Vettori virali nella terapia della Sclerosi Laterale
Amiotrofica (SLA)
In
un recente lavoro su un modello murino di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA),
Fred Gage sembra abbandonare il cauto equilibrio e la saggia prudenza cui ci ha
abituato, esprimendo un ottimismo eccessivo, a nostro parere, nel giudicare i
risultati ottenuti dal suo gruppo di ricerca.
Kaspar,
Lladò, Sherkat, Rothstein e lo stesso Gage (Brian K. Kaspar et al, Retrograde Viral Delivery of IGF-1 Prolongs Survival
in a Mouse ALS Model, Science, 301, 839-842, 2003) hanno impiegato virus, cosiddetti adeno-associati
(AAV), per ottenere il trasporto dal muscolo ai motoneuroni dell’IGF-1
(Insulin-like Growth Factor-1) in topi in cui era stata prodotta una sindrome
che assomiglia alla SLA umana. Una certa efficacia di questo fattore
neurotrofico in modelli sperimentali di SLA era riportata in letteratura, così
come quella di un altro fattore, il GDNF (Glial cell line Derived Neurotrofic
Factor), per questo sono stati sperimentati entrambi ed è stato, poi, preferito
l’IGF perché si è rivelato maggiormente efficace. La capacità degli AAV di
percorrere a ritroso l’assone del neurone fino al nucleo, conferendogli il
materiale genetico, era stata dimostrata in precedenza dagli stessi autori.
I
risultati evidenziano che l’IGF-1 prolunga la vita dei topi e ritarda
l’insorgenza dei sintomi, anche se somministrato quando il danno è già
manifesto nel comportamento dei piccoli animali.
La
soddisfazione per l’esito di questa ricerca ha indotto il gruppo di Gage a
definire un protocollo per la sperimentazione clinica nell’uomo.
Si può essere indotti a ritenere che un passo decisivo e
definitivo sia stato compiuto nella comprensione e nella cura della Sclerosi
Laterale Amiotrofica se si legge per intero il lavoro pubblicato nei “Reports”
del numero dell’8 agosto di Science, che termina con questa apodittica
conclusione: “I nostri risultati dimostrano sostanziali miglioramenti nel
comportamento, nella fisiologia e nella patologia in un modello clinicamente
rilevante di malattia del motoneurone, dopo iniezione intramuscolare di
AAV-IGF-1. E’ stato elaborato un trial clinico per testare questo approccio.”
Tuttavia si tratta solo della reversione di segni e sintomi
artificialmente prodotti nel topo con un meccanismo arbitrario, adottando su
una base intuitiva un criterio terapeutico aspecifico (fattori neurotrofici),
la cui efficacia è dovuta all’azione di vettori virali. Pertanto ci sembra
opportuna una riflessione critica per inquadrare il valore di questa ricerca e
tentare di vagliarne l’effettiva portata. A questo scopo si propone una breve
discussione articolata in tre punti:
1)
la ricerca di una
terapia per una malattia di cui si ignora eziologia e patogenesi;
2)
l’impiego di virus introdotti
nel sistema nervoso;
3)
la sperimentazione sul
topo.
1)
La ricerca di una
terapia per una malattia di cui si ignora eziologia e patogenesi.
La ricerca volta a trovare cure per patologie di cui si ignorano la causa ed i processi patogenetici, si identifica con una parte della storia della medicina stessa e trova giustificazione razionale e morale nel tentativo di curare la persona ammalata. Nella medicina moderna fondata sulla patologia biochimica, però, questo ambito di indagine dovrebbe riguardare solo una piccola parte della ricerca clinica. Idealmente la ricerca di una cura dovrebbe seguire la conoscenza dei processi patologici, come nel caso in cui l’identificazione della causa di malattia in una proteina mutata porta alla sintesi di un farmaco in grado di neutralizzarla. La ricerca di base, che ha per obiettivo la conoscenza di tutte le strutture e i processi naturali, è da sempre una fonte irrinunciabile per la ricerca medica, in quanto costantemente aggiorna ed integra il quadro generale delle conoscenze su cui si basa il sapere medico con le sue ipotesi sperimentali.
Da una quindicina d’anni a questa parte si assiste ad una
espansione crescente della ricerca effettuata con i metodi e le tecniche di
quella di base, ma volta ad ottenere risultati da impiegare per la terapia,
anche solo palliativa, di sindromi i cui processi di origine e sviluppo ci sono
ignoti. Parallelamente i progetti e i finanziamenti per la cosiddetta “ricerca
pura” si riducono. Sono sempre più numerosi gli studi finalizzati all’ottenimento
di nuove terapie pubblicati su Science, Nature, Cell, Neuron, riviste sulle
quali appariva solo eccezionalmente
questo genere di lavori. Spesso queste ricerche sono come un gioco
d’azzardo la cui buona riuscita assomiglia più a un colpo di fortuna che alla
dimostrazione sperimentale di una fondata ipotesi scientifica.
Il lavoro del gruppo di Gage rientra in questa “moda”
dell’azzardo, sostenuta dalle case farmaceutiche e biotecnologiche, così come
dalle associazioni per la ricerca su specifiche malattie.
Non sappiamo perché i motoneuroni degenerano nella SLA, ma è
ragionevole cercare le cause in una noxa che distingue il motoneurone da un
interneurone e da un neurone sensitivo. Quando la ricerca di base ci avrà dato
una migliore caratterizzazione su base antigenica e genetica, ad esempio, che
distingua le cellule di moto che degenerano in queste patologie dalle altre che
rimangono indenni, si avrà una base un po’ più specifica per cercare una
terapia.
In questo studio sono stati somministrati due fattori
neurotrofici o, per meglio dire, sono state impiegate due molecole che
conosciamo per il ruolo neurotrofico, ma le cui potenzialità in termini di
meccanismi molecolari non ci sono ancora del tutto note. Il ragionamento che
giustifica il loro impiego è molto semplice: somministro un fattore che
dovrebbe “nutrire” un neurone che sta degenerando e vedo se questo riesce a
prolungarne la vita. Testate le due molecole, la GDNF e la IGF-1, si vede che
gli effetti positivi della prima sono scarsi e discutibili e, pertanto, la si
esclude; al contrario la seconda che sembra efficace acquisirà maggiore
importanza e sarà l’unico fattore menzionato nel titolo.
Ma come si fa a giudicare scientificamente la validità di
questo lavoro se non si può riferirsi ai meccanismi d’azione? Come ha agito
l’IGF-1? Su quale substrato e perché ha inibito la morte dei motoneuroni? Se
non definiamo questo e non accertiamo che il bersaglio dell’IGF-1 nel topo
artificialmente ammalato è molto simile a quello dell’ammalato di SLA, non
abbiamo elementi per valutare. Il lavoro documenta dettagliatamente nello
studio statistico comparativo l’efficacia dell’IGF-1, ma questo non ci aiuta.
Infatti, il problema non è se si sia prodotto un effetto positivo o meno, ma se
i processi che si sono verificati potranno essere riprodotti nel modello umano
e, su questa questione, lo studio non offre alcuna nuova informazione rispetto
a quanto già era noto.
Si legge che almeno in parte l’azione dell’IGF-1 è stata
esplicata mediante un meccanismo anti-apoptotico che, attraverso l’incremento
della forma fosforilata dell’Akt, previene la scissione delle caspasi 3
e 9 inibendo i processi di morte cellulare programmata. Nel lavoro si fa
suggestivamente notare che nella SLA l’apoptosi è caratterizzata da una via che
implica la scissione delle caspasi 3 e 9, cosa assolutamente vera. Il problema
è che questo accade in un’infinità di altri casi e che l’apoptosi non è la
causa della SLA, ma un evento finale, probabilmente abbastanza aspecifico.
Un’altra azione attribuibile all’IGF-1 è il ritardato sviluppo della gliosi
(dovuta alla reazione al danno da parte dell’astroglia e della microglia)
testimoniato dai bassi tassi di TNF-α.
Ma tutto ciò non è altro che il riscontro di quanto ci si
attendeva, ed è il motivo per cui sono stati impiegati i fattori neurotrofici,
non una nuova dimostrazione di un meccanismo d’azione specifico per la SLA su
cui agirebbe un fattore neurotrofico. Pertanto in questa parte della
sperimentazione non troviamo alcun motivo aggiuntivo per l’impiego dell’IGF-1
in terapia oltre la generica speranza che arresti un processo degenerativo,
cosa già osservata in altre ricerche.
2)
L’impiego di virus
introdotti nel sistema nervoso.
I virus adeno-associati impiegati come vettori dell’IGF-1 che, dalla giunzione neuromuscolare dei muscoli respiratori e degli arti dove sono stati iniettati, vanno su per gli assoni fino al nucleo dei motoneuroni, rappresentano un effettivo vantaggio in termini di efficacia ed un contributo originale di questo lavoro. Ma, ci chiediamo, è prudente impiegare questi virus in terapia umana? Non si tratta di micro-robot ingegnerizzati per il trasporto di un fattore di cui si dovrà sostenere l’espressione genica, ma di organismi viventi che devono interagire con il recettore dell’assone ed interferire con il DNA del neurone.
Non sono pochi i genetisti che considerano prematuri e persino rischiosi questi esperimenti in terapia sulla base delle attuali conoscenze.
3) La sperimentazione sul topo.
L’iperespressione del gene della superossido dismutasi-1
(SOD-1) viene impiegata in topi e ratti per causare una sindrome da
degenerazione dei motoneuroni che, in quanto distrugge queste cellule, produce
sintomi identici a quelli della SLA umana. In questo lavoro sono stati
impiegati topi transgenici che esprimevano il G93A SOD-1 transgene. Si tratta
di topini che iperesprimono la SOD-1 manifestando sintomi a partire dal
novantesimo giorno di vita, le povere bestiole sono destinate a morire dopo
circa trenta giorni.
I modelli murini nello studio delle malattie
neurodegenerative umane si sono rivelati molto spesso inaffidabili e,
nonostante la somiglianza dei processi istopatologici, delle molecole in gioco
nella fisiopatologia del danno e del decorso, spesso non è stato possibile
riprodurre nell’uomo i risultati ottenuti nei topi. A tale riguardo i casi che
si sono verificati nella sperimentazione su modelli animali della malattia di
Alzheimer costituiscono un monito che dovrebbe essere sempre presente ad ogni
ricercatore.
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In conclusione, al di là delle riflessioni
specifiche, questo lavoro ci sembra emblematico di una deriva cui sta andando
incontro la ricerca scientifica, di cui è necessario prendere coscienza. Se
anche coloro che hanno competenze adeguate e mezzi sufficienti decidono di
prendere le scorciatoie di lavori di grande effetto e nessuna sostanza, chi
porterà avanti la ricerca vera, quella spesso oscura e faticosa,
talvolta ingrata ed avara, ma che sola consente il reale progresso delle
conoscenze umane?