I topi calcolano i rischi
DIANE RICHMOND
NOTE
E NOTIZIE - Anno X – 26 maggio 2012.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci componenti
lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo:
RECENSIONE]
L’abilità dei roditori di orientarsi, perlustrare e percorrere spazi con sicurezza e velocità è basata su un insieme di sistemi neuronici, quali grid cells, place cells, border cells, head cells, che garantiscono una funzione di “pilota automatico” e, allo stesso tempo, sembrano avere un ruolo in altri processi rilevanti per la vita dell’animale. Si ritiene che sistemi omologhi siano presenti nella corteccia entorinale e nell’ippocampo di tutti i mammiferi, uomo incluso, e l’attività di questi insiemi specializzati di neuroni è stata messa in relazione con funzioni psichiche di grado più elevato, quali la memoria episodica e, indirettamente, il senso di identità (Note e Notizie 10-09-11 Esperienza dello spazio a fondamento dei luoghi della memoria autobiografica).
Le conoscenze di cui disponiamo attualmente ci consentono di comprendere le ragioni dell’efficacia degli animali nel percorrere ambienti nuovi sulla base delle caratteristiche strutturali rilevate dall’esterno ed elaborate da questi sistemi cellulari. Non si comprende, invece, come facciano ad essere così spediti ed adeguati, disponendo di informazioni scarse o incomplete circa ciò che può verificarsi o accadere nel mondo circostante, ossia circa le contingenze rilevanti in termini comportamentali.
Abituati a liquidare la questione di questa sorprendente capacità animale, neutralizzandola nel concetto ottocentesco di “istinto”, che giustificherebbe tutto ciò che gli animali fanno di appropriato e vantaggioso senza impiegare i processi della nostra coscienza dichiarativa e le nozioni trasmesse con la cultura, tendiamo a non interrogarci più su quale sia la base neurofunzionale di tali abilità, ossia come operi il loro cervello. Se è vero che l’equivalente neurobiologico più convincente dell’istinto è dato dai repertori di atti finalizzati specie-specifici (FAP, da fixed action patterns), che possiamo facilmente riconoscere nei comportamenti riproduttivo e predatorio, è pur vero che all’istinto si attribuisce anche la capacità di un topo, finito per caso in un ambiente nuovo, di schizzare veloce, al riparo da inseguitori e pericoli, in direzione dei nascondigli migliori (v. in G. Perrella, Quadri funzionali, p.17, BM&L, 2006).
Le due ipotesi principali che tentano di spiegare questa abilità possono così essere indicate: 1) BCM (da brain constructed models); 2) MFA (da model-free adaptation).
1) BCM. Questa ipotesi postula l’esistenza di modelli dell’esperienza costruiti dal cervello. In altri termini, nel continuo rapporto con il mondo esterno, la registrazione degli eventi e delle risposte con le caratteristiche salienti e i tempi, verrebbe elaborata automaticamente dal cervello ed organizzata in modelli, in base ai quali giudicare per sintesi comparativa la realtà ed attivare automatismi di scelta. Secondo questa ipotesi il comportamento animale sarebbe guidato da parametri stocastici.
2) MFA. L’ipotesi dei model-free adaptation processes propone che alla base dell’efficienza operativa degli animali, nel muoversi nel modo esterno, vi siano processi di adattamento privi di modelli. In particolare, non si verificherebbe una stima basata su parametri stocastici, ma processi adattativi sviluppati senza una traccia predefinita, come accade nell’apprendimento associativo. In tal modo, l’abilità sarebbe la conseguenza di una ottimizzazione al limite del comportamento mediante meccanismi guidati dal rinforzo (Cfr. G. Perrella, op. cit., p.18).
Nella realtà,
è probabile che operino processi riconducibili ad entrambe le ipotesi, ma
rimane di estremo interesse definire quale delle due modalità abbia un ruolo
prevalente e un peso decisivo nel determinare il comportamento. Aaron Kheifets e C. R. Gallistel del
Dipartimento di Psicologia della Rutgers University (Piscataway, NJ) hanno
condotto una sperimentazione specificamente volta ad accertare se prevalessero
i processi di tipo BCM o quelli di tipo MFA (Aaron Kheifets
& C. R. Gallistel, Mice
take calculated risks. Proceedings of the National Academy
of Science USA [Epub ahead of print
doi:10.1073/pnas.1205131109], 2012).
Rimandando alla lettura del testo originale per una descrizione dettagliata dello studio, in sintesi si riporta che i due ricercatori hanno accertato che i topi aggiustano il loro comportamento in risposta ad un cambiamento di probabilità, molto più rapidamente ed improvvisamente di quanto potrebbero fare se la modificazione fosse dovuta a rinforzo differenziale.
L’esame dei dati ottenuti dimostra che i topi possiedono delle forme di rappresentazione neurale di ciò che chiamiamo probabilità ed eseguono dei calcoli impiegando tali probabilità per ottimizzare il proprio comportamento. Tali processi si sono rivelati attivi anche quando l’ottimizzazione può produrre un vantaggio materiale assolutamente trascurabile.
Ulteriori studi potranno confermare ed approfondire questi risultati, che sembrano fornire un primo orientamento nell’interpretazione di una abilità complessa alla base del comportamento animale, tanto comunemente nota quanto straordinariamente misteriosa.
L’autrice della nota ringrazia il
Presidente Perrella, con il quale ha discusso ed elaborato l’argomento trattato,
e invita alla lettura delle numerose recensioni di lavori di argomento connesso
che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina
“CERCA” del sito). Per facilitare la ricerca, si fa presente che un primo elenco
di nostre recensioni su questo argomento si trova in Note e Notizie 16-10-10 Immagini in
vivo di place cells
dell’ippocampo durante l’esplorazione di uno spazio virtuale; un’altra nota del 2010 (Note e Notizie 13-03-10 Evidenze per grid cells umane) contiene un elenco con collegamenti a note precedenti; lo scorso mese
di aprile è stata recensita un’interessante proposta teorica (Note e Notizie 21-04-12 Una teoria
che spiega le abilità di perlustrazione animale).