IL DOLORE, IL CORAGGIO E LA VOLONTA’  

 

 

 

Oriana Fallaci scrive: “Avevo un dolore tremendo ai polmoni e alla trachea e all’esofago dove l’Alieno s’è fatto il nido. Così non potevo neppure scendere dal letto. Potevo stringere i denti e basta.” [Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, p. 17].

Resistere nel dolore con la volontà, come insegnavano gli antichi Greci, richiede coraggio. “Il coraggio per me è un valore importante” dice al caffè “Le Giubbe Rosse”, dove Giovanni Papini ed Eugenio Montale parlavano di questi argomenti, Gloria Gambacciani, Fiorentina come Oriana Fallaci, Tiziano Terzani e Giovanni Sartori. Persone tanto diverse, ma tutte saldamente legate al valore del coraggio come espressione e nutrimento della volontà.

Omero ha cantato la forza, il dolore e la pena, ma si è sottratto al compito di interpretarle, non tanto perché “incapace di sciogliere enigmi” come voleva Eraclito, quanto per aver scelto di narrare il coraggio necessario alla vita di ogni giorno, tanto agli eroi quanto alle persone comuni.

Se la dimensione conoscitiva del dolore può affascinare alcuni, la necessità di affrontarlo riguarda tutti. Nietzsche sostiene che “Edipo, l’uomo che ha più sofferto, ha scoperto l’enigma dell’uomo”. Tuttavia, dopo questa scoperta, né lui, né altri, si è potuto sottrarre al dolore fisico o al “male di vivere”.

I soci di BRAIN MIND & LIFE ITALIA hanno discusso del valore attribuito alla volontà nel determinare la vita e nell’agire sul dolore, da parte di alcuni fra i filosofi più eminenti.

Interessante la posizione di Carlo Marx al riguardo. Se è vero che per Marx è la vita, identificata con la struttura economica, a determinare la coscienza come sovrastruttura, è pur vero che la vita nel pensiero marxiano non è conseguenza passiva delle condizioni in cui si vive. Al contrario, è il “terreno che può essere illuminato dalla scienza reale e positiva” ed è “attività e volontà”. E’ stimolante l’accostamento con Schopenhauer che, considerando l’intera sfera razionale dell’uomo come prodotto della volontà irrazionale ed inconscia, non attribuisce alla volontà l’intimo e fecondo legame con il coraggio che troviamo in Marx. Questo legame ha, senz’altro, importante rilievo psicologico nella vita della persona.

Schopenhauer apprezza ed esalta la volontà espressa dalla costanza dell’impegno quotidiano, come si può leggere in “Aforismi sulla saggezza del vivere”, ma non riconosce alla volontà il valore di istanza cosciente fondamentale nel determinare il proprio destino. Al riguardo, Emanuele Severino afferma: “Questa differenza è imputabile all’ascendenza kantiana di Schopenhauer e all’ascendenza hegeliana di Marx” [La Filosofia Contemporanea, p. 63].

Si è osservato che la posizione di Schopenhauer si accorda con la debolezza psicologica  che lo porta al suicidio, tanto quanto quella di Marx appare coerente con lo stile dell’uomo che affrontava con vigore le minacce di una vita costantemente esposta a gravi rischi e pericoli.

“Il coraggio, sopravvissuto nell’ethos del Novecento fiorentino, era figlio del valore risorgimentale espresso dal dovere assoluto di tradurre in azioni le buone intenzioni di un cittadino o di un popolo”, ha affermato un membro anziano di BM&L.

Numerose condizioni hanno sostenuto nell’educazione familiare e nell’esperienza sociale adulta, il valore positivo del coraggio nel secolo appena trascorso. Si pensi al mito dell’audacia coltivato nella società italiana fra le due guerre, sia pure negli aspetti talvolta tragici e talaltra grotteschi della propaganda fascista, alla generosità ideale o alla necessità vitale di essere coraggiosi dei partigiani e dei soldati, si pensi all’ostinata temerarietà di paladini della libertà come gli azionisti di Ferruccio Parri, non sostenuti nemmeno dalla forza della numerosità che caratterizzava i gruppi di attivisti di ispirazione socialista, comunista o cristiana nel periodo bellico e post-bellico.

Sia giusto o meno, in chiave storica, il riconoscimento di radici mazziniane (come in “Pensiero e Azione”), garibaldine e risorgimentali in genere, alla cultura del coraggio dei Fiorentini della generazione della Fallaci, rimane un fatto che il valore dell’audacia e della forza d’animo siano ancora oggi riscontrabili in molti testimoni di quel tempo.

Il coraggio al servizio della volontà, come espressione di forza del soggetto che vince se stesso nelle impasse inibitorie e depressive, è senz’altro un argomento di grandissimo interesse nello studio della psicologia della risposta al dolore nei suoi effetti sull’unità mente-corpo.

Leggiamo ancora Oriana Fallaci: “Nel mio caso il motto “mens sana in corpore sano” va sostituito con “mens sana in corpore infirmo”. Perché ragiono, scrivo, combatto come prima e più di prima. E’ come se la mia mente fosse del tutto estranea al mio corpo. O come se col male del corpo la mente si rinforzasse. Un fenomeno interessante. I medici dovrebbero studiarlo, scoprire se tra il sistema neurologico [sistema nervoso, ndr] e la malattia vi è una sorta di rivalità, infine chiedersi: può il cervello controllare, tenere a bada, un mucchio di cellule impazzitie? Può la mente opporsi alla morte, ostacolarla, ritardarla? Io penso di si.” [Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, p. 9].

Lo pensano anche molti ricercatori.

Anche se i risultati sono parziali e frammentari, da tempo sono noti gli effetti positivi di processi mentali sul decorso di malattie croniche di natura oncologica, degenerativa ed infiammatoria; molte ricerche hanno documentato specifici meccanismi, sia al livello molecolare che cellulare.

E’ stato dimostrato che il dolore si riduce se si ritiene di poterlo controllare (vedi in Note e Notizie del 23-10-2004): sarebbe interessante studiare l’effetto che può avere sui processi neuroimmunitari implicati nella genesi del dolore cronico, una volontà che costantemente incida in modo positivo sulla vita di una persona.

 

BM&L-Giugno 2005