ESERCIZIO FISICO PER LA MEMORIA SPAZIALE

 

 

La neurogenesi del cervello adulto, indotta da vari fattori, è un fenomeno ben documentato che riceve costanti conferme da un numero sempre crescente di lavori sperimentali. In una recente recensione ho fatto presente la necessità di disporre di criteri di significatività fisiologica dei fenomeni neurogenetici che si verificano dopo lo sviluppo, per poter valutare l’effettiva rilevanza della produzione di nuove cellule nervose in una data condizione e in una determinata area del sistema nervoso centrale (Note e Notizie 08-09-07 L’esercizio fisico genera nuovi neuroni nell’ippocampo).

Un modo per verificare direttamente se un agente neurogenetico abbia prodotto un effetto significativo, consiste nel valutare se la sua azione sia in grado di riparare un danno, ristabilendo una funzione. L’ictus cerebrale frequentemente compromette la cognizione spaziale; poiché è noto che l’esercizio fisico stimola la neurogenesi, Luo C. X. e i suoi collaboratori del Dipartimento di Farmacologia dell’Università Medica di Nanchino, hanno verificato la capacità di neuroni neoprodotti per effetto di attività muscolare, di ripristinare le abilità spaziali perdute in seguito ad ictus artificiale indotto nel topo (Luo C. X., et al. Voluntary exercise-induced neurogenesis in the postischemic dentate gyrus is associated with spatial memory recovery from stroke. J. Neurosci Res. 85, 1637-1646, 2007).

Per l’acquisizione e il ripristino di un apprendimento dipendente dall’ippocampo come quello spaziale, è necessaria la genesi di nuovi neuroni nel giro dentato, per cui i ricercatori hanno voluto, prima di tutto, verificare se l’esercizio volontario fosse in grado di determinare questo effetto neurogenetico.

Topi, nei quali era stata indotta ischemia cerebrale focale, sono stati sottoposti ad esercizio volontario (wheel running), un’attività che può ritenersi fisiologicamente equivalente, in ambito umano, ad una pratica ginnica o ad un esercizio fisioterapico di tipo attivo. Dopo la fase di prova, i roditori esercitati e quelli di controllo sono stati esaminati e, nei primi, lo studio dei neuroni del giro del cingolo ha fatto rilevare quanto segue: a) esistenza di neurogenesi, b) aumento della sopravvivenza delle cellule nervose neonate, c) regolazione verso l’alto della fosforilazione della proteina CREB (cAMP response element binding protein).

Questi dati spiegavano l’esito delle prove comportamentali: le abilità spaziali perse per l’ictus sperimentale erano state riacquistate dai topi che avevano effettuato esercizi volontari, dimostrando che la neurogenesi aveva consentito il ripristino di funzioni basate sulla memoria spaziale.

E’ interessante notare ciò che è accaduto quando gli animali sono stati sottoposti a forced swimming, una prova in cui i roditori sono costretti a nuotare per non annegare, e in cui si ha, per questo, un’attivazione dei sistemi neuronici dello stress. Pur essendo un’attività motoria, il nuoto forzato non ha prodotto gli effetti molecolari, cellulari e cognitivi dell’esercizio libero, ossia non ha indotto neurogenesi e non ha ridotto la perdita di abilità spaziali dovuta all’ictus sperimentale.

Luo e i colleghi della School of Pharmacy della Medical University dell’antica capitale della Cina, hanno poi rilevato un rapporto molto interessante fra il substrato neuronico e la prestazione dei topi che avevano effettuato esercizio volontario: maggiore era il numero di cellule neonate sopravvissute nel giro dentato, maggiore era la capacità dei topi di localizzare la piattaforma nel Morris water maze, una classica prova di abilità spaziale.

In conclusione, gli esperimenti condotti dai ricercatori cinesi dimostrano che l’esercizio volontario dopo ictus ischemico nel topo adulto, oltre a stimolare la neurogenesi, promuove la sopravvivenza dei neuroni neonati nel giro dentato, mediante l’up-regulation della fosforilazione di CREB. Le nuove cellule nervose del giro dentato sono in grado di restaurare le abilità cognitivo-spaziali conferendo un livello di prestazione strettamente correlato al numero di nuovi neuroni sopravvissuti.

In attesa di ulteriori conferme e riscontri nella nostra specie, si può affermare che questi dati forniscono delle indicazioni sulla base biologica dell’influenza dell’esercizio fisioterapico attivo sui processi di recupero cognitivo nel trattamento riabilitativo degli esiti di patologia cerebrovascolare acuta.

 

L’autrice della nota ringrazia Lorenzo L. Borgia per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Settembre 2007

www.brainmindlife.org