COSA RENDE UNICO IL CERVELLO UMANO

 

 

(TERZO INCONTRO - seconda parte)

 

 

Ecco la seconda parte del terzo appuntamento dedicato all’istologia comparativa nell’ambito degli incontri di studio sul tema “Le differenze neurobiologiche all’origine dell’unicità umana”.

 

Casanova, Buxhoeveden ed altri tre colleghi, nel 2001 accertarono che la spaziatura fra le colonne corticali dell’area Tpt, localizzata nel planum temporale, è asimmetrica nel nostro cervello, presentando costantemente una dimensione maggiore nell’antimero sinistro, ossia in corrispondenza dell’emisfero in cui ha sede, nella massima parte delle persone, il controllo delle funzioni di comunicazione verbale. I ricercatori non rilevarono negli scimpanzé e nei macachi questa asimmetria istologica.

Se l’accertamento di un’asimmetria microscopica esclusivamente umana in una regione prossima a quelle interessate dal danno nell’afasia di Wernicke non sorprende, può invece meravigliare che le peculiarità umane siano estese a tutto l’encefalo, interessando aree costituite da strutture filogeneticamente meno evolute e, dunque, secondo la concezione convenzionale dell’evoluzione cerebrale, più vicine nella struttura alle omologhe formazioni degli altri mammiferi[1]. Sono, infatti, state rilevate nella corteccia limbica delle aree 24 e 32 le cellule fusiformi e le specializzazioni morfologiche delle fibre colinergiche e serotoninergiche che abbiamo citato in precedenza.

Le specializzazioni umane non sono limitate alla corteccia: nel proencefalo basale i neuroni magnocellulari delle scimmie del Nuovo e del Vecchio Mondo esprimono il peptide galanina nel citoplasma, diversamente dall’uomo e dalle grandi antropomorfe che non hanno la molecola peptidica in queste grandi cellule ma, nella stessa regione, presentano processi in forma di plesso di origine estrinseca nei quali la si rinviene.

Peculiarità umane sono state riscontrate anche nelle aree deputate all’elaborazione sensoriale, come nel caso della scoperta quasi accidentale da parte di Preuss, Qi e Kaas nel 1999 di particolarità nell’area visiva primaria (V1) presenti esclusivamente nella corteccia calcarina dell’uomo ed assenti nelle piccole e grandi scimmie. Questi ricercatori documentarono l’esistenza di un’organizzazione modulare nello strato 4A dell’area V1 umana con corpi cellulari e neuriti contrassegnati dagli anticorpi anti-SMI-32 (marker dei neurofilamenti) e anti-MAP2 (marker dei microtubuli) e disposti a formare un disegno a maglie circoscriventi territori non contrassegnati. In uno studio successivo di questa organizzazione strutturale fu rilevato che le maglie erano intensamente immunoreattive a Cat-301, un anticorpo considerato un marker selettivo degli elementi della via magnocellulare (M) del sistema visivo, e che i territori interposti contenevano piccole cellule con un’alta espressione della proteina legante il calcio calbindina[2]. Per spiegare questi dati, Preuss e colleghi hanno ipotizzato un cambiamento specificamente verificatosi nella linea evolutiva umana, dell’elaborazione delle informazioni visive relative al movimento e al contrasto da parte della via magnocellulare[3]. Ma, indipendentemente dal fatto che questa interpretazione si rivelerà esatta od erronea, rimane il dato di un’organizzazione morfo-funzionale dello strato 4A dell’area V1 altamente differenziata ed unica dell’uomo.

Nessun altro fra i primati studiati presenta questa armonica distribuzione a chiazze di forte e specifica immunoreattività: gli scimpanzé, che come l’uomo presentano calbindina nello strato 4A, fanno rilevare un’espressione densa ed omogenea della proteina, che invece  scarseggia nella stessa lamina corticale di tutte le altre scimmie del Vecchio e Nuovo Mondo[4].

Le variazioni nell’organizzazione della corteccia visiva primaria costituiscono un esempio eloquente di differenze cerebrali che consentono di distinguere l’uomo dalle grandi antropomorfe, queste dai macachi, e le singole altre specie di primati meno evoluti fra loro.

 

[continua]

 

L’autore della nota vi dà appuntamento alla prossima settimana per il quarto incontro e invita alla lettura dei resoconti precedenti (Note e Notizie 27-03-10 Cosa rende unico il cervello umano – primo incontro; Note e Notizie 10-04-10 Cosa rende unico il cervello umano – secondo incontro), il primo dei quali fornisce una breve introduzione all’argomento, che include le motivazioni del costituirsi di un campo di indagine specifico sull’unicità del cervello umano, mentre il secondo propone i principali risultati nel campo della genetica comparativa.

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-Aprile 2010

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RESOCONTO DI UN CONVEGNO]

 

 

 

 

 



[1] Ad onor del vero, la teoria di Giuseppe Perrella fin dagli anni Ottanta ha consentito di prevedere questo risultato della ricerca, in quanto, sostenendo l’evoluzione complessiva dell’encefalo umano, specifica e unitaria allo stesso tempo, aveva confutato la visione dominante, dimostrando che la scomposizione in parti a scopo di studio aveva introdotto una bias intepretativa tendente a considerare le strutture specializzate come organi separati, quasi fosse ciascuno il prodotto di una selezione positiva indipendente.

[2] Preuss T. M. & Coleman G. Q. Human-specific organization of primary visual cortex: Alternating compartments of dense Cat-301 and calbindin immunoreactivity in layer 4A. Cerebral Cortex 12 (7), 671-691, 2002.

[3] Preuss T. M., The Cognitive Neuroscience of Human Uniqueness, p. 55, in “The Cognitive Neurosciences” [Michael Gazzaniga, editor in chief] 4th edition. The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2009.

[4] In alcune specie si ha una densa espressione di calbindina in altri strati della corteccia.