BAMBINI A RISCHIO… DI
ANTIDEPRESSIVI
I nostri colleghi
di BM&L-International propongono l’interessante dibattito che si è aperto
nel mondo anglosassone sull’impiego dei nuovi antidepressivi in età pediatrica
(Helping depressed
children. Nature 431, 111, Sept 2004). La tesi, da noi condivisa, che questi farmaci
possano essere un rimedio peggiore del male nelle sindromi depressive
dell’infanzia, assume nella nostra riflessione un posto nella più generale
critica alle attuali terapie farmacologiche degli stati depressivi.
La nostra
posizione trae origine da uno studio profondo, fondato sia sulle attuali
conoscenze neurobiologiche, sia sulla critica all’imperante cultura
farmacologica nella cura di condizioni, spesso conseguenza di esperienze
vissute, caratterizzate da modificazioni dello stato d’animo, del tono
dell’umore e dell’equilibrio fisiologico complessivo.
Se è vero che l’FDA dovrebbe promuovere un’estensiva informazione e la costituzione di data-base pubblici che consentano l’accesso alla verità sperimentale, spesso non coincidente con l’informazione
diffusa, finanziata e gestita dalla case farmaceutiche, così che si possa
contrastare la propaganda guidata da interessi economici, è ancor più giusto
che si cerchi di promuovere nei medici una più seria e radicata cultura
scientifica.
La conoscenza
della complessità funzionale del cervello, di per sé costituisce una pietra di
paragone ed un atto di accusa alla rozzezza iper-semplificativa dei criteri
sottostanti le attuali terapie farmacologiche (vedi anche
“Intervista a Giuseppe Perrella”).
Nello stesso fascicolo di Nature (il numero 7005, volume 431 del 9 settembre scorso) Erika Check discute le questioni scientifiche sottostanti il grosso scandalo dei farmaci antidepressivi per l’infanzia in grado di indurre -a quanto pare- stati mentali con idee di suicidio (Antidepressant: bitter pills. Nature 431, 122, Sept 2004). In questo articolo le case farmaceutiche vengono attaccate per aver nascosto questi dati provenienti dalla sperimentazione.