STUDIO IN VIVO DELL’ATTIVITA’ DELLA NEOCORTECCIA

 

 

Una delle “leggende” più note e diffuse dalla divulgazione scientifica sul cervello, riguarda il presunto mancato impiego

 del suo 60% -a volte si legge addirittura del 75%, ma si comprende che, trattandosi di dare i numeri, le stime possano variare di molto- presentato come un fatto certo e dimostrato. D’altra parte, se si dovesse giudicare la plausibilità di questa affermazione dal basso tasso di intelligenza che caratterizza l’agire umano quotidiano, non si potrebbe che ritenerla verosimile.

E’ probabile che questa fola abbia avuto origine da una “libera” interpretazione dei risultati del lavoro di un pioniere della neurofisiologia, il neurochirurgo canadese Wilder Penfield: i suoi celebri esperimenti di stimolazione della superficie corticale che gli consentirono di mappare la somatotopica motoria e sensitiva, evidenziarono zone non rispondenti agli stimoli, cui opportunamente si diede il nome di aree mute. In epoca più recente codesti territori corticali furono in gran parte ribattezzati “aree associative”, secondo un criterio connessionista che attribuiva loro funzioni di collegamento.

Oggi è noto che molti eventi biofisici e biochimici sfuggono alla risoluzione temporale delle metodiche di rilevamento dell’attività cerebrale più impiegate (PET, fMRI) e che un apparente silenzio macroscopico possa nascondere processi attivi su una più piccola scala di spazio o di tempo (Note e Notizie 15-10-05 Quanto è veloce una sinapsi e cosa influenza la sua velocità). 

Kerr, Greenberg e Helmchen hanno studiato i circuiti della neocorteccia di ratto in vivo, con una metodica che fornisce immagini dell’attività di zolle di tessuto corticale fino al livello dei singoli neuroni, basata sulla two-photon calcium imaging (Imaging input and output of neocortical networks in vivo. Proc. Natl. Acad. Sci. USA 102, 14063-14068, 2005).

E’ facile prevedere che questo metodo di visualizzazione funzionale troverà larga applicazione nel prossimo futuro perché risulta estremamente efficace nella registrazione anche di eventi di breve durata. L’attività di input è rappresentata da forti segnali di calcio nelle strutture assoniche, mentre quella di output da spike patterns, cioè da configurazioni di potenziali d’azione locali.

Sulla base di questi criteri di rilevazione, i tre ricercatori hanno evidenziato un’attività spontanea intensa, eterogenea e diffusa, attraverso tutte le popolazioni neuroniche della corteccia cerebrale.

 

BM&L-Dicembre 2005

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