INSULA DI REIL E DIPENDENZA DAL FUMO

 

 

La localizzazione delle funzioni nel cervello, che appartiene alla storia della neuropsicologia, origina dalle osservazioni anatomo-cliniche di un paio di secoli fa, quando i neurologi mettevano in rapporto la perdita di funzioni percettive, di memoria, di comunicazione e movimento, con lesioni focali rilevate all’autopsia. Le teorie patogenetiche derivate da queste esperienze cliniche, hanno influenzato a lungo la visione scientifica delle funzioni cerebrali dette “superiori”. L’esito patologico era, in genere, attribuito alla perdita di connessione fra aree con specifiche sotto-funzioni, come nel caso paradigmatico dei disturbi afasici descritti da Broca e Wernicke, oppure alla distruzione di una struttura preposta ad un compito specifico, quale l’ippocampo nelle amnesie. A questa visione, che andava sviluppandosi ed integrandosi con quella emergente dalle ricerche neurofisiologiche (Penfield), si contrapponeva quella derivante dagli studi neurobiologici che, dalla tesi dell’assenza di localizzazione della memoria (Lashley), fino alle più recenti caratterizzazioni funzionali in base a neurotrasmettitori e recettori, è sempre rimasta distante da un’idea “neofrenologica” di un cervello ripartito in macrofunzioni.

Alla luce delle conoscenze attuali, ci appare anacronistica una concezione dell’encefalo come sistema costituito da organi monofunzionali, tuttavia si possono riconoscere forme più evolute ed aggiornate di una tale visione in quelle scuole di pensiero che postulano l’esistenza di macro-moduli funzionali indipendenti e, su questa base, giustificano la psicochirurgia.

BM&L ha rilevato in varie occasioni il rischio dell’affermarsi inconsapevole di una  concezione neofrenologica per effetto di una impropria impostazione nella formulazione dei quesiti e nell’interpretazione dei risultati di molte ricerche basate su metodiche di neuroimaging funzionale (Note e Notizie 27-05-05 Una nuova frenologia con la risonanza magnetica funzionale?). Una recente dichiarazione di Paul Mattews, autorevole membro dell’Imperial College di Londra e docente della Oxford University, ci fa ritenere che il paventato rischio sia già una realtà con tutte le conseguenze negative che si possono facilmente immaginare.

Veniamo al fatto. Uno studio pubblicato su Science, che ha avuto una certa risonanza mediatica, ha rilevato che persone con un danno all’Insula di Reil trovano più facile smettere di fumare di quelle con lesioni in altre aree del cervello, e ciò pare sia dovuto alla perdita del desiderio impellente tipico del fumatore (Naqvi N.H., Rudrauf D., Damasio H., and Bechara A., Damage to the insula disrupts addiction to sigarette smoking. Science 315, 531-534, 2007).

A commento di questa ricerca, Paul Mattews ha avanzato l’ipotesi di una cura chirurgica per il fumo (Leonie Welberg, No smoke without insula. Nature Reviews Neuroscience 8, 165, 2007).

In altre parole, per smettere di fumare sarebbe “sufficiente” sottoporsi ad un intervento chirurgico al cervello distruggendone una piccola parte, ossia -come si sarebbe detto ai tempi di Gall e Spurzheim- l’organo del vizio del fumo.

L’assurdità è tanto più grave perché la dichiarazione è stata resa alla BBC e, dunque, alla presumibile autorevolezza di un docente di Oxford si aggiunge il prestigio della fonte mediatica e l’estesa diffusione del messaggio in tutto il mondo di lingua inglese.

L’importanza dell’Insula nella valutazione degli stati corporei è una nozione acquisita, così come la sua partecipazione alle reti implicate nella mediazione delle risposte alle sostanze psicotrope d’abuso, mentre in molte altre circostanze in cui ne è stata rilevata l’attivazione, il suo esatto ruolo rimane controverso o non sufficientemente chiarito. E’ ben noto che i gruppi neuronici che fanno capo alla struttura anatomica descritta da Reil come un’isola, sono attivati con notevole intensità e frequenza durante lo stato di veglia, tanto che lo stesso autore principale del lavoro che ha dato spunto alle esternazioni di Mattews, ossia Antoine Bechara, a proposito di una eventuale terapia del tabagismo basata sulla sua ricerca, ha dichiarato alla Reuters che l’insula svolge una grande quantità di lavoro per le attività della nostra vita quotidiana e, pertanto, si dovrebbe essere “certi di poter interferire solo con funzioni che attengono alla cattiva abitudine di fumare e non a qualcosa di vitale come mangiare”.

La dichiarazione di Bechara, nella sua semplicità, ci sembra la risposta migliore all’ipotesi di Mattews.

 

L’autore della nota ringrazia il presidente di BM&L, Giuseppe Perrella, con il quale ha discusso l’argomento trattato.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Marzo 2007

www.brainmindlife.org