EINSTEIN E IL SUO
CERVELLO
Sarebbe un’inutile ipocrisia minimizzare la portata che ha
avuto la pubblicazione del libro di Michael Paterniti (Driving MR Albert, Random House, New York e Abacus,
London 2002) in cui si ricostruiscono le
vicende cui è andato incontro il cervello di Albert Einstein nel corso di una
quarantina d’anni, se si pensa che R. Douglas Fields nella sua recente review
sulle funzioni della glia (The Other Half of
the Brain. Sci. Am. Vol. 290, No 4, 26-33, 2004) sceglie di introdurre l’articolo con un lungo riferimento
alla storia narrata e, poi, agli esiti dello studio istologico riportati in Driving
MR Albert.
La crudezza con cui si ricostruisce una realtà che va ben oltre il freddo distacco dello sperimentatore, portando alla completa reificazione dell’organo più importante di un essere umano, testimonia di una rozzezza culturale che ben si accorda con la grossolanità della prospettiva scientifica con cui il patologo Thomas Harvey aveva intrapreso lo studio del cervello del genio di Ulm.
Non solo Fields, ma la maggior parte di coloro che hanno letto il libro di Paterniti devono aver provato almeno fastidio e sconcerto ad immaginare l’encefalo di Einstein tenuto in casa, in un contenitore, a galleggiare in una soluzione di formaldeide e, poi, caricato nel portabagagli di un’automobile e portato in viaggio attraverso gli Stati Uniti.
In un incontro di aggiornamento dal titolo “Il Cervello
di Einstein”
(vedi la scheda introduttiva nella sezione
AGGIORNAMENTI) nell’ambito del
seminario di studi “Albert Einstein
nell’Anno Mondiale della Fisica” tenutosi a
Firenze lo scorso sabato, Giuseppe Perrella, Giovanni Rossi e Nicole Cardon
hanno preso le mosse proprio dallo studio condotto da Thomas Harvey per
proporre nuovi dati e nuove interessanti prospettive derivanti sia dalle
moderne metodologie di studio che da una più matura prospettiva teorica, alla
luce dei recenti progressi nelle neuroscienze.
Intervistato al termine del meeting, Giovanni Rossi ha
dichiarato: “La triste ironia della sorte ha
voluto che il cervello di un uomo dal raffinato intelletto e dalla
straordinaria sensibilità etica quale era Einstein, sia stato trattato senza
alcun riguardo da un professore di patologia che molti suoi colleghi non
esitavano a definire poco competente e senza scrupoli. Per fortuna ebbe la
furbizia di rivolgersi a veri competenti per i primi esami e per quelle stime
quantitative che, come avete sentito da Giuseppe Perrella, oggi possiamo
interpretare e comprendere al punto che ci consentono anche di avanzare ipotesi
affascinanti… ”
BM&L-Dicembre 2004