Duro scontro sulle differenze sessuali nel cervello
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XII – 08 febbraio 2014.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli
oggetti di studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
COMMENTO/AGGIORNAMENTO]
Sarà una coincidenza, ma appena emerge qualcosa che indica l’esistenza nel cervello di reali differenze fra uomini e donne, si accende un furioso dibattito sui metodi dello studio e sui criteri di interpretazione, che oscura o rischia di oscurare l’oggetto scientifico, sul quale si dovrebbe ragionare con la massima serenità.
L’altra settimana, il 25 gennaio, abbiamo pubblicato la recensione della professoressa Richmond[1] di un lavoro che identificava per la prima volta marcate differenze fra sessi nell’insieme delle connessioni (connettoma) cerebrali umane: dopo soli quattro giorni, il 29 gennaio, infuriava la battaglia, a suon di offensivi giudizi di condanna reciproca, sulle pagine elettroniche della versione online della prestigiosa rivista dell’Accademia Nazionale delle Scienze (NAS) degli Stati Uniti d’America, che presto darà alle stampe il testo della ricerca.
Daphna Joel e Ricardo Tarrasch si scagliano contro Ingalhalikar e colleghi, senza minimamente tener conto della valutazione positiva dei referees della NAS, e vanno giù duro, fin dal titolo del loro commento critico, che potremmo tradurre così: “Sulla cattiva presentazione e cattiva interpretazione di dati legati al genere: il caso dello studio di Ingalhalikar del connettoma umano”[2]. La risposta dei dieci autori dello studio, immediata e contestualmente pubblicata, con la stessa durezza, rende pan per focaccia: “Sulla cattiva lettura e lo sparare al messaggero”[3]. In altri termini: Joel e Tarrasch riducono le differenze sessuali nel connettoma ad una mis-interpretazione e mis-presentazione dei rilievi, Ingalhalikar e colleghi rispediscono le critiche ai mittenti, spiegando che non hanno saputo leggere il lavoro e, animati da una concezione pregiudiziale, hanno attaccato il portatore del messaggio sgradito. Invitiamo i visitatori del nostro sito a leggere entrambi gli interventi, per rendersi conto personalmente se e quanto le accuse e le critiche di Joel e Tarrasch siano fondate.
Il dibattito sul dimorfismo sessuale del cervello umano adulto, a volte si fa così serrato e presenta posizioni così rigidamente opposte e inconciliabili, che mi sembra opportuno suggerire di ripartire da ciò che si conosce per certo e, pertanto, non è oggetto di dibattito o controversia. Credo che qualche riferimento alle nozioni acquisite sulle differenze fra cervello maschile e femminile, possa aiutare chi non è esperto di questa materia a riordinare le idee e leggere dati sperimentali ed opinioni partendo da una base elementare ma certa di nozioni e concetti.
In molti mammiferi, compresa la nostra specie, la via di determinazione sessuale (sex determination pathway) dirige la differenziazione verso il testicolo nel maschio e l’ovaio nella femmina. Il gene SRY del cromosoma maschile Y è il regolatore principale, che agisce sovrapponendosi ad un automatismo di sviluppo conosciuto come “via di default” che specifica il sesso femminile. L’entrata in funzione di SRY impedisce che si proceda verso la differenziazione automatica dei tessuti dell’ovaio e dà inizio alla formazione della gonade maschile. Le gonadi poi, divenute fisiologicamente attive, producono ed immettono nel circolo ematico gli ormoni che organizzano l’ulteriore differenziazione del corpo.
Di particolare importanza per la genesi di differenze nel cervello sono gli ormoni steroidi, ovvero quelle molecole con la struttura chimica del ciclopentanoperidrofenantrene o sterano, comune al colesterolo, prodotte dalle gonadi e dalla corticale del surrene. In particolare, è stata dimostrata una forte azione sul cervello da parte degli ormoni steroidi sessuali, quali il testosterone, nei maschi, e gli estrogeni e il progesterone nelle femmine. Nuovamente la via femminile si presenta come il “default mode” della differenziazione: in assenza della segnalazione dell’ormone maschile, senza bisogno di elevazione della quota di estrogeni, si ha una differenziazione in senso femminile del cervello e, nelle fasi precoci della vita, è la semplice e generica assenza di ormoni steroidi a femminilizzare il cervello e il comportamento che ne deriva.
In molti casi, i fenomeni cellulari sottostanti sono simili a quelli che si verificano in generale durante lo sviluppo: apoptosi, estensione dei neuriti, formazione di sinapsi e riduzione delle diramazioni. Nelle strutture come l’ipotalamo, che presentano dimorfismo sessuale, questi processi sono sotto il controllo degli ormoni sessuali, perciò presentano differenze fra maschi e femmine.
Gli effetti di questi ormoni non si limitano a questo periodo dello sviluppo, in cui si producono eventi irreversibili nell’organizzazione funzionale, ma continuano nella vita adulta, contribuendo a modellare il repertorio comportamentale basato sui FAP (fixed action patterns) tipici per ciascun sesso di quella specie.
Precisi rapporti fra sostrati neurali cerebrali e comportamenti sessuali sono stati stabiliti per i circuiti che determinano l’eccitazione genitale e la produzione del canto negli uccelli di sesso maschile. La precisa descrizione di queste strutture nelle specie in cui sono state studiate, richiederebbe varie pagine, pertanto ci basta qui ricordare che si è giunti a caratterizzazioni molto dettagliate. Un esempio interessante è il nucleo del bulbocavernoso (SNB), sito nel tratto lombare del midollo spinale, che presenta uguali neuroni e dimensioni nei due sessi alla nascita, ma la mancanza di testosterone circolante nelle femmine porta a morte i neuroni, con riduzione del nucleo ed atrofia del muscolo nelle femmine adulte. Qualche parola in più la riserviamo ad un circuito neurale ipotalamico, sessualmente dimorfico, che controlla il comportamento riproduttivo. In molte specie di mammiferi, la regione preottica dell’ipotalamo e un’area a questa associata per interconnessione reciproca, cioè il nucleo del letto della stria terminale (BNST), sono alla base del differente ruolo sessuale nel comportamento riproduttivo. Il dato principale, ed estremamente evidente all’osservazione sperimentale, è il numero molto più alto nei maschi di neuroni nel nucleo sessualmente dimorfico dell’area preottica (SDN-POA) e nel citato BNST.
Queste aree nucleari dell’ipotalamo sono anche importanti per il dimorfismo fisiologico e comportamentale che attiene alla maternità e alle funzioni di nutrizione e di allevamento della prole, ma le differenze maggiori fra sessi, in questi casi, sono prevalentemente di ordine molecolare (metilazione del DNA, secrezione dell’ossitocina, increzione dei glucocorticoidi, ecc.). In termini comportamentali e molecolari, ricordiamo la netta distinzione sessuale nella risposta ai ferormoni.
Un dato certo ma curioso, soprattutto in termini evoluzionistici, è che la capacità del testosterone cerebrale di promuovere la sopravvivenza di neuroni è esercitata attraverso l’aromatizzazione della molecola ad estrogeno e la seguente attivazione dei recettori per gli ormoni femminili. Ci si può chiedere, allora, come sia protetto il cervello femminile neonatale dagli effetti degli estrogeni circolanti. La risposta sembra essere che nelle piccole neonate il tasso estrogenico circolante è molto basso e la piccola quantità presente è sequestrata dall’alfa-fetoproteina, una sieroproteina. Questo spiega perché le topine mancanti di alfa-fetoproteina presentano comportamenti specifici dei maschi ed una ridotta recettività sessuale come femmine. In questo caso il dimorfismo sessuale non risulta da effetti differenti di androgeni ed estrogeni, ma consiste piuttosto in differenze sessuali nei livelli di ormoni disponibili per i tessuti bersaglio.
Un altro ambito di intensi studi è quello in cui si indaga come l’esperienza precoce porti nelle femmine a modificazioni cerebrali di lunga durata connesse con il comportamento materno.
A questo punto, possiamo rivolgere la nostra attenzione alla realtà umana nella quale, a fronte di una complessità incomparabilmente maggiore e di differenze di genere legate a fattori culturali, la ricerca ha dovuto per motivi intuitivi privarsi di molti degli strumenti consentiti nella sperimentazione animale. Una delle ragioni principali degli studi condotti nella nostra specie, consiste nella ragionevole ipotesi che il dimorfismo sessuale cerebrale possa essere correlato specificamente all’identità di genere e all’orientamento sessuale. L’eventuale identificazione di marker potrebbe avere rilevanza in sessuologia, psichiatria, psicologia e medicina legale.
All’inizio e per molto tempo, gli studi tendevano soprattutto a verificare l’esistenza nella specie umana di equivalenti delle espressioni di dimorfismo sessuale rilevate nei roditori e in altri animali studiati in laboratorio. Tali indagini hanno fornito il riscontro della maggiore dimensione nell’uomo rispetto alla donna del nucleo spinale di Onuf (omologo del nucleo del bulbocavernoso del topo), del BNST e del nucleo interstiziale dell’ipotalamo anteriore 3 (INAH3, da interstitial nucleus of the anterior hypothalamus 3), praticamente omologo del nucleo sessualmente dimorfico dell’area preottica (SDN-POA) dei roditori.
Dovrei ora proseguire con una sintesi degli studi recenti sulla nostra specie, ma non saprei rendere in maniera più efficace e stringata, quanto esemplarmente esposto da Diane Richmond nella sua recensione già citata, dalla quale riporto integralmente il seguente stralcio di testo.
I progressi compiuti nella metodica di risonanza
magnetica ad alta risoluzione[4],
associati alla tecnologia genetica, hanno consentito di scoprire nuovi aspetti
del dimorfismo sessuale del sistema nervoso centrale.
Nelle donne
è stato riscontrato un volume maggiore nella corteccia fronto-orbitale e in
varie circonvoluzioni, fra cui la precentrale, la frontale superiore e la
lingula.
Al contrario, negli uomini sono risultate più espanse la corteccia frontale mediale,
l’amigdala e il giro angolare. Quest’ultimo rilievo è molto significativo,
perché ci aiuta a comprendere quanto siano incerti questi dati: in passato,
studi morfologici avevano rilevato un giro angolare più espanso nelle donne, e
questo dato era stato posto in relazione con abilità linguistiche che si
supponevano maggiori nel sesso femminile.
Il problema principale è che la relazione fra
differenze strutturali e differenze cognitive è materia controversa e, secondo
molti ricercatori, se pure esistono reali differenze morfologiche legate al
sesso, queste riguardano la media in due popolazioni altamente variabili al
loro interno. In altri termini, le differenze individuali sarebbero più
rilevanti e significative di quelle sessuali[5].
L’importanza del dimorfismo cerebrale legato al sesso sembra però essere
confermata dagli studi sul cervello delle persone omosessuali: i maschi
omosessuali presentano un encefalo con le caratteristiche più sopra indicate
per le donne; viceversa, le femmine omosessuali (lesbiche) presentano un
encefalo con i caratteri tipicamente rilevati negli uomini.
Schematizzando i risultati delle ricerche più recenti,
due aspetti sembrano emergere con chiarezza: 1) in vari compiti e comportamenti
sono state rilevate differenze di prestazione legate al sesso che, nel loro
insieme, sembrano rispondere al criterio evoluzionistico della complementarietà adattativa, con i
maschi prevalenti nelle abilità motorie e spaziali e le femmine più dotate in
abilità sociali e di memoria[6]; 2)
le differenze sessuali finora rilevate nel cervello umano non possono
facilmente essere messe in rapporto con le differenze comportamentali e non
spiegano questa apparente
complementarietà adattativa[7].
La modesta opinione di chi scrive, prendendo le distanze da una “demolizione” della validità scientifica dello studio di Ingalhalikar e colleghi, propone un esercizio critico ispirato alla prudenza nel giudicare le interpretazioni degli autori dello studio. In estrema sintesi, offro due concetti ad ulteriori elaborazioni:
1) che il collegamento fra percezione ed azione coordinata abbia per base neurofunzionale prevalentemente le connessioni intraemisferiche, non vuol dire che un funzionamento che prediliga l’attività intraemisferica possa metonimicamente essere definito sulla base di questo aspetto (fra i tanti con questo sostrato potenziale), solo perché più noto e, allo stato attuale delle conoscenze, più caratterizzante;
2) la concezione di un emisfero sinistro provvisto di linguaggio, categoricale, analitico, razionale e cosciente, contrapposta a quella di un emisfero destro muto, rappresentazionale, euristico, creativamente associativo e incosciente, è una vecchia ipotesi derivante da alcuni studi su pazienti con cervello diviso (Gazzaniga, et al.), che ha trovato solo parziale conferma negli studi successivi (anche della stessa scuola), pertanto non è prudente impiegarla come criterio certo e paradigma universale di fisiologia cerebrale.
In conclusione, mi auguro che la prossima settimana a Firenze, soprattutto dai membri dei gruppi strutturali di Torino e di Roma che hanno manifestato grande interesse per questi studi, giunga un contributo per un dibattito che potrebbe contribuire a chiarire le idee a molti e a produrre materiale utile da inviare agli autori di questo studio, ai loro detrattori e a tanti protagonisti della ricerca in questo campo.
L’autore della nota, che
ringrazia la professoressa Monica Lanfredini per la collaborazione nella
redazione del testo e la professoressa Diane Richmond per la documentazione
fornita, invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che
compaiono sul sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
[2] On the
mis-presentation and misinterpretation of gender-related data: The case of
Ingalhalikar’s human connectome study. PNAS 2014 published ahead of print
January 29, 2014, doi:10.1073/pnas.1323319111.
[3] On
misreading and shooting the messenger. PNAS 2014
published ahead of print January 29, 2014, doi:10.1073/pnas.1323601111.
[4] Si sottintende che le stime sono calcolate attraverso la normalizzazione matematica dei valori assoluti rispetto alle proporzioni per sesso, età ed altri parametri significativi.
[5] Altri studi interessanti riguardano le osservazioni di persone con una mutazione in un singolo gene, che dissocia il sesso anatomico da quello cromosomico e gonadico, quali CAIS, CAH e il deficit di 5α-reduttasi.
[6] La generalizzazione riguarda una sommatoria approssimativa di risultati. Come sempre nella realtà umana le cose sono complesse, e anche in questo caso sarebbe necessario fare dei distinguo e delle precisazioni sul tipo di prestazione mnemonica testata. Infatti, basta prendere anche un banale esempio di memoria spaziale - di per sé molto omogenea nei roditori - per rilevare differenze nella realtà umana: se si tratta di ricordare e riconoscere un oggetto nella sua collocazione fra tanti altri, più spesso, ma di poco, prevalgono le donne; al contrario, se si tratta del suo orientamento in uno spazio tridimensionale, la prevalenza degli uomini è discretamente evidente e testosterone-dipendente. A ciò si aggiunga che quasi tutti i casi di memoria prodigiosa descritti nella letteratura scientifica, da quelli espressi in condizioni patologiche a quelli di persone altrimenti normali, appartengono al sesso maschile.
[7] Si raccomanda, a tutti coloro che non l’abbiano già fatta, la lettura integrale di questa recensione (Note e Notizie 25-01-14 Sorprendenti differenze fra uomini e donne nel connettoma cerebrale) che chiarisce i termini della questione e sintetizza efficacemente l’opinione degli autori sui due stili cerebrali che si dedurrebbero dalle connessioni.