INIBIZIONE EFFICACE DELLA BETA-SECRETASI NELL’ALZHEIMER

 

 

Il peptide β-amiloide ha un ruolo fondamentale nei processi neurotossici e degenerativi che caratterizzano la patogenesi della malattia di Alzheimer, come da tempo ha dimostrato lo studio della sua forma solubile e di quella aggregata che costituisce le placche, uno dei due contrassegni istopatologici della malattia. Per questo, la maggior parte degli sforzi volti a trovare una terapia efficace è stata diretta a ridurre la produzione di β-amiloide dal suo precursore (APP) o ad aumentare la sua degradazione. Nel cervello, la produzione del peptide tossico (di 42-43 aa) dall’APP avviene principalmente per l’intervento di due enzimi: la β-secretasi e la γ-secretasi, che sono bersaglio di molecole inibitrici sperimentate a scopo terapeutico. Il bilancio non molto positivo di questa sperimentazione, soprattutto per ciò che concerne gli inibitori della β-secretasi, ha ragioni in gran parte già individuate (Note Notizie 10-06-06 Alzheimer, lo stato dell’arte in un incontro di BM&L), ma probabilmente un aspetto non era stato sufficientemente considerato fino ad oggi.

La β-secretasi è nota fin dal 1999, quando fu individuata e caratterizzata da cinque gruppi di ricerca indipendenti, ed è classificata come membro della famiglia delle aspartil-proteasi, enzimi che impiegano per la propria azione due residui di acido aspartico ed acqua.

Molti degli inibitori della β-secretasi sperimentati agiscono impedendo il legame dell’APP al sito attivo dell’enzima, e su questa base sono state valutate le differenze nella loro efficacia. Si è trascurato il fatto che la principale localizzazione dell’attività enzimatica è negli endosomi, cosa che potrebbe spiegare gli scarsi risultati ottenuti con alcuni inibitori nei saggi cellulari.

Rajendran e collaboratori del Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics di Dresda, hanno accoppiato una struttura molecolare sterolica all’estremità carbossi-terminale di un inibitore della β-secretasi, per ancorare il composto alle membrane cellulari e renderlo competente per l’internalizzazione endosomica (Rajendran L., et al. Efficient inhibition of the Alzheimer’s disease β-secretase by membrane targeting. Science 320, 520-523, 2008).

In cellule in coltura, questo inibitore ancorato alla membrana era fino a 5 volte più efficace dell’inibitore libero nell’impedire la scissione del frammento dell’APP.

Il vaglio sperimentale delle condizioni necessarie per lo sviluppo di questo effetto, ha rivelato una particolarità interessante: l’accresciuta attività non si osservava quando il gruppo sterolico era legato all’estremo amino-terminale dell’inibitore, suggerendo che il blocco efficace della β-secretasi sia “orientamento-specifico”.

Gli esperimenti, mediante marcatura fluorescente, hanno dimostrato che l’inibitore legato allo sterolo era endocitato ed accumulato negli endosomi. Concentrazioni molto basse, quali 0,1 μM, erano sufficienti a bloccare il β-clivaggio dell’APP e causavano un aumento dell’α-clivaggio, che preclude la formazione di peptidi β-amiloidi tossici. Tale risultato indica che l’inibitore ancorato alla membrana blocca specificamente la β-secretasi e non preclude l’azione dell’α-secretasi sull’APP.

Studi precedenti hanno dimostrato che i domini di membrana ricchi di colesterolo e sfingolipidi, conosciuti come lipid rafts, sono siti importanti per la produzione di peptidi β-amiloidi tossici dall’APP. Perciò, a scopo terapeutico, accoppiare un inibitore della β-secretasi ad un’ancora sterolica, potrebbe presentare il vantaggio supplementare di indirizzare il farmaco ad azione inibitoria specificamente alle sedi di maggiore produzione delle molecole tossiche. Infatti, quando l’inibitore della β-secretasi era accoppiato ad ancoraggi di membrana che avevano una minore affinità per i lipidi dei microdomini “rafts”, quali ancore oleil- o miristil- derivate, la sua attività era notevolmente ridotta.

I ricercatori hanno poi studiato l’efficacia dell’inibitore associato a steroli in modelli sperimentali di patologia alzheimeriana del moscerino e del topo.

Nel moscerino, l’inibitore della β-secretasi associato a steroli riduceva la tossicità da β-amiloide ed accresceva la sopravvivenza.

Nel topo l’inibitore legato si è rivelato in grado di ridurre la produzione di β-amiloide in misura rilevante.

Dagli esiti di questo studio, si deduce l’importanza di ancorare l’inibitore della β-secretasi all’appropriato compartimento cellulare per ottenere efficacia terapeutica.

Il peso di questi risultati sullo sviluppo di farmaci per il trattamento della malattia di Alzheimer si potrà valutare con il prosieguo della sperimentazione, ma, come osservano Rajendran e colleghi, l’ancoraggio potrebbe costituire una strategia terapeutica più generale, per raggiungere proteine localizzate in particolari domini di membrana o in compartimenti intracellulari.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza, e invita a scorrere l’elenco delle “Note e Notizie” e a consultare le altre sezioni del sito per i numerosi scritti di argomento connesso.

 

Nicole Cardon

BM&L-Maggio 2008

www.brainmindlife.org