L'ANNO GALILEIANO 2009 IN UN INCONTRO DI BM&L

 

 

Nel 1609 Galileo Galilei costruì ed usò un telescopio, dando l’avvio a quella straordinaria serie di  osservazioni astronomiche che lo resero famoso e che, a quattrocento anni di distanza, costituiscono il tema principale dei numerosi eventi che celebrano l’opera del padre del metodo scientifico e della moderna meccanica, nell’anno mondiale dedicato all’astronomia. Si tralascia spesso l’interesse del “nobile fiorentino” nato a Pisa[1], per quel mondo prossimo e invisibile ad occhio nudo, che invece lo include fra i padri nobili di tutte le scienze sperimentali che hanno i loro oggetti di studio fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, come è stato rilevato in un recente incontro della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life”, intitolato “Temi e Problemi della Scienza e della Vita nell’Opera di Galileo Galilei”.

Diane Richmond ha aperto il suo intervento ricordando che Galileo donò ad un suo allievo una lente capace di ingrandire gli oggetti vicini, ed ha attribuito a questo dono il valore simbolico di atto di nascita dell’osservazione microscopica e, con questa, della moderna biologia che avrà, in quello stesso secolo, in Antoni Van Leeuwenhoek lo straordinario pioniere che descrisse la struttura invisibile del sistema nervoso (v. Antoni Van Leeuwenhoek, in “Protagonisti”). Dopo aver notato che nel 1624 il genio toscano inviò a Roma un esemplare di microscopio semplice, ossia costituito da una sola lente, la Richmond ha proseguito trattando dell’importanza degli studi galileiani in campi diversi dall’astrofisica.

Patrizio Perrella, da matematico, ha illustrato i termini del contrasto teorico fra Cartesio e Galilei, spiegando nel dettaglio come le critiche, anche aspre, rivolte dal Francese all’Italiano, derivino da una diversa visione e impostazione nel modo di condurre l’intelletto e non da una divergenza filosofico-religiosa, come è stato superficialmente affermato da alcuni in passato. Infatti, nella lettera a Marin Marsenne del 1632, nella quale Cartesio critica i Discorsi di Galilei, appare evidente la differenza fra il prototipo razionale del pensiero matematico che ha il suo fulcro nel procedere con ordine[2] rispettando la coerenza interna dei sistemi, e l’atteggiamento del fisico che spesso prende le mosse dalla verifica sperimentale di un fenomeno che non ha ancora ricondotto ad un sistema razionale. Così Descartes scrive a Marsenne del libro dei Discorsi: “Mi sembra assai imperfetto perché compie continue digressioni e non si ferma affatto a spiegare completamente un argomento; questo mostra che egli non ha esaminato le cose con ordine, e che senza aver considerato le cause prime della natura, ha cercato soltanto le ragioni di alcuni particolari effetti e pertanto ha costruito senza fondamento”. Sulla gravitazione la critica è, in questo senso, esemplare: secondo Cartesio quanto Galileo afferma “è costruito senza fondamento, perché egli avrebbe dovuto prima determinare che cosa è la gravità; e se avesse conosciuto la verità, avrebbe saputo che nel vuoto è nulla”.

Dunque, la verifica sperimentale e la successiva analisi in termini matematici di un fenomeno è vista da Cartesio come uno studio che si concentra solo su “alcuni particolari effetti”, pertanto non meraviglia che la meccanica galileiana appaia al matematico francese come una costruzione senza fondamento. Allo stesso modo non meraviglia, ha notato Patrizio Perrella, che Newton considererà la fisica di Cartesio una “dannosa metafisica”.

Filippo Rucellai ha ripercorso l’itinerario dell’avventura culturale e critica del pensiero galileiano in Italia e all’estero. Prendendo le mosse dai riferimenti più autorevoli dei suoi contemporanei, ha proseguito nel tempo fino agli studi di storia della filosofia del Novecento, andando dai saggi di Ludovico Geymonat (1957), William Shea (1974) e Alexandre Koyré (1979), alle trattazioni più recenti, inclusa la raccolta di saggi di Enrico Bellone (2000).

Giovanni Rossi, con un excursus storico che andava dall’iscrizione di Galileo allo Studio[3] di Pisa con l’intento di ottenere la laurea in medicina, agli anni delle grandi scoperte nel campo della fisiologia umana, ha proposto una ricostruzione dell’ambiente e della cultura medica coeva del grande innovatore delle scienze fisiche e, spesso, a lui materialmente contigua. Infatti, dopo il lettorato in matematica presso lo Studio pisano (1589), Galileo fu lettore per diciotto anni a Padova, dove lo Studio aveva all’interno di Palazzo del Bo uno dei teatri anatomici più suggestivi e prestigiosi d’Europa, che aveva visto Hieronjmus Fabricius d’Acquapendente impegnato in lezioni magistrali la cui fama era solo in parte oscurata da quella del magistero patavino dell’anatomopatologo Andrea Vesalio[4], che scoprì il foro eponimo che mette in comunicazione la circolazione endocranica con il sistema venoso pterigodeo. In proposito il professor Rossi ha osservato che l’opera principale di questo studioso, De umani corporis fabbrica, che potremmo considerare un trattato di anatomia funzionale ante litteram, era sicuramente nota tanto a Galileo quanto a Cartesio, il quale ultimo, per i suoi interessi nel campo della fisiologia e della medicina, studiò più approfonditamente l’opera più recente e interessante di un altro medico che frequentava lo Studio di Padova negli anni in cui vi era Galileo, l’inglese William Harvey che, in seguito, scoprì la circolazione del sangue.

Roberto Colonna nella sua relazione ha ripercorso le tappe che portarono Galileo, mediante l’osservazione della caduta dei gravi e lo studio dei rapporti tra le velocità, a formulare la legge oraria del moto, una delle leggi fondamentali della meccanica moderna.

Lorenzo L. Borgia, partendo dalla pubblicazione del Siderus Nuncius (1610), che rivoluziona tutte le conoscenze astronomiche del tempo, ha seguito la cronologia degli eventi che portarono alle critiche ed alle accuse da parte del clero che, in seguito, si placarono per la morte del Cardinale Bellarmino, consentendo a Galileo di riproporre le sue teorie ne “Il Saggiatore”. Il dottor Borgia ha poi trattato gli aspetti filosofici della condanna e dell’abiura pronunciata dallo scienziato toscano a Roma in Santa Maria sopra Minerva il 22 giugno del 1633. E ha concluso rilevando la curiosa circostanza che ha voluto che l’8 gennaio 1642, due settimane dopo la nascita di Isaac Newton, avvenuta il 25 dicembre 1641, Galileo terminasse la sua avventura terrena.

L’incontro, che si era aperto con una presentazione tematica del presidente e con un’introduzione biografica di Monica Lanfredini, ha visto il ritorno della professoressa per la relazione conclusiva che, seguendo una cronologia degli eventi salienti, ha focalizzato l’attenzione su numerosi ed affascinanti aspetti non considerati nelle precedenti relazioni. 

In conclusione, la Lanfredini non ha potuto esimersi dal paragonare lo stato degli studi universitari italiani di quel tempo a quello dei giorni nostri, ed ha osservato che, mentre alcune cose negative sembrano essere rimaste tal quali, gli aspetti positivi, come l’eccellere degli intelletti e lo straordinario prestigio internazionale delle nostre istituzioni scientifiche in epoca galileana, sembrano svaniti. Discutendo dei difetti della classe docente, la professoressa ha fatto riferimento ad uno scritto poco noto ma molto incisivo di Galileo Galilei: “Contro il portar la toga”. In questo pamphlet, aspramente critico verso i suoi colleghi e contemporanei togati, Galileo paragona i docenti universitari del suo tempo a vasi da profumo o a sudici contenitori di rozza fattura; Monica Lanfredini ha voluto citare questo durissimo giudizio che ci appare più che mai attuale: “O son pieni di vento e di belletti, o son fiascacci da pisciarvi dentro”.

 

Isabella Floriani

BM&L-Gennaio 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO]

 



[1] Galileo, che teneva a qualificarsi “nobile fiorentino”, nasce a Pisa il 15 febbraio 1564 dai fiorentini Vincenzio Galilei e Giulia Ammannati. I Galilei erano nobili e la famiglia Ammannati godeva di grande popolarità e prestigio in Firenze, basti pensare a Bartolomeo Ammannati, scultore e architetto, allievo di Baccio Bandinelli e collaboratore di Michelangelo Buonarroti, noto come autore della fontana del Nettuno (detto il Biancone), che campeggia in Piazza della Signoria, e del Ponte a Santa Trinita (fatto saltare dai Tedeschi durante il secondo conflitto mondiale e poi ricostruito come l’originale).

[2] Come Cartesio aveva chiaramente postulato già all’età di 22 anni nella seconda parte del Discorso sul metodo.

[3] Così era denominata l’Università.

[4] André Vesale, fiammingo di Bruxelles, aveva italianizzato il suo nome in Andrea Vesalio.