BASI DEGLI EFFETTI BENEFICI DI UMORISMO E RISATE

 

(QUINTA PARTE)

 

Un riferimento bibliografico obbligato, quando si tratti degli studi volti a valutare gli effetti dell’umorismo su uno stato d’animo indotto dalle circostanze, è il lavoro condotto da Nancy A. Yovetic[1] con gli psicologi J. Alexander Dale e Mary A. Hudak dell’Allegheny College nel 1990. In questo studio, ai 53 studenti di college che costituivano il campione dell’esperimento, fu annunciato che entro 12 minuti avrebbero ricevuto una scossa elettrica: l’annuncio aveva lo scopo di indurre in loro una qualche forma di attesa ansiosa o di preoccupazione. Nel frattempo, i tre gruppi in cui erano stati suddivisi i volontari furono sottoposti a tre diverse esperienze: il primo gruppo ascoltò un nastro dai contenuti divertenti, il secondo poté ascoltare un discorso privo di humor e al terzo non fu dato nulla da ascoltare. Naturalmente la temuta scarica elettrica non fu erogata e fu valutato lo stato d’animo dei partecipanti, confrontando poi l’esito dei tre gruppi. Seguendo quanto riferito sulla base della percezione soggettiva, i membri del primo gruppo risultarono molto meno ansiosi di quelli degli altri due, confermando un generale effetto anti-ansia dell’umorismo; inoltre, coloro che avevano fatto registrare i punteggi più alti nell’area del senso umoristico in una precedente valutazione di personalità, avevano presentato in assoluto i livelli più bassi di tensione.

Da questo studio, come da altri simili che sono seguiti nel tempo, si deduce che l’umorismo può avere un effetto di riduzione dell’attivazione dei circuiti che mediano l’espressione di emozioni negative. In altre parole, un effetto ansiolitico senza l’azione sedativa dei farmaci che si impiegano a questo scopo[2]. Un altro aspetto è che le persone predisposte ottengono i maggiori benefici.

Ma, in che cosa consiste questa predisposizione? Come possiamo distinguerla dalla reazione a qualcosa di divertente? Per rispondere a questi interrogativi, qualche anno dopo lo studio di Yovetic e colleghi, Willibald Ruch creò la già citata STCI (State-Trait Cheerfulness Inventory). Questa scala consente di distinguere l’umore temporaneo, come quello prodotto dall’ascolto di una barzelletta (state), da una caratteristica della persona o tratto (trait)[3], ed assegna un alto punteggio a chi facilmente assume un umore allegro ed è pronto al riso. Si ritiene che questa caratteristica sia rilevante per la personalità, in quanto le persone con un cheerful trait sembra che presentino una stabilità maggiore della media, tanto che secondo Ruch l’umorismo “rinforza la psiche”[4].

Nel 1966 questo autore, con il medico Claus-Udo Wancke e i suoi collaboratori di Dusseldorf, misurò il tratto in 68 persone e rilevò che, parlare di proverbi dai contenuti negativi, induceva malumore nei volontari dallo stile composto e compassato, mentre non aveva effetti negativi sulle persone più gioviali.

Nel 1999 Ruch e colleghi valutarono 72 studenti mediante la STCI e poi chiesero loro di rispondere a questionari e fare dei disegni, perché si trattenessero nelle tre stanze in cui erano stati ripartiti. Il vero obiettivo dell’esperimento era lo studio dell’effetto dell’ambiente sui volontari. La prima stanza era stata allestita allo scopo di creare un ambiente allegro: grandi finestre, pareti gialle, posters con rappresentazioni divertenti e drappi dai colori vivaci. La seconda stanza, o “stanza depressiva”, come era stata ribattezzata, aveva le pareti tinte di nero ed era illuminata solo da una lampadina[5]. La terza era stata concepita come un ambiente “serio” di lavoro, con strumentazioni scientifiche, libri, fra cui manuali didattici, e posters per le presentazioni degli studi sperimentali ai convegni.

Come ci si poteva attendere, l’ambiente deprimente ebbe il massimo effetto sugli studenti poco allegri, determinando in loro un notevole peggioramento dell’umore, mentre non sembrò influenzare quelli caratterizzati da un tratto di personalità gioviale e tendente all’umorismo.

 

[continua]

 

La curatrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, autore della relazione qui sintetizzata e divisa in parti per i visitatori del sito.

 

Isabella Floriani

BM&L-Giugno 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE]

 

 

 

 

 

 

 



[1] Nancy Yovetich è attualmente ricercatrice in campo farmaceutico presso la Rho Inc.

[2] Questo aspetto, più volte evidenziato dal presidente Perrella negli incontri del gruppo di studio sulle basi neurobiologiche degli affetti positivi nell’ambito del Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, non è trascurabile, perché il diffuso impiego di farmaci sedativi come i benzodiazepinici ha creato un’assuefazione all’idea che l’ansia non si possa neutralizzare senza una complessiva riduzione di attività delle reti di neuroni dell’encefalo che presiedono alle funzioni psichiche.

[3] In molti scritti in cui si riferisce dell’impiego di questa scala si parla di carattere ma, più propriamente, secondo i criteri classici della semeiotica psichiatrica, l’aspetto considerato dagli autori della STCI dovrebbe essere definito temperamento.

[4] Tale affermazione, nel suo significato letterale, attende ancora una verifica scientifica, anche se gli effetti benefici dell’umorismo sulla psiche sono ormai accertati.

[5] Il presidente Perrella ha fatto riferimento allo studio del rapporto fra la luce (e i colori chiari a questa collegati in chiave percettiva) e gli affetti espansivi, in particolare riferendosi ai contenuti di una sua presentazione dal titolo “Luce e Gioia”, per la prima volta proposta ad un incontro tenutosi il 18 novembre 2006 a Firenze, presso il Caffè Storico “Gilli” in Piazza della Repubblica. L’associazione della luce alla gioia e della tristezza all’oscurità, erano indagate in chiave storico-linguistica, antropologica, filosofica e neurobiologica. La relazione del presidente si avvalse della collaborazione del dottor Patrizio Perrella e della dottoressa Maria Rosaria Daniele.