BASI DEGLI EFFETTI BENEFICI DI UMORISMO E RISATE

 

(TERZA PARTE)

 

Gli effetti di interesse immunologico non si limitano all’aumento della protezione cellulo-mediata dell’organismo e, presumibilmente, studi futuri amplieranno molto lo spettro delle modificazioni indotte dal buon umore. Un risultato molto interessante in campo allergologico è stato ottenuto nel 2007 da Hajime Kimata e colleghi del Moriguchi-Keijinkai Hospital (Giappone). La melatonina, ormone della ghiandola pineale che regola i cicli veglia-sonno, è frequentemente alterata negli affetti da dermatite atopica[1], malattia della quale soffrivano i 48 lattanti dell’esperimento di Kimata, il cui campione era costituito, oltre che dai piccoli, dalle loro madri in allattamento. I ricercatori misurarono i livelli di melatonina nel latte delle donne prima e dopo averle fatte assistere ad un video di una comica fra le più esilaranti di Charlie Chaplin, poi confrontarono i rilievi con quelli eseguiti prima e dopo che le donne avevano assistito alle previsioni del tempo. Risultò che la comica di Charlot, accompagnata da numerose risate, aveva notevolmente innalzato la concentrazione di melatonina nel latte materno, mentre le previsioni del tempo non avevano influito sull’ormone epifisario. Ma, soprattutto, emerse che il latte delle donne che avevano riso di divertimento, era in grado di ridurre la risposta allergica dei lattanti al latex e agli acari della polvere di casa. A due anni di distanza, i risultati di questo lavoro non hanno avuto smentita, ed altre ricerche sono in corso di svolgimento per verificare l’efficacia anti-allergica delle risate delle madri-nutrici per i piccoli che presentino uno o più elementi della classica triade atopica.

Gli esperimenti basati sulla percezione visiva ed uditiva di stimoli in grado di produrre il riso, sono stati impiegati in questi anni anche per verificare le proprietà analgesiche del buon umore, che erano state postulate da Walsh fin dal 1928[2].

Si cita spesso uno studio del 1996 condotto su pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica ed affetti da intensi dolori post-operatori: i volontari che assistevano a film comici necessitavano di dosi minori di farmaci antidolorifici, rispetto al gruppo di coloro che assistevano a rappresentazioni di tipo drammatico e a quello dei pazienti ai quali non veniva proposto alcun tipo di spettacolo[3].

Willibald Ruch e le sue allieve Karen Zweyer e Barbara Welker, in uno studio del 2004, hanno provato a verificare se è necessaria la risata o è sufficiente l’esperienza del divertimento per ridurre la percezione del dolore. I ricercatori chiesero a 56 donne di immergere tre volte la mano in un’acqua ghiacciata, la cui temperatura era in grado di indurre stimolazione nocicettiva: prima, immediatamente dopo e 20 minuti dopo la visione di un divertente filmato di soli sette minuti. Le donne erano state divise in tre gruppi: le appartenenti al primo gruppo erano state istruite ad entrare in uno stato di buon umore senza ridere né sorridere; le donne del secondo gruppo potevano dare libero sfogo all’allegria e si chiedeva loro di ridere molto; infine, alle volontarie rimanenti, era stato chiesto di improvvisare commenti umoristici orali durante la visione del film.

Come previsto, il filmato migliorò la tolleranza del dolore in tutte le donne: era necessario un tempo di latenza più lungo prima che percepissero il dolore e la resistenza era aumentata, ossia potevano trattenere la mano dolente in immersione per un tempo maggiore. Queste modificazioni nell’elaborazione delle sensazioni nocicettive perduravano anche a distanza di 20 minuti.

Ma la risposta al quesito principale dell’esperimento ci appare ancora più interessante: per ottenere l’effetto di soppressione del dolore non era necessaria la risata, ma era indispensabile la manifestazione neuromotoria del sorriso. Infatti, le partecipanti alle quali era stato chiesto di reprimere riso e sorriso, soffrivano più di tutte, mentre quelle di questo gruppo che non erano riuscite a trattenere i sorrisi, manifestavano una tolleranza accostabile a quella di coloro che avevano dato libero sfogo alle risate[4].

Gli esperimenti di Ruch, Zweyer e Welker appartengono ad una tipologia di studi che tende ad accertare, come si fa in neurofisiologia, aspetti di una funzione presenti in tutti gli individui della specie indagata[5], ma sappiamo che un tratto molto importante nella realtà umana attiene alle differenze determinate dalle caratteristiche psicologiche delle persone.

 

[continua]

 

La curatrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, autore della relazione qui sintetizzata e divisa in parti per i visitatori del sito.

 

Isabella Floriani

BM&L-Maggio 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE]

 

 

 

 

 

 



[1] Si veda in G. Perrella, Lezioni di Neurochimica. BM&L, Firenze 2006.

 

[2] Come già anticipato nella prima parte, pubblicata il 16 maggio scorso, le osservazioni di questo medico americano hanno dato luogo ad un filone di ricerca che indaga gli effetti antidolorifici dell’umorismo.

[3] Si veda in Steve Ayan, Laughing Matters. Scientific American MIND 20 (2): 24-31, April/May/June 2009.

[4] Zweyer K., Velker B. & Ruch W. Do Cheerfulness, Exhilaration, and Humor Production Moderate Pain Tolerance? A FACS Study. Humor 17 (1/2): 85-119, 2009.

[5] Ad esempio, in questo caso è stata studiata la variazione della soglia del dolore, della durata della tolleranza, dell’intensità percepita, ecc.