BRAIN MIND & LIFE E ALBERT EINSTEIN NELL’ANNO MONDIALE DELLA
FISICA
SEMINARIO DI STUDI
INTRODUZIONE. Alla nascita,
avvenuta ad Ulm in Germania nel 1879, Albert Einstein appariva quanto meno
dismorfico e, secondo le testimonianze dell’epoca, sua nonna lo ritenne
malformato per il suo cranio decisamente asimmetrico e la stessa madre -secondo
Michael Paterniti[1]- provò
orrore nel vederlo e temette di aver partorito una creatura mostruosa.
In numerose biografie
romanzate si leggono storie ed interpretazioni al riguardo che risentono della
cultura degli autori, profondamente influenzata dai miti popolari che
rappresentano come “mostri” le persone straordinarie e vogliono che queste
siano diverse tanto nel bene quanto nel male dalle persone comuni, così da
offrire a noi “poveri mortali”, privi del genio di queste creature superiori,
almeno la consolazione di non averne i tratti negativi.
I neonatologi spiegano che può facilmente accadere ad un
profano o ad un medico inesperto di ritenere patologico un aspetto morfologico,
magari poco gradevole, ma transitorio e dovuto ad un grado di maturazione
lievemente inferiore alla media. D’altra parte non abbiamo fotografie del genio
alla nascita, e la prima che ci è pervenuta ritrae uno scolaretto
nell’abbigliamento tipico della scuola elementare del tempo, con un candido
colletto inamidato che sormonta un grosso fiocco annodato a farfalla: si tratta
di un bel bambino il cui viso paffuto ha un’espressione dolce e un po’ timida.
Tuttavia, anche se non potremo mai giudicare se da neonato
Albert fosse solo bruttino o qualcosa di più, altri elementi interessanti sono
documentati per gli anni successivi.
Sembra che non sia stato in grado di articolare parole fino
all’età di tre anni e che, pur quando ebbe acquisito l’abilità di esecuzione
fonoarticolatoria, continuasse ad avere difficoltà di pronuncia e stentasse ad
esprimere il proprio pensiero. Probabilmente per questo motivo fu considerato zurückgeblieben,
ossia ritardato. Eppure, già all’età della scuola pare che il divario
con i coetanei, dovuto al suo ritardo, fosse colmato, visto che riportava
spesso buone votazioni, contrariamente a quanto diffuso da fantasiose e poco
documentate narrazioni biografiche.
Il piccolo Albert non spendeva molto tempo con i suoi
coetanei, i quali lo avevano soprannominato “il noioso” perché rifuggiva il
chiasso ed il disordine tipico dei giochi di gruppo di ragazzini vispi ed
irrequieti. I bambini suoi vicini di casa duravano fatica a convincerlo a
giocare con loro, e lui, quando raramente accettava, si proponeva come arbitro
nei giochi di competizione. Amava costruire complicati castelli di carte e
trascorrere ore a pensare, riflettere ed intrattenersi con gli zii che lo
affascinavano con le loro spiegazioni sull’elettricità, alla base delle
attività economiche di tutta la famiglia.
Ho premesso queste brevi note sull’infanzia di Einstein
all’esposizione relativa allo studio anatomico ed istologico del suo cervello,
perché l’interpretazione dei dati morfologici alla luce delle attuali
conoscenze di neurobiologia mi ha consentito di formulare una tesi
interpretativa di queste peculiarità biografiche che vi proporrò al termine di
questa scheda introduttiva.
Quando si decise di studiare il cervello di Einstein, la
pratica di conservare a scopo di studio i cervelli di personalità ritenute
superiori alla media era invalsa in tutto il mondo e, anche se la comunità
scientifica esprimeva un chiaro scetticismo circa la sua utilità conoscitiva,
finiva per tollerarla. Di fatto la giustificazione teorica alla conservazione
dei cervelli che aveva consentito durante il secolo precedente, soprattutto in
Francia, di creare grandi collezioni di encefali umani, era venuta meno. Si era
creduto che la forma e le dimensioni encefaliche fossero una chiave di volta
per comprendere la psiche umana. Le teorie ingenue della localizzazione delle
funzioni psichiche e della dipendenza dell’intelligenza dal numero delle
circonvoluzioni, come dalle dimensioni complessive del cervello, non
convincevano più gli studiosi.
Si era fatta strada, come giustificazione, un’ipotesi poco
fondata e, tuttavia, suggestiva: visto che ora conosciamo la costanza
morfologica di molte formazioni come la corteccia, i nuclei della base, le
capsule, le masse grigie del diencefalo, il sistema ventricolare, il
cervelletto, ecc., qualora rilevassimo differenze di queste strutture nel
cervello di una persona più dotata della media, potremmo attribuire alla particolarità
rilevata l’origine delle sue qualità superiori.
Un ragionamento che cancellava tutto il progresso compiuto
dalle scienze biomediche nell’ultimo secolo.
I principali motivi che spingevano a conservare i cervelli
dei cosiddetti “uomini illustri” erano, in realtà, legati al loro valore
simbolico: la parte più importante del corpo di quella persona continuava ad
esistere sfuggendo alla decomposizione della morte. Talvolta la valenza
politica costituiva il motivo prevalente, anche se veniva ammantata e nascosta
dai migliori propositi scientifici. Forse il caso più celebre si era verificato
in Russia.
Nel 1924 Vladimir Ilyich Lenin, dopo numerosi episodi di
ictus cerebrale, morì: la leadership sovietica, contro la volontà della moglie,
gli fece asportare il cervello ed imbalsamare il corpo. Nel 1926 Stalin fece
costruire nel bel mezzo della capitale dell’URSS, a poca distanza dal fiume
Yauza, l’Istituto del Cervello di Mosca con lo scopo dichiarato di analizzare
le componenti del genio di Lenin.
Alla morte di Albert Einstein, avvenuta nel 1955 al
Princeton Hospital, fu disposta l’esecuzione dell’autopsia; nel corso dell’esame un patologo di nome Thomas Stoltz
Harvey asportò il cervello per effettuarne lo studio morfologico. In seguito,
costui si appropriò dell’organo custodendolo in casa propria e gestendone il
possesso a propria discrezione nel corso degli anni, fino a tempi recentissimi.
Tuttavia fu lui a condurre la prima osservazione e a coordinare i primi studi,
per cui, tralasciando i problemi etici e deontologici che saranno oggetto di
una specifica relazione, prenderemo le mosse proprio dai suoi risultati.
DATI ANATOMICI ED ISTOLOGICI. Harvey effettuò immediatamente vari rilievi morfologici
provvedendo a fotografare l’encefalo da varie angolazioni per avere una
collezione di immagini esaustiva per le caratteristiche di superficie di tutto
l’encefalo.
Naturalmente si tratta di fotografie in bianco e nero. La
resa è migliore da un punto di vista “artistico” che scientifico, perché se le
foto sono di grande effetto per il profano, tanto che Paterniti usa
l’espressione “satellite sconosciuto di Giove” paragonando il risultato alla
fotografia astronomica, non è così per l’esperto. Infatti, una maggiore
risoluzione di contrasto, ossia una gamma di grigi più estesa fra il massimo
scuro e il massimo chiaro, avrebbe più fedelmente reso le caratteristiche delle
depressioni e del rilievo, consentendo un migliore apprezzamento dei dettagli.
Harvey misurò i diametri lobari riscontrando che non si
discostavano dai valori medi. Ricordiamo che la lunghezza o diametro
antero-posteriore nel maschio adulto è 17 centimetri, 16 nella femmina; il
diametro trasverso 14 cm nel maschio, 13,5 nella femmina; il diametro verticale
13 nel maschio, 12,5 nella femmina.
Le stime dimensionali riportate nei testi dell’epoca erano
ottenute mediante l’impiego di uno strumento detto compasso di spessore, e
risultano ancora oggi valide perché calcolate come media su grandi numeri.
Oggi, peraltro, sarebbe estremamente difficile per motivi etici e
medico-legali, disporre della quantità di cervelli esaminati in questi studi
classici.
Dopo fotografie e misure, Harvey pesò il cervello di
Einstein: 2,7 pounds. Una stima che gli sembrò incredibilmente bassa. Per
comprendere la sua sorpresa, esaminiamo le nozioni anatomiche al riguardo.
Peso. E’ noto che il
cervello umano è, in assoluto, fra i più voluminosi e pesanti di tutta la serie
animale ed è al primo posto nel valore del rapporto fra dimensioni corporee e
peso cerebrale, ossia nel coefficiente di
cefalizzazione. Per avere un’idea basti pensare
che una testuggine di 156 chilogrammi può avere un encefalo di 5,3 grammi
(Antony in Anatomia Umana di Testut e Latarjet, vol III, p. 324).
Il peso cerebrale dipende soprattutto da due fattori: il
peso corporeo e la complessità strutturale del suo tessuto nervoso, ma i dati
forniti dai vari studiosi in molti casi non sono confrontabili perché non
sempre è stato impiegato lo stesso metodo di ricerca: si riscontrano variazioni
sensibili se l’encefalo è stato pesato con o senza le meningi, se è stato fatto drenare
più o meno sangue dai vasi necessariamente tagliati o liquido cefalo-rachidiano
dai ventricoli, ecc.
Per il peso del cervello è importante il modo in cui è stato separato dal resto
dell’encefalo: talvolta, ad esempio, è inclusa una parte di dimensioni
variabili del mesencefalo. Se il cervello, ossia l’insieme costituito da
diencefalo e telencefalo, viene separato con precisione dalle altre parti,
costituisce l’87% del peso dell’intera massa encefalica resecata al bulbo.
Un ultimo dato, che è importante non trascurare, è quello
relativo alla riduzione ponderale che segue quella volumetrica nella
senescenza: il cervello del giovane adulto ha un peso notevolmente maggiore di
quello dell’anziano.
Harvey conosceva i dati dei maggiori studi classici che proponevano
il peso medio in grammi.
Sappey forniva questa stima:
uomo 1182 - donna 1093
Broca non si discostava molto:
uomo 1190 - donna 1045
Chiarugi, Castaldi e Barbensi studiando l’encefalo di 1091
italiani adulti riportavano:
peso medio encefalo maschile 1320,89
peso medio encefalo
femminile 1167,73
peso medio cervello
maschile 1153,49
peso medio cervello
femminile 1016,50.
Nel più recente ed autorevole lavoro condotto per la
realizzazione del prestigioso “Atlas of Human Brain” il peso medio del cervello
(brain weight), non dell’encefalo, è stimato 1383 grammi per un volume di 1316
cm3. Considerato il tipo di casistica, è lecito supporre che la
personale esperienza di Harvey e dei suoi professori Harry Zimmerman, a Yale, e
Fritz Lewy, all’Università della Pennsylvania, non si discostasse molto.
Un pound corrisponde a Kg 0,373, quindi il cervello di
Albert Einstein pesava 1007,1. Si comprende la meraviglia
dell’anatomo-patologo.
Dopo queste operazioni preliminari, Thomas Harvey non poteva
attardarsi in considerazioni e valutazioni di alcun genere, perché in
brevissimo tempo doveva prendere delle importanti decisioni, le cui conseguenze
sarebbero state definitive.
Procedure. Lo studio anatomico ed istologico di un cervello è tutt’altro che facile. Le difficoltà sono numerose e non sempre superabili. Uno dei problemi è dato dalla mancanza di compattezza della massa liberata dagli involucri naturali, un altro è dato dalla rapida alterazione che interviene se non si procede tempestivamente alla fissazione.
Attualmente si provvede all’infusione in vena radiale di una
soluzione fisiologica e poi del fissativo contenete incidina, glicerolo e
formalina al 10% (Mai, Assahuer e Paxinos, Atlas of Human Brain, p. 1, Elsevier
Academic Press, 2004). La testa si rimuove dal cadavere già perfuso con la
soluzione in grado di arrestare i processi di trasformazione, e la si colloca
in uno speciale contenitore anatomico le cui coordinate consentono un perfetto
allineamento dei punti di repere con i piani di sezione prescelti.
Nonostante tutte queste precauzioni, nel lavoro per la
realizzazione dell’Atlas of Human Brain, dalle diciassette teste iniziali si è
giunti, per eliminazione, a tre soli cervelli utili come modello esemplare
perché non danneggiati in alcun modo dalle procedure di fissazione e taglio.
Tutto ciò contribuisce a darci una sia pur vaga idea delle
difficoltà incontrate per lo studio del cervello di Einstein.
Dopo aver fissato il cervello mediante una soluzione di
paraformaldeide ed averlo perfuso con saccarosio, secondo il procedimento
standardizzato a quel tempo, Harvey decise rapidamente lo schema di dissezione
che avrebbe seguito per contemperare le esigenze di un accurato studio
macroscopico con quelle che avrebbero consentito l’ottenimento di campioni
significativi per l’esame microscopico.
Si deve tener conto anche di ciò che distingueva questo studio,
ad esempio, dalle autopsie eseguite per l’accertamento delle cause di morte o
per studiare una specifica area cerebrale. Nel primo caso c’è il vantaggio di
seguire rigidi protocolli e prassi consolidate mirate all’esecuzione di tests
routinari. Nel secondo si possono privilegiare le parti oggetto della ricerca,
non preoccupandosi troppo delle altre, all’occorrenza sacrificandole per non
danneggiare le strutture da studiare.
In questo caso, invece, si dovevano operare varie scelte
metodologiche e, naturalmente, nello studio del cervello di Einstein tutto era
importante e nessuna parte si poteva preventivamente escludere o mettere in
conto che avrebbe subito danni durante la realizzazione dei preparati.
Thomas Harvey decide di scomporre l’organo in 240 parti,
alcune delle quali furono lasciate in soluzione di formaldeide, mentre le altre
costituirono una serie ordinata di sezioni, condotte secondo i piani di taglio
tradizionalmente considerati più adatti per lo studio della mielo- e cito-
architettonica, ed incluse in paraffina.
La scelta di Harvey non deve meravigliare e, anche se il
profano può essere colpito da un numero che gli appare elevato, come 240, è
bene sottolineare che il suo orientamento può essere considerato abbastanza
“conservativo”.
Il cervello di Lenin, ad esempio, anche se era stato tenuto
pressoché intatto in soluzione di formaldeide per circa due anni, quando se ne
decise lo studio fu tagliato al microtomo in 31.000 sezioni sottili da cui si
ricavò un grandissimo numero di vetrini, che furono poi custoditi in una sorta
di cassaforte nella Stanza 19 dell’Istituto del Cervello di Mosca, dove sono
tuttora.
Per l’esame al microscopio ottico, dopo la fissazione che ha lo scopo fondamentale di rendere insolubili i componenti strutturali della cellula, è necessario infiltrare i tessuti con celloidina, gelatina, paraffina od altro materiale simile che, solidificando, è in grado di imprigionare il tessuto come accade in natura con l’ambra. Questo procedimento, che richiede la preventiva disidratazione con solventi organici in grado di allontanare i lipidi, prende il nome di inclusione (embedding) ed ha importanza fondamentale perché consente di sezionare il tessuto insieme con la matrice che lo include.
Il taglio microscopico si effettua con un apparecchio detto microtomo, che esiste in numerose varianti, ed è munito di una lama circolare che taglia per rotazione, come l’affettatrice per salumi.
L’inclusione in celloidina, che viene eseguita a temperatura ambiente, distorce meno i rapporti intercellulari ed induce una minore coartazione della paraffina che, per infiltrare il tessuto, richiede una temperatura di 60°C, in grado di mantenerla allo stato fuso.
Marta Keller scelse l’inclusione in paraffina, non tanto perché è più rapida, quanto perché consente di effettuare sezioni notevolmente più sottili della celloidina.
La sua fu un’ottima scelta, perché la complicatissima morfologia del tessuto nervoso richiede sezioni il più possibile sottili per evitare inestricabili sovrapposizioni e perché il citoscheletro dei neuroni li protegge dalla deformazione.
Impiegando con destrezza il microtomo, la Keller realizzò
sottilissime sezioni di tessuto paraffinato di spessore cellulare, 3-4 microns,
visibili grazie all’inclusione in paraffina che consente di apprezzarle come
laminette semitrasparenti cerose.
La serie di passi che segue è molto delicata, potendo
ingenerare la formazione di artefatti o determinare una disuguale, eccessiva o
insufficiente presa del composto che produce le differenze cromatiche
necessarie per la discriminazione morfologica.
Marta Keller regolò
con sapiente cura i tempi di ogni fase immergendo i vetrini nel colorante
(cresyl o tolyl, derivato dal toluene) giusto il tempo necessario per la
reazione, così che, eseguita la lavatura del colorante in eccesso, ottenne dei
preparati la cui gradazione di tinta rossastra li dichiarava perfetti all’occhio
dell’esperto. […]
[Il testo completo é disponibile per i soci e sarà inviato
ai partecipanti al seminario]
BM&L-
Novembre-Dicembre 2004