattia, tanto da ridimensionare la centralità attribuita all'amiloide [12]. [...] |
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La teoria dell'amiloide sembrò avere una conferma decisiva nel 1995 quando Peter H. St George Hyslop [13], con i suoi collaboratori, clonò due geni cui diede il nome di presenilina 1 e presenilina 2. Le alterazioni di questi geni erano state messe in relazione con una forma della malattia estremamente aggressiva e ad insorgenza molto precoce, in cui la sintomatologia talvolta esordiva già intorno ai 28 anni, divenendo presto molto grave. [...] |
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Nel 1998 Rudolph Tanzi, genetista di Harvard, ritenne di aver identificato sul cromosoma 12, in un gene detto A2M, un altro importante fattore di suscettibilità: la sua tesi era che questo gene fosse in grado di determinare il tasso di produzione di ß-amiloide da parte dei neuroni [14]. L'ipotesi fu respinta, non solo da coloro che dubitavano del valore della ricerca sui geni di suscettibilità, ma dallo stesso Allen Roses, il quale aveva lavorato a quel locus del cromosoma 12, addirittura registrando un brevetto sull'A2M e, successivamente, si era convinto della mancanza di un legame diretto con la patologia. [...] |
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Fin dall'inizio degli anni Novanta Robert Terry e Robert Katzman avevano rilevato che la densità degli aggregati neurofibrillari è proporzionale alla gravità della demenza [15]. Questo dato assume un rilievo maggiore se si tiene conto che, al contrario, sia l'estensione che il numero delle placche amiloidi non è in relazione proporzionale con la gravità dei sintomi psichici. [...] |
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Patologia: ß-APP e Aß.
Il precursore della proteina ß-amiloide
(ßAPP)[16]
è sintetizzato da molte specie cellulari ed è una proteina
di membrana, la cui lunghezza varia da 695 a 770 aminoacidi.
Le due estremità idrofile della macromolecola sporgono l'una
nel citoplasma e l'altra, la più lunga, nello spazio extracellulare.
Da quest'ultima proviene il peptide beta-amiloide. |
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La prima modalità prevede una tappa catalizzata da un
enzima detto a-secretasi
in grado di scindere dal precursore un peptide che sarà attaccato
da un secondo enzima, la
g-secretasi,
la cui azione dà origine ad un frammento fisiologico, definito p3. |
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La seconda modalità differisce per l'enzima che interviene
nella prima tappa, in questo caso è la ß-secretasi
[17]:
uno dei frammenti prodotti, costituito da 99 aminoacidi, il C99-ßAPP,
sottoposto all'azione della
g-secretasi
dà luogo alla formazione del peptide ß-amiloide. |
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Tau. L'evento chiave che determina l'alterazione della proteina tau da cui deriva la formazione degli aggregati neurofibrillari sembra essere l'iperfosforilazione. [...] L'iperfosforilazione della tau da cui si originano gli ammassi di grovigli neurofibrillari sarebbe determinata dall'azione di Aß42. L'idea, molto suggestiva, necessita di prove sperimentali in un campo che appare quanto mai complesso. La Cdk5 (Cyclin-dependent kinase 5) sembra fornire una prova in tal senso: si tratta di una tau-kinasi la cui attività è indotta dai peptidi Aß [19] [...] |
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Meccanismi del danno neuronale. [...]
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