LA BULIMIA NON E’ UNA TOSSICODIPENDENZA

 

 

Già nel 1973 la psichiatra americana Hilde Bruch, nel suo celeberrimo Eating Disorders[1], opera una netta distinzione fra i disturbi del comportamento alimentare, quali la bulimia e l’anoressia psicogena, e l’esito in obesità o magrezza da  cause organiche. Attualmente negli USA l’obesità è ritenuta una concausa di morte per 112.000 persone l’anno ed è responsabile del 9,1% della spesa sanitaria, pertanto i responsabili della salute pubblica hanno fatto appello alle istituzioni educative ed ai maggiori organi di informazione perché contribuiscano a formare e sensibilizzare la popolazione sui rischi degli squilibri alimentari. Nelle campagne di informazione che ne sono seguite, l’obesità è stata spesso presentata come esclusiva conseguenza di un comportamento alimentare improprio che, non corretto per tempo, innesca inevitabilmente un atteggiamento bulimico, contro il quale l’efficacia della volontà del singolo non viene presa minimamente in considerazione. Non meraviglia che in questa temperie di cattiva informazione, sub-culturale e superficiale, l’equiparazione fra tossicodipendenza ed obesità abbia trovato terreno fertile; stupisce e dispiace che alcuni studiosi seguano una simile deriva, magari soltanto per attrarre su di sé e sui propri studi un maggiore interesse del pubblico e delle fonti di finanziamento. E’ perfino superfluo aggiungere che la realtà americana ha avuto ripercussioni quasi in tempo reale su quella europea, attraverso i moderni mezzi di trasmissione globale e i più recenti convegni.

 

Si è diffusa in anni recenti la tendenza nella pubblicistica scientifica ad equiparare la bulimia alle tossicodipendenze, soprattutto dopo l’identificazione di una presunta base fisiopatologica comune. In alcune trattazioni si è giunti perfino ad assimilare l’obesità da qualunque causa alle conseguenze patologiche della dipendenza dall’assunzione di sostanze psicotrope d’abuso. La pubblicazione su questo argomento di un articolo dello psichiatra tedesco Oliver Grimm, lo scorso anno diede luogo ad un dibattito dal quale emerse l’esigenza della costituzione di un gruppo di studio di BM&L-Italia su questo argomento (Oliver Grimm, Addicted to Food? Sci. Am. MIND 18 (2), 36-39, 2007).

A quasi un anno e mezzo di distanza, la riunione del gruppo che ha fatto il punto sullo stato di avanzamento della ricerca è stata una buona occasione per esaminare, sia pur sinteticamente, i motivi che hanno portato a questa erronea equiparazione.

Nel 1994 Jeffrey Friedman e colleghi della Rockfeller University scoprirono che il tessuto adiposo può agire a feed-back sulla fame, bloccando il desiderio di assumere cibo in eccesso. Gli adipociti, infatti, secernono una proteina (battezzata da Friedman leptina, dal greco leptos = snello, sottile) che attraverso il torrente circolatorio raggiunge l’ipotalamo dove interrompe l’attività dei neuroni che generano la sensazione di fame. I topi esprimenti mutanti non funzionanti del gene della leptina diventano rapidamente obesi.

Hanno avuto ampia risonanza gli esperimenti nei quali si è rilevato che animali di laboratorio resi dipendenti da eroina, soffrivano una crisi di astinenza più grave se tenuti a digiuno e, quindi, in una condizione caratterizzata da bassi tassi di leptina. Questa osservazione ha portato a seguire la pista di un intervento di questo “ormone della sazietà” nelle tossicodipendenze.

Un commento critico alla logica sottesa da questo modo di procedere ci porterebbe troppo lontano, in questa sede mi limiterò a sottolineare, come facciamo ormai da anni noi di BM&L, che non esistono molecole-funzione, per cui un singolo ormone o neurotrasmettitore non può considerarsi molecola del sonno, molecola dell’aggressività, molecola della fame, e così via; accade piuttosto che una singola molecola sia mediatrice in vari circuiti e vie deputate a funzioni diverse, e che, per converso, sistemi fisiologici diversi con svariati mediatori e modulatori, concorrano alla stessa funzione. In proposito ricordiamo che la leptina, molecola appartenente alla famiglia delle citochine ad elica, in grado di influenzare la risposta immune ed autoimmune, in recenti studi ha mostrato proprietà antidepressive, e si può essere facili profeti nel prevedere che future ricerche ne accerteranno la partecipazione ad altre funzioni (Note e Notizie 04-03-06 La leptina come nuovo antidepressivo).

Il collegamento più importante e noto fra bulimia e tossicodipendenza è dato da una comune attivazione anomala del sistema a ricompensa troncoencefalico e, in particolare, delle vie dopaminergiche e dei sistemi che fanno capo al nucleo accumbens. Da anni si indaga al riguardo e i lavori pubblicati sono numerosissimi, ma per una sintesi concettuale sarà sufficiente riferirsi al più noto fra gli studi in cui è stata proposta un’alterazione dei sistemi della dopamina come elemento comune alle condizioni di obesità e dipendenza da sostanze d’abuso.

Nel 2001 Gene-Jack Wang e Nora Volkov misurando con una procedura basata sulla PET la quantità di recettori dopaminergici nelle vie meso-striate di volontari in soprappeso, stabilirono un rapporto fra l’attività dopaminergica e la massa corporea (body mass index o BMI): maggiore era il BMI, minore era la quantità di recettori per la dopamina. Da questa evidenza e da altre simili si concluse che le persone obese, come i tossicodipendenti, soffrono di una carenza di effetti della dopamina che li porta ad una ricerca spasmodica di ricompense sotto forma di cibo. Secondo questa interpretazione, l’eccesso di dopamina che segue il ripetuto stimolo del sistema a ricompensa causerebbe la riduzione dei recettori dopaminergici, secondo un meccanismo dimostrato nella dipendenza da cocaina.

I rilievi critici sono facili ed intuitivi anche in questo caso. Perché meravigliarsi che partecipi in entrambi i casi un’alterazione del sistema a ricompensa? Perché ritenerla una prova che “il cibo è una droga”? Il bisogno di assunzione della sostanza psicotropa sfrutta un sistema già esistente per il bisogno di cibo, la cui alterazione nel comportamento di iperalimentazione psicogena può considerarsi un antecedente naturale dell’addiction da eroina e reinforcing drugs. Sarebbe stato strano e straordinario che si fosse creato un circuito neuronico ad hoc per le droghe.

Questi rilevi non dimostrano che il cibo sia una droga, e la distinzione non è messa in discussione da questi studi che non eliminano le banali differenze di biochimica metabolica e di tossicologia. Fra le quali, basti solo pensare che l’azione principale del cibo è nutritiva e non psicotropa recettoriale, che i cibi non agiscono come tossici in senso farmacologico -ossia composti con un range ristretto fra dose efficace e dose letale (DL50/DE50)- e non provocano una escalation di abitudine (necessità di aumentare la dose per ottenere lo stesso effetto) paragonabile a quella dei derivati morfinici e delle reinforcing drugs in generale, ecc. Soprattutto, si deve notare che il cibo non agisce mediante azione recettoriale diretta modificando il funzionamento dei sistemi encefalici che mediano il piacere e il desiderio, come accade con le sostanze d’abuso.

L’attrazione per gli alimenti, d’altra parte, ha una base estesa e complessa, che è in parte mediata dal gusto, ma va oltre l’effetto di rinforzo costituito dal sapore gradevole, come è stato provato di recente: a parità di gusto (dolce), i roditori preferiscono la molecola di più alto valore calorico.

E non è superfluo ricordare che una turba stabile del piacere e del desiderio, come quella che si ha nelle tossicodipendenze, deve considerarsi disturbo psichico a sé, perché queste due facoltà sono parti in equilibrio funzionale con altre, con le quali costituiscono funzioni psichiche globali (Giuseppe Perrella, “L’uso dei piaceri e i vincoli del desiderio. Natura buona, manipolazioni cattive e viceversa.” Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, BM&L-Italia, maggio 2007). Solo eccezionalmente nelle persone che si iperalimentano è possibile documentare una turba del piacere e del desiderio paragonabile a quella che si ha nella dipendenza da sostanze psicotrope quali l’eroina e la cocaina. Senza addentrarsi in dettagli di semeiotica psichiatrica, basti pensare al sovvertimento di priorità naturali che portano i tossicodipendenti a preferire la sostanza d’abuso a un partner sessuale, oppure all’anedonia delle fasi acute ed avanzate della dipendenza, in cui nessuna stimolazione fisica o psichica è più in grado di causare piacere.

Nel 2001, Le Bar e colleghi della Duke University, studiando il cervello di persone affamate alla vista del cibo, hanno rilevato una notevole attività nei sistemi dell’amigdala; tale attivazione scompariva nella sazietà. Clinton Kilts e collaboratori della Emory University, più o meno nello stesso periodo, hanno rilevato quadri PET simili, mostrando cocaina a soggetti dipendenti. La similitudine fra i risultati dei gruppi di Le Bar e Kilts, ha portato alcuni ad affermare che l’attivazione dei neuroni dell’amigdala è una prova ulteriore che gli alimenti e le sostanze psicotrope d’abuso innescano gli stessi processi cerebrali.

Non si tratta, invece, di un altro sostrato neurale comune fra la dipendenza da droghe e quella da cibo, ma del rilievo di un effetto che altri dati sperimentali hanno dimostrato essere aspecifico: quando l’amigdala rileva qualcosa di importante per la sopravvivenza dell’organismo e della specie, genera un segnale interno di allerta, sia che si tratti di una minaccia come un animale feroce, sia che si tratti di qualcosa di desiderabile come un cibo appetitoso o un partner attraente. Anche questo rilievo non dimostrerebbe altro che le sostanze d’abuso inducono l’attivazione anomala di meccanismi fisiologicamente presenti nell’organismo.

La corteccia dell’area orbito-frontale (OFC), da alcuni considerata un centro di controllo del comportamento umano, interviene in molti processi psichici e, recentemente, numerosi lavori ne hanno riscontrato la partecipazione alle attività cerebrali connesse con la dipendenza. Alcuni anni fa, Dana M. Small ha dimostrato che l’OFC elabora piacere ed avversione legate al cibo (2001). Anche questi rilievi sono stati interpretati e presentati come “prove” ulteriori di una elaborazione comune della dipendenza da molecole psicotrope e della compulsione alimentare. E’ noto, invece, che il danno traumatico o patologico della OFC causa un’incapacità di autocontrollo generale, con una generica tendenza ad agire impulsivamente e, in questo quadro, a cedere alle spinte di un bisogno dipendente.

Autori di studi più recenti (Avena, Rada e Hoebel, 2008) affermano che in alcune circostanze nei ratti si può avere dipendenza dallo zucchero (sugar dependence), valutata in termini comportamentali e neurochimici  (rilascio di acetilcolina e dopamina nel nucleo accumbens, cambiamenti nel legame dei recettori per la dopamina e per gli oppioidi, variazione di espressione dell’mRNA per l’encefalina).

Al termine di questa breve rassegna mi piace osservare che il compito dello studioso è quello di contribuire al progresso delle conoscenze e, a tale scopo, potrà adoperare l’analisi o la sintesi, perciò scomponendo o assimilando a seconda delle necessità, ma una cosa dovrà sempre temere ed evitare: la confusione.

 

(Testo tratto da una relazione di Ludovica R. Poggi - in qualità di coordinatrice del gruppo di studio di BM&L sui rapporti fra bulimia e tossicodipendenza - tenuta il 7 novembre 2008)

 

BRAIN MIND & LIFE – ITALIA ha promosso un approfondimento da parte di alcuni gruppi di studio strutturali, che hanno esteso la propria indagine anche ad altre alterazioni del comportamento alimentare come l’iponutrizione indotta ed auto-indotta in modelle, attrici, ballerine e varie altre categorie di persone emule, impropriamente definite “anoressiche”. Nei riferimenti bibliografici che seguono sono indicate utili letture di approfondimento anche su questo argomento.

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Luglio 2007 – Novembre 2008

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Avena N. M., Rada P., Hoebel B. G. Evidence for sugar addiction: behavioral and neurochemical effects of intermittent, excessive sugar intake. Neurosci. Biobehav. Rev. 32, 20-39, 2008.

 

Beaver J. D., et al. Individual differences in reward drive predict neural responses to images of food. Journal of Neuroscience 26 (19), 5160-5166, 2006.

 

Benoit S. C., et al. Novel functions of orexigenic hypothalamic peptides: from genes to behavior. Nutrition 24 (9), 843-847, 2008.

 

Bruch H. Eating Disorders. Obesity, Anorexia Nervosa, and the Person Within. Basic Books, New York, 1973 (ed. It.: Patologia del comportamento alimentare. Obesità, Anoressia Mentale e Personalità. Feltrinelli, Milano, 1977-1982).

 

Del Parigi A., et al. Are we addicted to food? Obes. Res. 11 (3), 493-495,  2003.

 

Etcoff N. Survival of the Prettiest: The Science of Beauty. Anchor, 2000.

 

Grimm O. Addicted to Food? Scientific American MIND 18 (2), 36-39, 2007.

 

Kiefer F., et al. Increasing leptin precedes craving and relapse during pharmacological abstinence maintenance treatment of alcoholism. Journal of Psychiatric Research 39 (5), 545-551, 2005.

 

Phillips K. A. The Broken Mirror: Understanding and Treating Body Dysmorphic Disorder. Oxford University Press (reprint edition), 2005.

 

Wolf N. The Beauty Myth. How Images of Beauty Are Used Against Women. Harper Perennial (reprint edition), 2002.

 

Wolkow N. D. & Roy A. Wise, How can drug addiction help us understand obesity? Nature Neuroscience 8 (5), 555-560, 2005.

 

 

 

 

 



[1] Hilde Bruch, Eating Disorders. Basic Books, New York 1973 (ed. It.: Patologia del comportamento alimentare. Feltrinelli, Milano 1977-1982).