I nuovi farmaci e qualche risposta sulla sclerosi multipla

                                                                                                                                                

 

A cura di LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XI – 01 giugno 2013.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

Sabato 18 maggio si è tenuto in Firenze un incontro di aggiornamento sulla terapia della sclerosi multipla, al quale hanno partecipato numerosi soci. La storia dei trattamenti in relazione alle ipotesi patogenetiche è stata trattata dalla professoressa Nicole Cardon e dal professore Giovanni Rossi; l’evoluzione della concezione della malattia e gli studi attualmente in corso sull’eziopatogenesi, sono stati esposti in sintesi dalla professoressa Diane Richmond; singoli aspetti molecolari e cellulari della patologia sono stati discussi dai dottori Lorenzo L. Borgia (meccanismi autoimmuni), Simone Werner (processi infiammatori) e Roberto Colonna (processi degenerativi). Chi scrive (Ludovica R. Poggi) ha presentato una dettagliata disamina del profilo farmacologico delle molecole attualmente in uso e in corso di sperimentazione. Il presidente, Giuseppe Perrella, ha proposto un excursus sull’evoluzione della terapia della sclerosi multipla nel corso degli anni, ed ha fornito un aggiornamento sulle nuove e future possibilità di trattamento. Da questa relazione la scorsa settimana (25 maggio 2013) abbiamo estratto e trascritto alcuni brani che, nell’insieme, costituiscono un sintetico aggiornamento. Al termine della relazione è stato chiesto al professore di riproporre il prospetto degli 11 farmaci discussi, e una simile richiesta è stata avanzata da molti visitatori del sito, pertanto abbiamo ritenuto di fare cosa gradita a molti riportando una trascrizione dei contenuti di quella tabella. Infine, proponiamo qui di seguito anche alcune domande e risposte, in considerazione dei loro interessanti contenuti, a beneficio dei soci che non abbiano avuto la possibilità di registrarle e dei visitatori del sito.

 

 

 

FARMACI NEL TRATTAMENTO DELLA SCLEROSI MULTIPLA

 

 

[L’elenco che segue riporta la denominazione della molecola, l’indicazione in parentesi del nome commerciale, l’anno nel quale il farmaco è diventato prescrivibile, la modalità di somministrazione (via e posologia) e, infine, il modo in cui l’azione farmacologica esercita l’effetto terapeutico].

 

 

Interferone β-1b (Betaseron). Prescrivibile dal 1993. Somministrazione per iniezione transcutanea a giorni alterni. Riduce l’infiammazione abbassando i livelli di citochine ed ostacolando il traffico delle cellule immunitarie attraverso la barriera emato-encefalica.

 

Interferone β-1a (Avonex). Prescrivibile dal 1996. Somministrazione per iniezione intramuscolare settimanale. Come l’interferone β-1b, riduce l’infiammazione abbassando i livelli di citochine ed ostacolando il traffico delle cellule immunitarie attraverso la barriera emato-encefalica.

 

Glatiramer acetato (Copaxone). Prescrivibile dal 1996. Somministrazione per iniezione transcutanea giornaliera. Il meccanismo d’azione è ancora oggetto di studio, ma si ritiene che interferisca con la funzione degli immunociti che riconoscono proteine della mielina come bersagli.

 

Mitoxantrone (Novantrone). Prescrivibile dal 2000. Somministrazione per iniezione endovenosa praticata ogni tre mesi. È un farmaco chemioterapico adoperato in terapia oncologica, che interferisce con la sintesi e la riparazione del DNA. Nella sclerosi multipla è impiegato per la sua efficacia nell’inibire la proliferazione delle cellule immunitarie responsabili dell’autoaggressione. È un immunosoppressore.

 

Interferone β-1a (Rebif). Prescrivibile dal 2002. Somministrazione per iniezione transcutanea tre volte la settimana. Come l’interferone β-1b, riduce l’infiammazione abbassando i livelli di citochine ed ostacolando il traffico delle cellule immunitarie attraverso la barriera emato-encefalica.

 

Natalizumab (Tysabri). Prescrivibile dal 2004. Somministrazione per iniezione endovenosa ogni quattro settimane. Preclude l’attraversamento della barriera ematoencefalica da parte dei leucociti legandosi ai recettori impiegati da queste cellule per la traslazione attraverso la parete vascolare.

 

Interferone β-1b (Extavia). Prescrivibile dal 2009. Somministrazione per iniezione transcutanea a giorni alterni. Riduce l’infiammazione abbassando i livelli di citochine ed ostacolando il traffico delle cellule immunitarie attraverso la barriera emato-encefalica.

 

Fingolimod o FTY720 (Gilenya). Prescrivibile dal 2010. Somministrazione orale: una compressa al giorno. Si ritiene che l’effetto prevalente alla base dell’efficacia terapeutica sia costituito dalla capacità di impedire ai linfociti di lasciare i linfonodi ed entrare in circolo, in tal modo precludendo la possibilità per queste cellule di aggredire il sistema nervoso centrale. In particolare, sembra che il fingolimod agisca mediante un metabolita fosforilato attivo (FTY720-P) che, essendo chimicamente simile alla molecola naturale sfingosina-1-P (S1P), può interagire con il sub-tipo recettoriale S1P1, causando l’alterazione del traffico dei linfociti. Alcuni studi hanno dimostrato che il fingolimod può agire direttamente mediante la modulazione di recettori espressi da astrociti e neuroni[1].

 

Teriflunomide (Aubagio). Prescrivibile dal 2012. Somministrazione orale: una compressa al giorno. Agisce bloccando gli immunociti in rapida proliferazione implicati nell’attacco autoimmunitario alla mielina encefalomidollare, ma risparmia le cellule immunitarie che si moltiplicano a basso ritmo, sostanzialmente preservando la normale capacità di resistenza immunologica alle malattie.

 

BG-12 (Tecfidera). Prescrivibile dal 2013. Somministrazione orale: due compresse al giorno. Il modo in cui l’azione farmacologica si esplica non è stato sperimentalmente accertato, ma si ritiene che attivi una via cellulare che contribuisce alla protezione dei neuroni, della mielina e della barriera emato-encefalica dal danno ossidativo causato dall’aggressione autoimmunitaria. Sembra anche agire riducendo l’infiammazione.

 

Alemtuzumab (Lemtrada). In corso di revisione. Somministrazione per iniezione endovenosa una volta l’anno per cinque giorni consecutivi. Causa una drastica immunosoppressione e si ritiene possa favorire una “riprogrammazione” del sistema immunitario che lo conduca ad uno stato funzionale meno aggressivo.

 

 

DOMANDE E RISPOSTE SULLA SCLEROSI MULTIPLA

 

[Le domande sono state rivolte da vari soci al professor Giuseppe Perrella, al termine della sua relazione].

 

D.: Non si è parlato, se si eccettua la menzione in un elenco della professoressa Poggi, della vitamina D. Vorrei sapere se si dispone di evidenze a favore dell’efficacia di supplementi di vitamina D ad integrazione della terapia. E volevo anche sapere se l’esposizione alla luce solare può avere un ruolo protettivo.

 

R.: Alcuni studi hanno evidenziato nelle persone affette da sclerosi multipla tassi più bassi di precursori della vitamina, ed hanno rilevato che i pazienti con i livelli minori presentavano una probabilità maggiore di episodi acuti e recidive. Come è noto, la vitamina D è in grado di influenzare la funzione immunitaria in un modo che rende plausibile la possibilità di un effetto terapeutico, ma i meccanismi molecolari di questa azione non sono stati ancora individuati. Inoltre, non sono state fornite prove ritenute sufficienti e convincenti che i supplementi di vitamina D siano in grado di prevenire le riaccensioni o ridurre l’entità dei processi patologici, coadiuvando in maniera rilevabile i farmaci immunosoppressivi. D’altra parte, poiché le dosi raccomandate dai neurologi non comportano il rischio di effetti indesiderati da sovradosaggio, la scelta di integrare la terapia con la vitamina non incontra obiezioni.

 

D.: Se si consultano testi di clinica medica e di neurologia di qualche decennio fa, si nota che la differenza di incidenza fra uomini e donne era molto minore, si conosce il perché di questo cambiamento?

 

R.: Direi di no. Intendo che il cambiamento, se veramente esiste e non è effetto spurio di erronee valutazioni del passato, non ha ancora avuto una spiegazione scientifica. Mi sono posto il problema un po’ di tempo fa, ma non ho trovato studi che abbiano affrontato la questione sperimentalmente. Negli anni Cinquanta il rapporto donne/uomini era 1,4 a 1, e ancora nel 1991 nell’Harrison (Antel e Arnason) le percentuali erano 60 a 40. Come si è arrivati al 4 a 1 attualmente rilevato? In generale, la differenza è stata spiegata con la maggiore incidenza nel sesso femminile di malattie autoimmunitarie, ma l’incremento che ha triplicato il differenziale non può spiegarsi in termini di genetica legata al sesso, e fa supporre un fattore ambientale che incide maggiormente o esclusivamente sulle donne.

 

D.: Come i farmaci anticoncezionali estroprogestinici?

 

R.: È stata avanzata anche questa ipotesi.

 

D.: Lei ha detto che non ci sono studi sperimentali, ma quale ipotesi di lavoro dovrebbe essere verificata sperimentalmente?

 

R.: Non è semplice. Credo che si dovrebbe indagare il dettaglio dei meccanismi molecolari alla ricerca di differenze significative in termini di fisiopatologia; su questa base si potrebbe cercare - se esiste - un profilo patogenetico che prevale nel sesso femminile.

 

D.: In altre parole, lei ritiene che la diagnosi di “sclerosi multipla” comprenda entità patologiche diverse e che una di queste sarebbe tipicamente femminile?

 

R.: Press’a poco. Ad esempio - dico per ipotesi una cosa quasi sicuramente erronea, ma solo per chiarire il mio pensiero - nelle persone di sesso maschile potrebbe prevalere un processo patologico in cui la componente autoimmunitaria è secondaria, mentre nel sesso femminile potrebbe prevalere un tipo di patogenesi in cui l’attacco autoimmune alla mielina è precedente e/o preponderante, e su questa base si inserirebbe l’effetto di un fattore ambientale maggiormente incidente nelle donne. Ma, al di là dell’esempio, un problema non facilmente superabile in questo momento riguarda lo scarto esistente fra la sperimentazione animale e la realtà umana: la differenza fra uomini e donne non è riprodotta dai modelli sperimentali di encefalite autoimmune dei roditori e difficilmente potrà essere indagata con le conoscenze e i mezzi attualmente in possesso dei ricercatori.

 

D.: Gli studi epidemiologici dicono che i gemelli monovulari presentano una concordanza del 20-30%, mentre i gemelli non identici una concordanza del 5%. Dati estremamente più bassi - la metà per i gemelli identici - di una malattia come la schizofrenia che non si considera un disturbo ereditario. Si può dire che la genetica sia quasi irrilevante per il rischio di sviluppare sclerosi multipla?

 

R.: Lo studio della predisposizione genetica alla sclerosi multipla è solo agli inizi, e risente della nostra ignoranza sull’identità dei processi decisivi per la genesi della patologia. Circa 50 geni che aumentano il rischio di ammalarsi sono già stati identificati. Nella massima parte dei casi si tratta di geni implicati nelle funzioni immunitarie, ma il loro legame con lo sviluppo effettivo del quadro patologico mi sembra ancora abbastanza debole. Secondo i criteri epidemiologico-statistici adoperati, tutti questi geni messi insieme spiegherebbero all’incirca il 10% del rischio totale di sviluppare la malattia demielinizzante. Solo tre di questi geni presentano un rapporto più stretto, risultando responsabili, da soli, di circa il 4% del rischio. Non si può escludere, a mio avviso, che gli altri geni non abbiano una reale e specifica importanza. Un’altra pista seguita dalla ricerca genetica è quella dell’identificazione di loci genici associati con l’esposizione ambientale ma, che io sappia, nulla di veramente significativo è stato ancora rilevato.

 

D.: Durante la sua esposizione e ora, anche nelle risposte, fa riferimento ad una sua ipotesi secondo cui la categoria diagnostica della sclerosi multipla corrisponderebbe a quadri patologici diversi, ma mi è sembrata più un’intuizione poco fondata che un’ipotesi scientifica. Perché non ha spiegato su cosa si basa?

 

R.: Perché questo non era un incontro sulle teorie eziopatogenetiche, ma sulla terapia.

 

D.: Ma ha pensato a qualcosa di concreto? Perché a me è parsa un’idea un po’ campata in aria.

 

R.: No, non è campata in aria. Riflessioni simili le ho fatte per le principali malattie neurodegenerative. Se ho pensato a qualcosa di concreto…

 

D.: Voglio dire qualcosa di immediatamente comunicabile e comprensibile.

 

R.: Certo. Penso alla neuromielite ottica di Devic, una malattia demielinizzante caratterizzata da mielite trasversa e neurite ottica. Molti neurologi negli USA e in Europa, fra cui gli autori dei principali manuali e trattati di neurologia e medicina interna, la consideravano un sottotipo o una forma di sclerosi multipla. Recentemente, nei pazienti affetti da malattia di Devic, sono stati identificati degli anticorpi diretti contro l’acquaporina 4, una proteina-canale per il passaggio dell’acqua, tipica degli astrociti. Si è compreso che in questo processo patologico sono gli astrociti il bersaglio primario dell’attacco autoimmune, e non la mielina degli oligodendrociti, interessata solo secondariamente. La malattia di Devic è ora considerata una patologia a sé stante, e coloro che ne sono affetti non sono più inclusi nel novero degli ammalati di sclerosi multipla.

 

D.: Un esempio eloquente: ho capito. Ma esiste comunque una classificazione delle forme cliniche: non si può considerare una traccia per identificare i diversi tipi di processo patologico?

 

R.: Decisamente no. È una via che è stata percorsa agli albori della ricerca sulla patogenesi…

 

D.: Ma interrogando i segni nella chiave delle conoscenze attuali di patologia molecolare, non si potrebbero avere nuove informazioni in grado di orientare verso identità ordinatrici dei tre fenomeni fondamentali, cioè infiammazione, fenomeni autoimmuni e degenerazione? Per inciso, ho volutamente escluso i processi riparativi che danno luogo alla sclerosi, perché credo che siano ininfluenti.

 

R.: Le dicevo di no, perché le forme cliniche sono definite in base all’andamento.

 

D.: Per maggiore chiarezza, e a vantaggio di tutti, posso chiederle di ricordare in sintesi le forme di sclerosi multipla attualmente riconosciute nella diagnostica neurologica?

 

R.: Si, credo che sia utile, anche perché tutti possano avere chiaro a cosa si riferisca la collega e perché tale caratterizzazione non si considera di grande aiuto per la ricerca.

L’andamento clinico in assoluto più frequente, perché riguarda all’incirca l’85% dei pazienti, è quello della forma recidivante-remittente, caratterizzata da fasi acute alternate a periodi in cui i sintomi si stabilizzano, si indeboliscono o scompaiono del tutto. Nel corso del tempo, circa la metà di tali pazienti presenta, da una recidiva all’altra, un peggioramento dei sintomi. In questo caso si parla di forma secondariamente progressiva. Approssimativamente il 10%, dopo il primo manifestarsi dei sintomi, va incontro ad un costante peggioramento senza periodi critici acuti e senza remissioni: è questa la forma primariamente progressiva. In meno del 5% dei casi si diagnostica una forma progressiva recidivante, in cui dopo anni di costante peggioramento si determina un’intermittenza, con riprese dell’attività patologica dopo intervalli variabili.

 

D.: Mi hanno colpito due cose nella sua esposizione sulla storia delle terapie per la sclerosi multipla: la folle varietà di rimedi sperimentati senza fondamento e la pubblicazione del medico americano delle terapie impiegate negli anni Trenta senza conoscere la patogenesi. Potrebbe ripetere in estrema sintesi queste cose per chi non ha fatto in tempo a scrivere?

 

R.: Certamente. È vero, come dice lei, che non vi era fondamento scientifico nelle scelte delle prime misure terapeutiche registrate, che oggi ci appaiono bizzarre, insensate, pericolose o criminali, ma è pur vero che non erano il parto di una fantasia malata, ma la conseguenza di congetture o ipotesi basate su elementi di suggestiva verosimiglianza che avevano finito per persuadere molti circa la loro plausibilità. Né più né meno che il tipo di ragionamenti impiegati oggi a sostegno delle cosiddette medicine alternative. Si dava colpa alla dieta, a infezioni, tossine e, perfino, a memorie represse, ma in nessun caso si dimostrava il nesso di causalità patogenetica fra l’agente ipotizzato e l’alterazione patologica nota. Le persone che si supponeva fossero affette da sclerosi multipla sulla base della descrizione clinica fornita da Jean-Martin Charcot[2] venivano ristrette in vani arroventati, infettate con il protozoo responsabile della malaria, sottoposte ad iniezioni di latte e, infine, irradiate con i raggi X. Il neurologo americano Richard Brickner nel 1936 pubblicò un documento impressionante: la valutazione di 158 mezzi terapeutici diversi, impiegati a quel tempo per “curare” la sclerosi multipla. Non deve meravigliarci la prudenza e il rigore intervenuti con l’affermarsi della medicina scientifica.

 

D.: A proposito di credenze non scientifiche, è vero che gli ammalati di sclerosi multipla devono esporsi al sole e che la loro vita può allungarsi vivendo in zone tropicali o in crociera, come in una perenne vacanza?

 

R.: È necessario distinguere i due aspetti: quello di una condizione psichica lontana dallo stress e quello degli effetti della radiazione solare. La ricerca nel campo della psiconeuroimmunologia ha accertato che un po’ tutte le patologie infiammatorie e degenerative, nonché quelle neoplastiche, possono risentire positivamente di un buon tono dell’umore, di un atteggiamento mentale attivo e fiducioso, e di un’igiene psicofisica che possiamo accostare alle condizioni che si riproducono in una vacanza ideale. In questo senso generico, una buona vacanza vissuta con costante esercizio fisico, buona ossigenazione, riposo adeguato nelle ore notturne, stimoli ricchi e vari in assenza di stress, fumo, alcool, droghe e cattiva alimentazione, può giovare in ogni caso ed anche nella sclerosi multipla. Almeno, per quanto ne sappiamo.

Gli effetti della radiazione solare, invece, ci riportano alla vitamina D. Le due forme principali della vitamina: l’ergocalciferolo generato dalla forma provitaminica di origine vegetale, ergosterolo, e il colecalciferolo derivato dal 7-deidrocolesterolo presente nella pelle, si producono per azione dei raggi del sole, in particolare della gamma elettromagnetica dell’ultravioletto. La scarsa esposizione al sole, come è noto, determina deficit di vitamina D. Se la vitamina D ha effettivamente un ruolo nella regolazione immunitaria, questo potrebbe essere il collegamento fra esposizione al sole e miglioramento dei sintomi riferito da alcuni. È necessaria una dimostrazione scientifica. Gli studi sul ruolo della vitamina D nella sclerosi multipla, in particolare attraverso l’influenza sul DNA del suo legame con il recettore, sono ancora in una fase preliminare[3].

 

D.: L’esposizione al sole come fattore di prevenzione troverebbe riscontro nell’epidemiologia generale, non è vero?

 

R.: Capisco a cosa si riferisce, ma i dati relativi alla distribuzione geografica della malattia con una bassa incidenza nelle regioni tropicali, possono essere letti anche in altro modo. In passato, ad esempio, si preferiva una lettura in termini di genetica delle popolazioni. Anche qui non abbiamo un collegamento ad un meccanismo molecolare di malattia, pertanto le ipotesi possono solo essere incentivi per ulteriori studi.

 

D.: La sclerosi multipla incide maggiormente alle latitudini più alte dove il clima è temperato…

 

R.: Scusi se la interrompo, ho letto anch’io di recente questa formulazione in un paio di rassegne, ma ho qualcosa da obiettare sull’espressione “clima temperato”. Mi spiego: la massima prevalenza di sclerosi multipla è stata registrata nelle isole Orkney, a nord della Scozia, dove il tasso di malattia nella popolazione locale è il triplo di quello degli USA: 270 casi contro i 90 per 100.000 abitanti.

 

D.: Ha ragione, ma credo che si volesse sottolineare il fatto che in Europa, USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda l’incidenza è più alta, mentre nelle aree tropicali e, in generale, in Asia e in Africa l’incidenza è bassa. Crede si possa mettere in relazione con fattori ambientali e in particolare con il clima?

 

R.: È difficile rispondere alla domanda formulata in questo modo. Credo che lei abbia letto l’articolo più recente di James Bowen dove si fa questa affermazione. Ma ho qualche difficoltà con questa lettura dei dati. Ho qui la fonte che in massima parte ha acquisito i dati dell’OMS, integrandoli con studi epidemiologici più recenti. Vediamo. Abbiamo una prevalenza maggiore di 100 dall’estremo sud della Florida con tipico clima tropicale, per tutto il Nord America compresa la Groenlandia e le parti abitate del circolo polare artico. Questa stessa prevalenza (maggiore di 100) lo studio la riporta in Europa per stati come Germania, Danimarca, Svizzera, Polonia, Inghilterra, Scozia, Norvegia, Islanda. Una prevalenza fra 60 e 100 la troviamo in Italia, Francia, Spagna, Svezia e Finlandia, e, nell’altro emisfero, in Australia e Nuova Zelanda, che rappresentano i territori australi con la prevalenza più alta. Poi c’è la prevalenza fra 20 e 60 che include il Portogallo, i Balcani, la Turchia, la Russia e gran parte del territorio della ex-Unione Sovietica. La prevalenza fra 5 e 20 si riscontra in Messico, Brasile, Cile, Argentina, Venezuela, Algeria, Marocco. A proposito del Brasile, vedo che lo stato di Santa Catarina, che ha avuto una forte immigrazione tedesca, fa eccezione, presentando una prevalenza fra 20 e 60. Infine, abbiamo la prevalenza compresa fra 0 e 5 che riguarda, è vero, l’India, il Pakistan, la Cina, ma si rileva anche in regioni dell’Asia che per latitudine corrispondono a Germania e Polonia che sono al livello più alto di densità di persone affette.

Mi sembra che da questi dati non si possano trarre semplici schematizzazioni per aree climatiche. L’interpretazione sulla base della genetica delle popolazioni rileva una maggiore percentuale di persone affette fra i caucasici (le persone di pelle bianca), specialmente quelli di origine europea, ed una minore incidenza nelle popolazioni asiatiche e di origine africana.

È allora particolarmente interessante consultare i risultati degli studi di migrazione. Se si emigra prima dell’adolescenza da un paese a basso rischio (a bassa prevalenza) ad uno ad alto rischio, si acquisisce il grado di probabilità di ammalarsi del paese di immigrazione. Se si emigra dopo l’adolescenza si conserva il rischio del paese natio. Tali risultati fanno pensare all’influenza di elementi ambientali quali agenti infettivi o insufficienti livelli di illuminazione che potrebbero interagire con particolari genotipi.

Personalmente ritengo che questo genere di speculazioni sia destinato a non approdare a nulla di significativo per difetto di dati, almeno fino a quando si compiranno le scoperte decisive per la comprensione dell’eziologia di tutti i processi patologici che evolvono con le caratteristiche della sclerosi multipla.

 

Si invita alla lettura di tutti gli scritti di argomento connesso (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

A cura di Ludovica R. Poggi

BM&L-01 giugno 2013

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Per maggiori dettagli si veda il testo della relazione pubblicata la scorsa settimana: Note e Notizie 25-05-13 Come sta cambiando la terapia della sclerosi multipla.

[2] Ma è probabile che il tasso di errori diagnostici fosse elevato, vista l’oggettiva difficoltà di una valutazione che all’epoca non aveva il sussidio della visualizzazione del sistema nervoso del paziente, e poteva trovare conferma solo al rilievo delle placche all’esame autoptico.

[3] In proposito, segnalo uno lavoro dello scorso anno: Disanto G., et al. Hum Mol. Genet. May 30, 2012.