Il cervello dei futuri obesi è più sensibile a cibo e denaro 

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno IX - 26 marzo 2011.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). La sezione “note e notizie” presenta settimanalmente note di recensione di lavori neuroscientifici selezionati dallo staff dei recensori fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento rientra negli oggetti di studio dei soci afferenti alla Commissione Scientifica, e notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società Nazionale di Neuroscienze.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Risultati discordi della ricerca sul funzionamento del sistema a ricompensa in condizioni che portano all’obesità, propongono un dilemma: vi è una diminuita sensibilità del sistema agli alimenti, che condiziona la necessità di assumerne quantità maggiori di quelle normalmente necessarie per sentirsi soddisfatti, oppure vi è un’aumentata sensibilità al cibo che genera sensazioni di piacere innescanti un circolo vizioso simil-compulsivo che ritarda l’insorgenza delle sensazioni di sazietà? Non si tratta di un problema di secondaria importanza, perché la sua soluzione può fornire una traccia della neurofisiologia del comportamento alimentare che traduce in effetti le ormai note predisposizioni genetiche e le anomalie neuro-ormonali che spiegano gli incrementi ponderali dannosi per la salute.

Il consumo di cibo è primariamente influenzato dall’azione degli ormoni regolatori del bilancio energetico, ma un ruolo non trascurabile, che nell’uomo diventa a volte preponderante[1], è svolto dall’attivazione del circuito a ricompensa da parte dei cibi gradevoli al gusto. Un funzionamento improprio di ciascuna delle due componenti può causare un eccesso di assunzione di cibo e portare all’obesità[2].

Non sono ancora bene definite le alterazioni nell’elaborazione del circuito a ricompensa che contribuiscono agli incrementi ponderali con grande espansione del tessuto adiposo, anche se alcune evidenze sperimentali suggeriscono che molti individui obesi sono ipersensibili alle proprietà edoniche del cibo, e si alimentano in eccesso perché sperimentano nel mangiare un piacere superiore alla media. Come già accennato, altre evidenze sperimentali supportano invece la tesi secondo cui molte persone con tendenza bulimica o semplicemente iperoressica, sono iposensibili alla ricompensa interna generata dal piacere del cibo e, dunque, devono mangiare più degli altri per raggiungere i livelli che fisiologicamente collegano la sensazione di piacere con quella di sazietà.

Alcuni studi hanno dimostrato che l’iperalimentazione riduce la sensibilità del circuito a ricompensa, in tal modo sollevando dubbi sull’attendibilità dei risultati che suggerivano una caratteristica intrinseca del sistema a ricompensa degli obesi. In altri termini, il sistema che rinforza i comportamenti conferendo sensazioni psichiche positive convenzionalmente definite “ricompensa”, non sarebbe originariamente ipoattivo causando l’eccesso di alimentazione ma, al contrario, la sua ipofunzione sarebbe l’effetto dell’iperfagia.

Per risolvere il problema, Eric Stice e collaboratori hanno deciso di studiare le condizioni neurofunzionali di persone potenzialmente destinate a divenire obese per familiarità, ma ancora nei limiti della norma per peso e comportamento alimentare. A tale scopo hanno indagato, mediante imaging funzionale, l’encefalo di adolescenti con genitori obesi, ottenendo risultati molto interessanti (Stice E., et al. Youth at Risk for Obesity Show Greater Activation of Striatal and Somatosensory Regions to Food. Journal of Neuroscience 31 (12), 4360-4366, 2011).

Gli autori dello studio lavorano per le seguenti istituzioni: Oregon Research Institute; Behavioral Medicine, University at Buffalo; The John Pierce Laboratory, New Haven (Connecticut); Yale University School of Medicine, Department of Psychiatry, New Haven (Connecticut).

Da studi precedenti è emerso che le persone obese, rispetto a quelle nella norma ponderale, hanno un numero minore di recettori della dopamina D2 sui neuroni dello striato (nuclei caudato e putamen) e presentano una risposta funzionale meno marcata di queste formazioni grigie della base encefalica all’assunzione di cibo. E’ stato anche accertato che una più debole risposta striatale al cibo è un fedele indice prognostico di aumento di peso nelle persone a rischio genetico di riduzione della segnalazione dopaminergica. Questi dati sono coerenti con la teoria del difetto di risposta dei sistemi dopaminergici del circuito a ricompensa. Ma altri studi suggeriscono che non siano questi i fattori iniziali di vulnerabilità, in quanto l’iperalimentazione riduce la risposta striatale al cibo, la densità dei recettori D2 sulla superficie dei neuroni, la loro sensibilità e quella del sistema a ricompensa.

Altri studi hanno rilevato che gli obesi presentano una maggiore risposta ad immagini di alimenti da parte dei neuroni dell’amigdala, della corteccia orbitofrontale, dello striato e della corteccia sensoriale, e che questa reazione più intensa consente di prevedere l’incremento ponderale di persone che non sono a rischio genetico di difetto della segnalazione dopaminergica, in accordo con la teoria dell’iper-responsività del sistema a ricompensa negli obesi. Infine, esperimenti in cui si associavano alimenti che potevano far gola a tracce predittive, mostravano che la segnalazione dopaminergica si accresce in risposta alle tracce, implicando che mangiare cibi gustosi contribuisce ad accrescere la responsività.

Stice e colleghi, impiegando scansioni di risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) hanno studiato l’attività dell’encefalo di adolescenti ad alto rischio di obesità, comparandola con quella di coetanei a basso rischio. E’ stata verificata l’attivazione del sistema a ricompensa in risposta al ricevimento e all’anticipazione del ricevimento di cibo dal sapore gradevole.

In risposta all’assunzione di cibo, i giovani ad alto rischio hanno mostrato una maggiore attivazione in corrispondenza del nucleo caudato (parte del corpo striato), nell’opercolo parietale e nell’opercolo frontale. La risposta anticipatoria non ha presentato differenze fra gli adolescenti a basso e ad alto rischio. Ma il prosieguo della sperimentazione ha rivelato un aspetto molto interessante.

Entrambi i gruppi di giovani volontari sono stati sottoposti ad una prova implicante il ricevimento di una ricompensa in denaro. Gli adolescenti ad alto rischio di sovrappeso patologico hanno mostrato, nella reazione encefalica al ricevimento del premio monetario, una maggiore attivazione dei coetanei nel putamen, nel caudato (ovvero nel cosiddetto corpo striato), nel talamo, nell’insula di Reil e nella corteccia orbitofrontale. Anche in questo caso, la risposta anticipatoria non ha fatto rilevare differenze fra i due gruppi.

Presi nell’insieme, i risultati dello studio, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura del testo originale, indicano che i giovani ad alto rischio di obesità hanno, in generale, una più alta responsività del circuito a ricompensa, associata ad una elevata responsività delle aree somatosensoriali attivate dal cibo, che potrebbe indurre l’iperalimentazione dalla quale deriverebbero sia gli effetti sulla segnalazione dopaminergica sia l’accentuata risposta agli stimoli alimentari.

 

L’autrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, che ha contribuito alla stesura del testo, ed invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che compaiono nelle “Note e Notizie”.

 

Diane Richmond

BM&L-26 marzo 2011

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si pensi alla grande disponibilità di cibo tipica delle società economicamente avanzate e alla grande varietà di prodotti gastronomici e dolciari realizzati dalla cultura umana. Si pensi che in natura esiste la frutta, come cibo dal gusto dolce e gradevole, ricco di fibre e vitamine, mentre nella realtà culturale umana - in senso antropologico - esistono i dolci, una categoria di prodotti alimentari ricca di grassi, oltre che di glicidi, con un contenuto proporzionale in zuccheri semplici che non ha riscontro in natura.

[2] Si veda, nella sezione “In Corso”, “La bulimia non è una tossicodipendenza”.