BRAIN MIND & LIFE E ALBERT EINSTEIN NELL’ANNO MONDIALE DELLA FISICA

SEMINARIO DI STUDI

 

 Firenze e Roma, novembre-dicembre 2004

 

 

SCHEDA INTRODUTTIVA

 

 

 IL CERVELLO DI EINSTEIN

 

 

 

INTRODUZIONE. Alla nascita, avvenuta ad Ulm in Germania nel 1879, Albert Einstein appariva quanto meno dismorfico e, secondo le testimonianze dell’epoca, sua nonna lo ritenne malformato per il suo cranio decisamente asimmetrico e la stessa madre -secondo Michael Paterniti[1]- provò orrore nel vederlo e temette di aver partorito una creatura mostruosa.

In numerose biografie romanzate si leggono storie ed interpretazioni al riguardo che risentono della cultura degli autori, profondamente influenzata dai miti popolari che rappresentano come “mostri” le persone straordinarie e vogliono che queste siano diverse tanto nel bene quanto nel male dalle persone comuni, così da offrire a noi “poveri mortali”, privi del genio di queste creature superiori, almeno la consolazione di non averne i tratti negativi.

I neonatologi spiegano che può facilmente accadere ad un profano o ad un medico inesperto di ritenere patologico un aspetto morfologico, magari poco gradevole, ma transitorio e dovuto ad un grado di maturazione lievemente inferiore alla media. D’altra parte non abbiamo fotografie del genio alla nascita, e la prima che ci è pervenuta ritrae uno scolaretto nell’abbigliamento tipico della scuola elementare del tempo, con un candido colletto inamidato che sormonta un grosso fiocco annodato a farfalla: si tratta di un bel bambino il cui viso paffuto ha un’espressione dolce e un po’ timida.

Tuttavia, anche se non potremo mai giudicare se da neonato Albert fosse solo bruttino o qualcosa di più, altri elementi interessanti sono documentati per gli anni successivi.

Sembra che non sia stato in grado di articolare parole fino all’età di tre anni e che, pur quando ebbe acquisito l’abilità di esecuzione fonoarticolatoria, continuasse ad avere difficoltà di pronuncia e stentasse ad esprimere il proprio pensiero. Probabilmente per questo motivo fu considerato zurückgeblieben, ossia ritardato. Eppure, già all’età della scuola pare che il divario con i coetanei, dovuto al suo ritardo, fosse colmato, visto che riportava spesso buone votazioni, contrariamente a quanto diffuso da fantasiose e poco documentate narrazioni biografiche.

Il piccolo Albert non spendeva molto tempo con i suoi coetanei, i quali lo avevano soprannominato “il noioso” perché rifuggiva il chiasso ed il disordine tipico dei giochi di gruppo di ragazzini vispi ed irrequieti. I bambini suoi vicini di casa duravano fatica a convincerlo a giocare con loro, e lui, quando raramente accettava, si proponeva come arbitro nei giochi di competizione. Amava costruire complicati castelli di carte e trascorrere ore a pensare, riflettere ed intrattenersi con gli zii che lo affascinavano con le loro spiegazioni sull’elettricità, alla base delle attività economiche di tutta la famiglia.

 

 

Ho premesso queste brevi note sull’infanzia di Einstein all’esposizione relativa allo studio anatomico ed istologico del suo cervello, perché l’interpretazione dei dati morfologici alla luce delle attuali conoscenze di neurobiologia mi ha consentito di formulare una tesi interpretativa di queste peculiarità biografiche che vi proporrò al termine di questa scheda introduttiva.

 

Quando si decise di studiare il cervello di Einstein, la pratica di conservare a scopo di studio i cervelli di personalità ritenute superiori alla media era invalsa in tutto il mondo e, anche se la comunità scientifica esprimeva un chiaro scetticismo circa la sua utilità conoscitiva, finiva per tollerarla. Di fatto la giustificazione teorica alla conservazione dei cervelli che aveva consentito durante il secolo precedente, soprattutto in Francia, di creare grandi collezioni di encefali umani, era venuta meno. Si era creduto che la forma e le dimensioni encefaliche fossero una chiave di volta per comprendere la psiche umana. Le teorie ingenue della localizzazione delle funzioni psichiche e della dipendenza dell’intelligenza dal numero delle circonvoluzioni, come dalle dimensioni complessive del cervello, non convincevano più gli studiosi.

Si era fatta strada, come giustificazione, un’ipotesi poco fondata e, tuttavia, suggestiva: visto che ora conosciamo la costanza morfologica di molte formazioni come la corteccia, i nuclei della base, le capsule, le masse grigie del diencefalo, il sistema ventricolare, il cervelletto, ecc., qualora rilevassimo differenze di queste strutture nel cervello di una persona più dotata della media, potremmo attribuire alla particolarità rilevata l’origine delle sue qualità superiori.

Un ragionamento che cancellava tutto il progresso compiuto dalle scienze biomediche nell’ultimo secolo.

I principali motivi che spingevano a conservare i cervelli dei cosiddetti “uomini illustri” erano, in realtà, legati al loro valore simbolico: la parte più importante del corpo di quella persona continuava ad esistere sfuggendo alla decomposizione della morte. Talvolta la valenza politica costituiva il motivo prevalente, anche se veniva ammantata e nascosta dai migliori propositi scientifici. Forse il caso più celebre si era verificato in Russia.

Nel 1924 Vladimir Ilyich Lenin, dopo numerosi episodi di ictus cerebrale, morì: la leadership sovietica, contro la volontà della moglie, gli fece asportare il cervello ed imbalsamare il corpo. Nel 1926 Stalin fece costruire nel bel mezzo della capitale dell’URSS, a poca distanza dal fiume Yauza, l’Istituto del Cervello di Mosca con lo scopo dichiarato di analizzare le componenti del genio di Lenin.

Alla morte di Albert Einstein, avvenuta nel 1955 al Princeton Hospital, fu disposta l’esecuzione  dell’autopsia; nel corso dell’esame un patologo di nome Thomas Stoltz Harvey asportò il cervello per effettuarne lo studio morfologico. In seguito, costui si appropriò dell’organo custodendolo in casa propria e gestendone il possesso a propria discrezione nel corso degli anni, fino a tempi recentissimi. Tuttavia fu lui a condurre la prima osservazione e a coordinare i primi studi, per cui, tralasciando i problemi etici e deontologici che saranno oggetto di una specifica relazione, prenderemo le mosse proprio dai suoi risultati.

 

 

DATI ANATOMICI ED ISTOLOGICI. Harvey effettuò immediatamente vari rilievi morfologici provvedendo a fotografare l’encefalo da varie angolazioni per avere una collezione di immagini esaustiva per le caratteristiche di superficie di tutto l’encefalo.

Naturalmente si tratta di fotografie in bianco e nero. La resa è migliore da un punto di vista “artistico” che scientifico, perché se le foto sono di grande effetto per il profano, tanto che Paterniti usa l’espressione “satellite sconosciuto di Giove” paragonando il risultato alla fotografia astronomica, non è così per l’esperto. Infatti, una maggiore risoluzione di contrasto, ossia una gamma di grigi più estesa fra il massimo scuro e il massimo chiaro, avrebbe più fedelmente reso le caratteristiche delle depressioni e del rilievo, consentendo un migliore apprezzamento dei dettagli.

Harvey misurò i diametri lobari riscontrando che non si discostavano dai valori medi. Ricordiamo che la lunghezza o diametro antero-posteriore nel maschio adulto è 17 centimetri, 16 nella femmina; il diametro trasverso 14 cm nel maschio, 13,5 nella femmina; il diametro verticale 13 nel maschio, 12,5 nella femmina.

Le stime dimensionali riportate nei testi dell’epoca erano ottenute mediante l’impiego di uno strumento detto compasso di spessore, e risultano ancora oggi valide perché calcolate come media su grandi numeri. Oggi, peraltro, sarebbe estremamente difficile per motivi etici e medico-legali, disporre della quantità di cervelli esaminati in questi studi classici.

Dopo fotografie e misure, Harvey pesò il cervello di Einstein: 2,7 pounds. Una stima che gli sembrò incredibilmente bassa. Per comprendere la sua sorpresa, esaminiamo le nozioni anatomiche al riguardo.

 

Peso. E’ noto che il cervello umano è, in assoluto, fra i più voluminosi e pesanti di tutta la serie animale ed è al primo posto nel valore del rapporto fra dimensioni corporee e peso cerebrale, ossia nel coefficiente di cefalizzazione. Per avere un’idea basti pensare che una testuggine di 156 chilogrammi può avere un encefalo di 5,3 grammi (Antony in Anatomia Umana di Testut e Latarjet, vol III, p. 324).

Il peso cerebrale dipende soprattutto da due fattori: il peso corporeo e la complessità strutturale del suo tessuto nervoso, ma i dati forniti dai vari studiosi in molti casi non sono confrontabili perché non sempre è stato impiegato lo stesso metodo di ricerca: si riscontrano variazioni sensibili se l’encefalo è stato pesato con o senza le meningi, se è stato fatto drenare più o meno sangue dai vasi necessariamente tagliati o liquido cefalo-rachidiano dai ventricoli, ecc.

Per il peso del cervello è importante il modo in cui è stato separato dal resto dell’encefalo: talvolta, ad esempio, è inclusa una parte di dimensioni variabili del mesencefalo. Se il cervello, ossia l’insieme costituito da diencefalo e telencefalo, viene separato con precisione dalle altre parti, costituisce l’87% del peso dell’intera massa encefalica resecata al bulbo.

Un ultimo dato, che è importante non trascurare, è quello relativo alla riduzione ponderale che segue quella volumetrica nella senescenza: il cervello del giovane adulto ha un peso notevolmente maggiore di quello dell’anziano.

Harvey conosceva i dati dei maggiori studi classici che proponevano il peso medio in grammi.

Sappey forniva questa stima:

uomo 1182  -  donna 1093

Broca non si discostava molto:

uomo 1190  -  donna 1045

 

Chiarugi, Castaldi e Barbensi studiando l’encefalo di 1091 italiani adulti riportavano:

 

                                            peso medio encefalo maschile 1320,89

                                            peso medio encefalo femminile 1167,73

                                            peso medio cervello maschile 1153,49

                                            peso medio cervello femminile 1016,50.

 

Nel più recente ed autorevole lavoro condotto per la realizzazione del prestigioso “Atlas of Human Brain” il peso medio del cervello (brain weight), non dell’encefalo, è stimato 1383 grammi per un volume di 1316 cm3. Considerato il tipo di casistica, è lecito supporre che la personale esperienza di Harvey e dei suoi professori Harry Zimmerman, a Yale, e Fritz Lewy, all’Università della Pennsylvania, non si discostasse molto.

Un pound corrisponde a Kg 0,373, quindi il cervello di Albert Einstein pesava 1007,1. Si comprende la meraviglia dell’anatomo-patologo.

 

Dopo queste operazioni preliminari, Thomas Harvey non poteva attardarsi in considerazioni e valutazioni di alcun genere, perché in brevissimo tempo doveva prendere delle importanti decisioni, le cui conseguenze sarebbero state definitive.

 

Procedure. Lo studio anatomico ed istologico di un cervello è tutt’altro che facile. Le difficoltà sono numerose e non sempre superabili. Uno dei problemi è dato dalla mancanza di compattezza della massa liberata dagli involucri naturali, un altro è dato dalla rapida alterazione che interviene se non si procede tempestivamente alla fissazione.

Attualmente si provvede all’infusione in vena radiale di una soluzione fisiologica e poi del fissativo contenete incidina, glicerolo e formalina al 10% (Mai, Assahuer e Paxinos, Atlas of Human Brain, p. 1, Elsevier Academic Press, 2004). La testa si rimuove dal cadavere già perfuso con la soluzione in grado di arrestare i processi di trasformazione, e la si colloca in uno speciale contenitore anatomico le cui coordinate consentono un perfetto allineamento dei punti di repere con i piani di sezione prescelti.

Nonostante tutte queste precauzioni, nel lavoro per la realizzazione dell’Atlas of Human Brain, dalle diciassette teste iniziali si è giunti, per eliminazione, a tre soli cervelli utili come modello esemplare perché non danneggiati in alcun modo dalle procedure di fissazione e taglio.

Tutto ciò contribuisce a darci una sia pur vaga idea delle difficoltà incontrate per lo studio del cervello di Einstein.

 

Dopo aver fissato il cervello mediante una soluzione di paraformaldeide ed averlo perfuso con saccarosio, secondo il procedimento standardizzato a quel tempo, Harvey decise rapidamente lo schema di dissezione che avrebbe seguito per contemperare le esigenze di un accurato studio macroscopico con quelle che avrebbero consentito l’ottenimento di campioni significativi per l’esame microscopico.

Si deve tener conto anche di ciò che distingueva questo studio, ad esempio, dalle autopsie eseguite per l’accertamento delle cause di morte o per studiare una specifica area cerebrale. Nel primo caso c’è il vantaggio di seguire rigidi protocolli e prassi consolidate mirate all’esecuzione di tests routinari. Nel secondo si possono privilegiare le parti oggetto della ricerca, non preoccupandosi troppo delle altre, all’occorrenza sacrificandole per non danneggiare le strutture da studiare.

In questo caso, invece, si dovevano operare varie scelte metodologiche e, naturalmente, nello studio del cervello di Einstein tutto era importante e nessuna parte si poteva preventivamente escludere o mettere in conto che avrebbe subito danni durante la realizzazione dei preparati. 

Thomas Harvey decide di scomporre l’organo in 240 parti, alcune delle quali furono lasciate in soluzione di formaldeide, mentre le altre costituirono una serie ordinata di sezioni, condotte secondo i piani di taglio tradizionalmente considerati più adatti per lo studio della mielo- e cito- architettonica, ed incluse in paraffina.

La scelta di Harvey non deve meravigliare e, anche se il profano può essere colpito da un numero che gli appare elevato, come 240, è bene sottolineare che il suo orientamento può essere considerato abbastanza “conservativo”.

Il cervello di Lenin, ad esempio, anche se era stato tenuto pressoché intatto in soluzione di formaldeide per circa due anni, quando se ne decise lo studio fu tagliato al microtomo in 31.000 sezioni sottili da cui si ricavò un grandissimo numero di vetrini, che furono poi custoditi in una sorta di cassaforte nella Stanza 19 dell’Istituto del Cervello di Mosca, dove sono tuttora.    

La preparazione dei vetrini per l’osservazione mediante microscopia ottica aveva la massima importanza e doveva essere eseguita da qualcuno che fosse specializzato in quelle procedure: si tratta forse dell’ultima vera abilità artigianale rimasta ancora oggi nella scienza ed ormai in via di estinzione.

 

 Preparati istologici. Harvey si rivolse ad una collaboratrice di grande abilità, esperienza e competenza, che lavorava all’Università con la qualifica di tecnico di laboratorio: Marta Keller. La sua realizzazione dei preparati istologici del cervello di Einstein ancora oggi è considerata esemplare e, sebbene la Keller sia una distinta ma fragile vecchietta di 97 anni che ricorda poco di quei giorni di cinquant’anni fa, per decenni è potuta andar fiera dell’ottimo lavoro compiuto.

Per l’esame al microscopio ottico, dopo la fissazione che ha lo scopo fondamentale di rendere insolubili i componenti strutturali della cellula, è necessario infiltrare i tessuti con celloidina, gelatina, paraffina od altro materiale simile che, solidificando, è in grado di imprigionare il tessuto come accade in natura con l’ambra. Questo procedimento, che richiede la preventiva disidratazione con solventi organici in grado di allontanare i lipidi, prende il nome di inclusione (embedding) ed ha importanza fondamentale perché consente di sezionare il tessuto insieme con la matrice che lo include.

Il taglio microscopico si effettua con un apparecchio detto microtomo, che esiste in numerose varianti, ed è munito di una lama circolare che taglia per rotazione, come l’affettatrice per salumi.

L’inclusione in celloidina, che viene eseguita a temperatura ambiente, distorce meno i rapporti intercellulari ed induce una minore coartazione della paraffina che, per infiltrare il tessuto, richiede una temperatura di 60°C, in grado di mantenerla allo stato fuso.

Marta Keller scelse l’inclusione in paraffina, non tanto perché è più rapida, quanto perché consente di effettuare sezioni notevolmente più sottili della celloidina.

La sua fu un’ottima scelta, perché la complicatissima morfologia del tessuto nervoso richiede sezioni il più possibile sottili per evitare inestricabili sovrapposizioni e perché il citoscheletro dei neuroni li protegge dalla deformazione.  

Impiegando con destrezza il microtomo, la Keller realizzò sottilissime sezioni di tessuto paraffinato di spessore cellulare, 3-4 microns, visibili grazie all’inclusione in paraffina che consente di apprezzarle come laminette semitrasparenti cerose.

La serie di passi che segue è molto delicata, potendo ingenerare la formazione di artefatti o determinare una disuguale, eccessiva o insufficiente presa del composto che produce le differenze cromatiche necessarie per la discriminazione morfologica.

 Marta Keller regolò con sapiente cura i tempi di ogni fase immergendo i vetrini nel colorante (cresyl o tolyl, derivato dal toluene) giusto il tempo necessario per la reazione, così che, eseguita la lavatura del colorante in eccesso, ottenne dei preparati la cui gradazione di tinta rossastra li dichiarava perfetti all’occhio dell’esperto. […]

 

[Il testo completo é disponibile per i soci e sarà inviato ai partecipanti al seminario]

 

BM&L- Novembre-Dicembre 2004

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[1] Una bibliografia completa è stata fornita ai partecipanti al seminario.