Esperienza dello spazio a fondamento dei luoghi della memoria autobiografica

                       

 

NICOLE CARDON & DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 10 settembre 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

E’ noto che nell’uomo e in altri mammiferi l’ippocampo ha un ruolo fondamentale nella formazione della memoria episodica[1], costituita soprattutto dalla registrazione autobiografica, spesso con buona approssimazione, di eventi collocati nello spazio, ossia riferiti al dove sono accaduti, e nel tempo, cioè rapportati al quando si sono verificati. La comprensione della base biologica di questa struttura della memoria è una delle sfide più impegnative ed affascinanti delle neuroscienze.

L’attività elettrica dei neuroni piramidali dell’ippocampo, rilevata in roditori vivi, svegli e attivi, appare come un diretto correlato della posizione dell’animale nello spazio, secondo un preciso rapporto topografico fra l’ambiente, la disposizione e la competenza territoriale dei neuroni, cui è stato attribuito per questa ragione il nome di place cells o cellule di luogo[2]. Tali neuroni, ricordiamo, furono identificati da John O’Keefe e colleghi (1978) che, collocando elettrodi nell’ippocampo di un ratto per registrare l’attività elettrica corrispondente all’esperienza, notarono un andamento funzionale insolito: mentre le altre cellule di proiezione scaricavano alla frequenza di circa una volta al secondo, alcune presentavano un vertiginoso aumento dell’attività quando l’animale giungeva in un luogo particolare. Specificamente, una singola cellula scaricava fino a centinaia di volte al secondo quando il ratto era in un determinato punto ma, come il roditore si allontanava, smetteva di scaricare e, non appena ritornava nello stesso posto, riprendeva a generare potenziali d’azione all’impazzata. Questo comportamento elettrico fu considerato indice di una codifica ippocampale dello spazio e il dato fu interpretato anche alla luce dell’esito della sperimentazione di David Olton (1979), che dimostrò la compromissione dell’abilità di esecuzione di prove basate su compiti di apprendimento spaziale in roditori con lesioni dell’ippocampo. La concezione neurofisiologica esposta nel volume di O’Keefe e Nadel, The Hippocampus as a Cognitive Map (1978), ha costituito un importante riferimento teorico per la ricerca delle tre decadi successive, fino ai giorni nostri[3].

Quando un animale esplora un ambiente nuovo, i suoi neuroni piramidali ippocampali formano i propri campi recettivi spaziali (place fields, reso in italiano con campi di luogo) nel giro di pochi minuti, e tale memoria rimane stabile da quel momento in poi. Questa “stabilizzazione dipendente dall’esperienza” dei campi di luogo è considerata da molti ricercatori un’attraente candidata al ruolo di correlato neurale della formazione della memoria nell’ippocampo; anche se è necessario precisare che il modo in cui l’esperienza di un contesto da parte dell’animale si traduca in stabili campi di luogo è ancora in gran parte ignoto. Per esempio, non è ancora noto se all’ippocampo è sufficiente la semplice osservazione per generare una stabile rappresentazione di uno spazio, perché la verifica sperimentale di un tale assunto richiede che l’animale sia fisicamente collocato in un punto dell’ambiente affinché si possa rilevare quali cellule si attivano quando è in quello specifico posto.

Questo ostacolo è stato ingegnosamente aggirato da David Rowland e colleghi dell’Institute of Neuroscience, University of Oregon, Eugene (USA). I ricercatori hanno trovato il modo di distinguere fra uno spazio esplorato fisicamente ed uno semplicemente percorso con lo sguardo (Rowland D. C. A stable hippocampal representation of a space requires its direct experience. Proceedings of the National Academy of Science USA [Epub ahead of print doi:1073/pnas.1105445108], 2011).

A lungo si è dibattuto circa la necessità che un animale esplori materialmente uno spazio perché si formino campi di luogo stabili ma, in assenza di prove sperimentali decisive a favore di una conferma o di una smentita, la questione è rimasta aperta. Rowland e collaboratori, per distinguere fra le due possibilità, hanno confrontato la stabilità relativa dei campi di luogo dello spazio direttamente esplorato e di quello solo osservato, in seguito al blocco dei recettori del glutammato NMDA (N-metil-D-aspartato), che preferenzialmente destabilizza i campi di luogo di nuova formazione.

In pratica, Rowland e colleghi hanno sperimentato sui ratti gli effetti di un antagonista degli NMDA che destabilizza i campi di luogo di nuova formazione, misurando l’attivazione (firing) delle place cells sia quando gli animali si limitavano ad osservare l’ambiente circostante, sia quando lo percorrevano fisicamente.

A questo scopo hanno impiegato due ambienti artificiali, realizzati come due scatole concentriche: una camera chiara (trasparente) interna ed una camera opaca esterna. Inizialmente i roditori potevano fare esperienza, oltre che visiva, cinestesica, tattile e, in generale, di percezione in movimento, della camera interna, mentre potevano osservare e percorrere solo con lo sguardo l’ambiente costituito dalla camera esterna. I ricercatori hanno poi iniettato i ratti con l’antagonista dei recettori NMDA indicato con l’acronimo CPP [(±)-3-(2-Carboxypiperazin-4-yl)propil-1-phosphonic acid] o, per controllo, con una soluzione salina; dopodiché hanno consentito agli animali di esplorare la camera esterna.

I risultati della registrazione selettiva dei neuroni piramidali dell’ippocampo dei ratti, hanno evidenziato che le configurazioni grafiche dei campi di luogo rappresentanti la camera esterna, negli animali cui era stato somministrato CPP, erano notevolmente diversi ed assomigliavano a quelli di un ambiente nuovo.

Questo esito della sperimentazione suggerisce che il blocco dei recettori del glutammato NMDA ha destabilizzato i campi di aree estesamente osservate, ma non esperite materialmente.

Gli autori dello studio concludono che le cellule di luogo non creano rappresentazioni stabili dell’ambiente che l’animale può solo osservare, e che la formazione di campi costituenti una mappa mnemonica di uno spazio circoscritto, richiede necessariamente la diretta presenza dell’animale e la sua materiale esplorazione del luogo. Tali elementi sono coerenti con l’ipotesi secondo cui il sistema delle cellule di luogo può considerarsi parte di una rete per la registrazione degli eventi autobiografici, alla quale fornisce l’informazione relativa al “dove” nella memoria episodica.

 

Le autrici della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle numerose recensioni di lavori di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie” (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA” del sito).

 

Nicole Cardon & Diane Richmond

BM&L-10 settembre 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] La memoria episodica, insieme con la memoria semantica o memoria per le nozioni, costituisce la memoria dichiarativa, ossia l’insieme dei ricordi direttamente accessibili alla coscienza.

[2] Attualmente le place cells sono considerate parte di un’articolata rete che consente l’orientamento automatico e la perlustrazione dello spazio. In proposito così si esprimeva Roberto Colonna alcuni anni fa: “Lo studio delle basi neurobiologiche della capacità degli animali di dominare uno spazio esplorandolo, orientandosi, ripartendolo in parti con significati diversi, gestendolo in funzione della propria posizione e di quella di elementi ambientali rilevanti, ha consentito di individuare un sistema composito con sede nell’ippocampo e nella corteccia entorinale che, attraverso la straordinaria organizzazione di place cells, grid cells, head direction cells e border cells, definisce la mappa cognitiva dell’ambiente e le operazioni di base per la gestione dei comportamenti adeguati allo spazio ed alla circostanza” (Note e Notizie 14-02-09 La scoperta delle border cells; si veda anche: Note e Notizie 21-11-09 Grid e place cells in un ambiente compartimentato). Un elenco di nostre recensioni su questo argomento si trova in Note e Notizie 16-10-10 Immagini in vivo di place cells dell’ippocampo durante l’esplorazione di uno spazio virtuale. Un’altra nota dello scorso anno (Note e Notizie 13-03-10 Evidenze per grid cells umane) contiene un elenco con collegamenti a note precedenti su questo argomento.

[3] Per una trattazione dettagliata si veda in G. Perrella, La Ricerca della Memoria. Appunti di storia recente. BM&L, Firenze 2010. Qui vogliamo solo ricordare che Howard Eichenbaum ha a lungo promosso l’idea che il ruolo svolto nella memoria spaziale dall’ippocampo sia un esempio della sua funzione più generale, consistente nell’elaborazione alla base della memoria dichiarativa. Eichenbaum, insieme con Neahl Cohen (1993), ha sviluppato una riflessione teorica che identifica nella qualità di elaborazione relazionale la caratteristica specifica della memoria dichiarativa, che sarebbe in comune fra l’animale (sprovvisto di una memoria dichiarativa) e l’uomo (provvisto di coscienza dichiarativa in base alla quale in neuropsicologia è stato creato il concetto di memoria dichiarativa).