AZIONE ANTIDEPRESSIVA DEL VGF DA ESERCIZIO FISICO

 

 

Gli effetti antidepressivi dell’esercizio fisico sono noti e sperimentalmente comprovati da tempo, ma le basi biologiche di un’azione così rilevante per l’equilibrio psichico sono solo in parte note. Molti macrofenomeni somatici e viscerali tipici della fisiologia dell’esercizio muscolare possono giocare un ruolo, ma i meccanismi molecolari decisivi nell’indurre la modulazione dell’attività dei neuroni cerebrali sono in gran parte ignoti.

Oltre a modificazioni dell’assetto funzionale dell’organismo, l’esercizio è in grado di indurre neurogenesi e variazioni nell’attività di fattori neurotrofici, implicando un’azione indiretta, non soltanto sulla proliferazione e sulla promozione della sopravvivenza cellulare, ma anche sulla regolazione acuta della sintesi e del rilascio di alcuni neurotrasmettitori, e nel determinare plasticità o stabilizzazione sinaptica.

Attualmente, molti ricercatori ritengono che una via finale comune per l’avvio dei processi che si oppongono a quelli tipici della fisiopatologia depressiva, potrebbe essere costituita dall’attività dei fattori neurotrofici agenti nei neuroni dell’ippocampo.

Hunsberger e i suoi colleghi del Dipartimento di Psichiatria della Yale University nel Connecticut, hanno studiato mediante microarray l’espressione genica nelle cellule ippocampali di topo, allo scopo di definire un profilo dei geni regolati dall’esercizio (Hunsberger, J. G., et al. Antidepressant action of the exercise-regulated gene VGF. Nature Medicine 13 (12): 1476-1482, 2007).

Il confronto del profilo emerso da topi con un’intensa attività quotidiana, con quello di roditori in condizioni di vita prevalentemente passive, ha evidenziato notevoli differenze. Lo studio della via dei geni soggetti alla regolazione, ha mostrato che l’attività motoria regola in alto la cascata di segnalazione di un fattore neurotrofico, che in precedenti studi è risultato prendere parte ai meccanismi dell’azione molecolare degli antidepressivi.

Uno dei geni con il più alto grado di regolazione è apparso quello che codifica il fattore di crescita della cellula nervosa VGF, un peptide precursore in grado di influenzare plasticità sinaptica e metabolismo.

Il nome non acronimo di Vgf o Vgf8a fu dato da Levi e collaboratori nel 1985 ad un gene scoperto nella linea cellulare PC 12 del feocromocitoma di ratto, dopo l’attivazione di queste cellule verso un fenotipo neuronico per effetto del nerve growth factor (NGF); successivamente si definì la struttura del gene del VGF umano, che contiene due esoni, uno solo dei quali codifica il peptide, e fu anche stabilita la localizzazione cromosomica in 7q22 da Canu e colleghi nel 1997. Si rilevò, poi, che VGF poteva essere regolato anche dal BDNF e dalla neurotrofina NTF3, e furono individuate sue azioni sul dispendio energetico, sulla temperatura rettale e sul metabolismo del tessuto adiposo.

Tornando al lavoro condotto a Yale, Hunsberger e collaboratori hanno studiato l’effetto della somministrazione di un peptide sintetico derivato dal VGF in modelli murini di depressione umana. Le prove comportamentali, che rivelano lo stato depressivo del topo, hanno consentito di registrare la scomparsa del comportamento patologico dopo somministrazione del fattore neurotrofico.

E’ noto che l’esercizio motorio è in grado di indurre la reversione della depressione sperimentale negli animali di laboratorio, effetto che si rende evidente con l’abolizione del comportamento patologico alle prove standard. Su questa base i ricercatori della Yale University hanno indotto depressione sperimentale in topi VGF+/- e li hanno sottoposti a regime di alta attività, per verificare se gli effetti terapeutici del movimento fossero mediati dal fattore neurotrofico.

A differenza dei ceppi normali di topi, quelli mancanti di un allele per VGF non traevano beneficio dalla intensa attività, confermando l’importanza del fattore nella mediazione dell’effetto.

In conclusione, risultati del gruppo di Hunsberger suggeriscono un nuovo ruolo per VGF e propongono la segnalazione legata a questo fattore come target per lo sviluppo di nuovi farmaci antidepressivi.

Lavori come questo ci rimandano ai complessi quadri psicosomatici sottostanti gli stati soggettivi di benessere e malessere, rivelati dagli studi di psiconeuroimmunologia, sulla base dei quali è possibile rendersi conto del ruolo di re-setting funzionale dell’organismo che può essere svolto dall’esercizio fisico.

Cancro, stress, patterns molecolari associati a patogeni (PMAP) e segnali di pericolo, sono in grado di attivare il sistema immunitario innato, che induce un aumento delle citochine pro-infiammatorie periferiche e cerebrali, la cui azione, attraverso l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e vari circuiti encefalici, può causare anoressia, anedonia, affaticamento, umore depresso, disturbi del sonno, alterazioni cognitive e perfino dolore. Tali esiti riducono l’immunocompentenza, con il risultato di una maggiore attivazione del sistema immunitario innato ed il conseguente istaurarsi di un circolo vizioso che alimenta i sintomi (Dantzer in R. Ader (ed.) Psychoneuroimmunology, Vol I, p. 309, AP Elsevier, 2007).

Complesse interazioni di questo genere sono alla base della sensazione soggettiva di malessere e infermità, mentre all’opposto la percezione soggettiva di benessere è il portato di una rete di processi immunitari, endocrini e metabolici regolati dal sistema nervoso centrale, che possono essere innescati da alcuni patterns molecolari che si accompagnano all’attività motoria.

Pertanto, nella depressione e in tutti gli stati di astenia ed abulia che si accompagnano a patologie organiche, assecondare la tendenza del paziente all’inattività o, addirittura, sospendere un trattamento fisioterapico, un’attività sportiva o un lavoro manuale, può alimentare il circolo vizioso che esita in forme più gravi del disturbo, che si accompagnano a ridotta neurogenesi e diminuzione dei neuroni nell’ippocampo e in altre sedi encefaliche.

Il medico, e in particolare lo psichiatra, deve avere ben presente la distinzione fra stress e affaticamento fisico, fra condizioni in cui operano processi “tossici” per l’attività psichica, come la cronica attivazione del corto-circuito del locus caeruleus che porta a depressione, e stati temporanei di risposta fisiologica ad eventi esterni acuti ed occasionali. Tale valutazione diagnostica è di fondamentale importanza per distinguere quelle rare condizioni in cui il riposo fisico può risultare di giovamento, da tutte le altre in cui l’esercizio motorio, cum grano salis, adeguato ed adattato a condizioni e circostanze specifiche, può interrompere i circoli viziosi che determinano la fisiopatologia degli stati depressivi e di tanti altri disturbi caratterizzati da inibizione psicomotoria, riduzione dell’iniziativa, del desiderio e della percezione del piacere. E’ necessario aver presente che i circoli viziosi fisiopatologici sono dovuti a processi a feed-forward, evolventi come in una spirale che sembra andare incontro ad accelerazione progressiva; pertanto, si può presumere che più sarà precoce l’intervento di una “terapia motoria”, maggiori saranno le possibilità di un esito positivo della complessa azione sull’espressione genica e sulla regolazione delle funzioni psico-fisiche da parte del movimento.

Infine, l’efficacia psicostimolante sia della partecipazione attiva ed intenzionale, sia della decisione autonoma in funzione di un obiettivo, suggerisce l’inserimento dell’attività fisica in un quadro coerente che la renda parte integrante della propria vita e non occasione o momento avulso dal senso e dal valore dei principali atti quotidiani. Il rispetto di una tale integrazione, che ricalca le condizioni naturali in cui si è esplicato il ruolo del movimento nella filogenesi, potrà avere una maggiore efficacia fisiologica nell’attivare quei processi molecolari che il faticoso e costante impegno della ricerca di base ha cominciato ad individuare.

 

Ludovica R. Poggi & Giuseppe Perrella

BM&L-Gennaio 2008

www.brainmindlife.org