PERCHE’ SI PARLA DI GENE DEL DIVORZIO

 

 

Nel gennaio 2006 abbiamo recensito un lavoro di Brandon Aragona sulla monogamia del criceto della prateria (Microtus ochrogaster), nel quale si attribuiva un ruolo alla segnalazione dopaminergica D1 del nucleus accumbens nel mantenimento dell’unicità del legame dopo il primo rapporto sessuale (Note e Notizie 14-01-06 Un atto sessuale che lega una coppia per sempre). La ricerca in questo campo è proseguita, e le evidenze sperimentali hanno consentito di associare il polimorfismo nel gene che codifica il recettore della vasopressina 1a (AVPR1a) a variazioni del comportamento nell’accoppiamento, in particolare una variante è stata associata alla monogamia del criceto della prateria ed un’altra alla poligamia del criceto di montagna.

Uno studio, condotto in Svezia da Hasse Walum e colleghi del Karolinska Institutet e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science, sembra dimostrare che il polimorfismo dello stesso gene sia in grado di influenzare il comportamento umano nei rapporti di coppia (Leonie Welberg, A genetic bond? Nature Reviews Neuroscience 9, 736, October 2008).

Lo studio ha fatto uso di dati provenienti da oltre 550 gemelli e dai loro coniugi o compagni di vita, e si è basato sul ruolo della vasopressina cerebrale come mediatore di funzioni legate ai rapporti interpersonali e sociali.

Il clamore mediatico, che si è rapidamente diffuso in tutti i paesi di lingua inglese, ha avuto origine da un’intervista concessa dallo stesso Walum al Washington Post, nel corso della quale il promettente allievo di Paul Lichtenstein ha affermato che donne sposate con uomini portatori di una particolare variante del gene (var. 334) hanno fatto registrare punteggi della qualità del rapporto più bassi di quelli di donne il cui marito non era portatore di quel tipo di variante; e che gli uomini omozigoti per l’allele di quella variante presentavano una probabilità di rischio due volte maggiore di avere problemi di coppia con minaccia di divorzio durante l’anno che ha preceduto lo studio (Washington Post).

Larry Young, noto neurobiologo sociale della Emory University di Atalanta, si è limitato ad osservare: “E’ molto interessante che lo stesso gene implicato nell’accoppiamento di un piccolo roditore possa interessare i nostri rapporti” (NPR).

George Fieldman, lettore di psicologia alla Buckinghamshire New University del Regno Unito, ha accettato la validità del lavoro e proposto alla televisione nazionale delle riflessioni in chiave evoluzionistica, in particolare osservando che vi può essere un beneficio evolutivo nella conservazione del polimorfismo “…se l’obiettivo è sopravvivere e diffondere i tuoi geni” (BBC News).

La responsabilità di aver montato un “caso”, cercando di attrarre l’attenzione dei lettori con la classica “esca” del determinismo genetico proposto come implicita giustificazione di un comportamento umano, sembra debba attribuirsi ai redattori del Telegraph, che per primi hanno parlato di «gene del divorzio».

A nostro avviso non si possono dar colpe a Walum che ha specificato la limitata influenza che può avere un singolo gene ed ha chiaramente precisato: “[il gene] non può, con qualsiasi reale precisione, essere usato per prevedere come qualcuno si comporterà” (Washington Post).

In conclusione, vogliamo osservare che lo studio fa parte di un progetto di ricerca della scuola di Lichtenstein, il cui fine consiste nell’approfondire le conoscenze sull’origine dell’autismo infantile e delle fobie sociali.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Ottobre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: COMMENTO]