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Van Leeuwenhoek

E’ l’autore della prima descrizione microscopica accurata dell’organizzazione del Sistema Nervoso, ma sembra oggi del tutto dimenticato. E’ stato uno scienziato la cui opera ha riguardato tutti i campi della biologia, fornendo preziosi dati morfologici agli studiosi suoi contemporanei. Fra questi vi fu Marcello Malpighi che a sua volta trasmise le nozioni a Valsalva e all’allievo di questi, Morgagni.

La sua anatomia microscopica del tessuto nervoso ha lungamente influenzato i posteri per quasi due secoli. Nel 1699 divenne membro dell’Accademia di Parigi che ne conservò e trasmise l’insegnamento. Antoni Van Leeuwenhoek nobilitò e caratterizzò una forma di comunicazione scientifica ancora oggi in uso, la lettera. La sua costante applicazione e la mole del lavoro che conduceva, gli impedivano di viaggiare per partecipare alle occasioni ufficiali di incontro con gli altri studiosi, così il 28 aprile del 1673 raccolse le sue principali osservazioni, corredate da splendidi disegni, in una lettera alla Royal Society di Londra. Dal 1673 al 1723 inviò alla prestigiosa società britannica ben 110 lettere, che costituiscono una documentazione scientifica di grande pregio artistico e valore storico.

Van Leeuwenhoek comprese che la struttura dei nervi periferici era costituita da innumerevoli prolungamenti del tessuto nervoso, evidenziando la straordinaria lunghezza macroscopica del decorso dei neuriti nonostante il loro calibro microscopico. La sua precisione descrittiva di aree costituite da grandi neuroni avrebbe potuto portare ad ipotizzare l’esistenza di cellule nervose come unità costitutive dell’intero tessuto. Ma, come è noto, esistevano molte resistenze culturali ad accettare questa idea, ritenuta incompatibile con le teorie filosofiche e religiose dominanti, al punto che, nei due secoli successivi, fino agli studi di Camillo Golgi e Ramon y Cajal, ben pochi ritenevano che il sistema nervoso potesse essere costituito da cellule come il fegato e il rene.  Tuttavia sarà proprio la sua grande lezione di microscopista a consentire a Dutruchet nel 1824 di descrivere il soma della cellula nervosa come “corpuscolo globulare” o “piccola cellula” e, successivamente, a Valentin di riconoscere i dendriti come “code protoplasmatiche” in quelle che saranno poi le cellule di Purkinje del Cervelletto.

Probabilmente il motivo che ha condannato all’oblio questa grande figura di morfologo, fu il suo errore nel considerare i prolungamenti neuritici quali strutture cave, cosa che impediva agli autori del Novecento di citarlo come precursore dei moderni neurobiologi nelle introduzioni storiche delle reviews scientifiche. In una lettera del 1718, infatti, parlando della struttura dei cordoni nervosi da lui osservati, scrive: “…composti di piccolissimi vasi di una finezza incredibile che, correndo fianco a fianco, costituiscono un nervo”. Ma questo errore era convinzione comune della maggior parte degli eruditi in Medicina Teorica  - come si chiamava nel XVII secolo la Biologia e Patologia cellulare -  non solo per il retaggio aristotelico del pneuma che avrebbe riempito ventricoli e cavi nervosi, o per pregiudizi che vedevano in un gas una migliore rappresentazione dell’anima, ma anche per rigore scientifico nell’accettare quello che era, apparentemente, un dato di evidenza empirica. Infatti, i metodi ancora molto grossolani di fissazione dei preparati facevano si che gli assoni mielinizzati o cilindrassi presentassero in sezione una differenza di rifrazione della luce fra la struttura dell’involucro ed il centro citoplasmatico simile a quella delle strutture cave. Un altro problema era dato dai limiti di risoluzione dei microscopi dell’epoca, anche se quelli di Van Leeuwenhoek erano tra i migliori, in quanto era egli stesso un costruttore di microscopi. Questo dato è molto importante per comprendere la versatile multiformità del suo ingegno, che lo fece approdare alla ricerca biologica proprio partendo dalla tecnologia ottica. Nelle rare trattazioni contemporanee in cui l’opera dello studioso olandese viene brevemente menzionata, si legge dell’impiego di un microscopio da se stesso fabbricato come se questo fosse stato il limite personale di un isolato bricoleur. Conoscendo un po’ la sua biografia si può sgombrare il campo da questo equivoco dovuto alla superficialità ed alle gratuite inferenze che spesso caratterizzano l’atteggiamento di chi scrive di studiosi non universalmente famosi.

Antoni Van Leeuwenhoek nacque il 24 ottobre del 1632 a Delft, dove morì a 91 anni, il 26 agosto del 1723. Studiò ad Amsterdam, dove divenne commerciante di tessuti. Questa attività lo portò ad analizzare le fibre tessili ed il loro impiego, così in dettaglio che decise di perfezionarne i metodi di osservazione. Elaborò una tecnica per molare e levigare le lenti, fabbricando strumenti ottici sempre più perfezionati. Ritornato a Delft ebbe incarichi pubblici da esperto in vari campi che richiedevano osservazioni accurate e, per ciascuno di questi scopi, costruì uno specifico strumento. Il suo laboratorio ottico ebbe grande fama: è documentato che, quando alla sua morte la figlia Maria lo vendette, contava ben 248 microscopi ed oltre 200 tipi di lenti da lui realizzate.

Si può facilmente notare quanto i suoi studi abbiano segnato la storia della biologia e della stessa microscopia: nel 1674 scoprì i protozoi dell’acqua e le cellule del sangue; due anni dopo, nel 1676, rinvenne e descrisse i batteri nel tartaro dei denti. Osservando cellule germinali maschili in molte specie animali, formulò l’ipotesi che tutti i maschi producessero spermatozoi: riuscì a dimostrare questa tesi scoprendo e descrivendo cellule spermatiche in tutti gli animali osservati, compresa la pulce. Le sue descrizioni della struttura microscopica delle cellule vegetali danno origine alla morfologia botanica moderna. Nel 1680, divenuto fellow della Royal Society, intraprese lo studio dei muscoli. Una delle sue scoperte più significative fu il riconoscimento della particolare struttura della fibrocellula muscolare somatica con la sua caratteristica striatura. Ancora oggi le strie scoperte da Van Leeuwenhoek nel 1682, costituiscono l’elemento distintivo del discrimine fra quella che chiamiamo muscolatura striata o scheletrica e quella che indichiamo col nome di muscolatura liscia o viscerale.

Per comprendere l’importanza dell’opera compiuta dallo scienziato olandese si deve tener conto dei rapporti strettissimi che la morfologia degli esordi aveva con la fisiologia, ritenuta parte speculativa dell’anatomia, ed anche del particolare clima culturale dell’epoca. Da tutta l’antichità e fino al 1628, quando Harvey dimostrò l’esistenza della circolazione sanguigna, si era ritenuto che il sangue nell’organismo fosse fermo e ancora così si insegnò, secondo il magistero di Galeno, per molti anni nelle scuole mediche di tutta Europa. Harvey aveva studiato in Italia con il famoso medico di Padova, Fabrici d’Acquapendente, dal quale probabilmente aveva acquisito, oltre all’esercizio dell’indagine ragionata, la convinzione che il cuore svolgesse una funzione di pompa meccanica, come dimostrava nella sua “Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus”, pubblicata a Francoforte sul Meno. Ma ancora cinquant’anni dopo, la tesi secondo cui il sangue circolasse, era tutt’altro che acquisita e la “teoria della circolazione” veniva ritenuta questione aperta ed oggetto di controversia. In particolare, da parte di molti medici si accettava che il cuore gettasse sangue convogliato verso gli organi dai vasi, così come si riteneva che la dimostrazione del flusso retrogrado dalla periferia verso il centro, lungo le vene, fosse convincente. Ma, si diceva, noi vediamo che i vasi terminano negli organi, diventando tanto piccoli da scomparire e, qui, il sistema vasale si arresta nel parenchima organico del fegato, del rene, del pancreas, degli organi cavi, delle ghiandole endocrine, e così via; poi dagli organi nascono altri vasi, diversi da quelli che vi portano sangue, non costituendo con questi un continuum come i canali di un acquedotto. Pertanto la teoria della circolazione era ritenuta poco scientifica, intuitiva e priva di dimostrazione strutturale. Si comprende, perciò, il rilievo che assunse nel 1683 la scoperta da parte di Van Leeuwenhoek dei capillari sanguigni.

Ma le vette più alte le raggiunse proprio nello studio del sistema nervoso. Pare che consultasse spesso anatomici olandesi, ma la fonte pressoché esclusiva delle sue conoscenze era rappresentata dall’osservazione diretta al microscopio, cui si dedicava con costante applicazione. Osservava e, con rigorosa precisione, riproduceva quanto aveva visto realizzando tavole che avevano il pregio di una assoluta fedeltà scientifica non disgiunta da un indiscutibile talento artistico. Alcuni suoi disegni della struttura dei nervi e dei gangli, potrebbero ancora ben figurare nei nostri trattati.

Le osservazioni e le illustrazioni di Van Leeuwenhoek, oltre ad essere una delle migliori espressioni degli studi morfologici del XVII secolo, furono veicolo di una concezione della scienza, così come dello stile e del metodo del ricercatore, che profondamente ha influenzato la cultura del suo tempo ed induce ancora oggi in noi il rispetto che si deve a chi, a dispetto dell’oblio favorito da un cognome di difficile pronuncia, rimane un modello da imitare nel presente e nel futuro.