NUOVA PROSPETTIVA PER IL TRATTAMENTO DELLE TOSSICODIPENDENZE

 

 

I processi cellulari e i meccanismi neurofisiologici che collegano il bisogno impellente di assunzione della sostanza da parte del tossicodipendente con la fame, l’allerta, la motivazione e le risposte allo stress, sono oggetto di intense ricerche.

Un nuovo lavoro del gruppo di Borgland dimostra l’importanza dell’oressina A nel comportamento appreso indotto da cocaina, e, sulla base di studi precedenti, traccia un quadro interpretativo che apre nuove prospettive per la terapia (Orexin A in the VTA is critical for the induction of synaptic plasticity and behavioral sensitisation of cocaine. Neuron 49, 589-601, 2006).

Nell’encefalo di tutti i mammiferi, i neuropeptidi noti come oressine svolgono un ruolo importante nei processi che regolano la nutrizione, le risposte di allerta, la motivazione e i comportamenti adattativi. I neuroni dell’ipotalamo laterale che contengono oressine proiettano nell’area tegmentale ventrale (VTA), un sito di importanza fondamentale nella mediazione della plasticità sinaptica indotta da sostanze psicotrope che generano dipendenza. Borgland e i suoi collaboratori hanno dimostrato che, nei ratti, l’oressina A può potenziare la neurotrasmissione glutammatergica dei neuroni dopaminergici della VTA e contribuire ai cambiamenti del comportamento indotto negli animali dalla cocaina.

In uno studio condotto precedentemente dagli stessi autori erano emersi ruoli fisiologici simili per l’oressina A ed il CRF (corticotropin releasing factor), suggerendo che, in condizioni normali, oressina e CRF potrebbero mediare le risposte apprese di allerta e quelle ambientali allo stress, regolando la plasticità sinaptica. Queste funzioni sarebbero “dirottate” dall’abuso di cocaina e di altre droghe. I processi neurofunzionali alla base dello stato di allerta e delle reazioni allo stress si rinvengono nel comportamento di ricerca spasmodica della sostanza d’abuso (in questo caso la cocaina) e, nella realtà umana delle tossicodipendenze, questa fase induce la richiesta di aiuto molto più di quella che segue l’assunzione del composto.

Attualmente la medicina può curare gli effetti tossici acuti e sub-acuti delle sostanze di abuso, intervenendo nelle fasi di intossicazione, ma non è in grado di trattare gli effetti cerebrali inapparenti dell’assunzione protratta. Se un tossicodipendente riesce a procurarsi sempre per tempo la sostanza, non chiederà aiuto, presumibilmente, fino a quando sia giunto ad un livello avanzato di danno cerebrale. Infatti, la sofferenza maggiore, che induce la persona dipendente a chiedere aiuto, si produce nella crisi di astinenza, alla quale non vi sono rimedi terapeutici diretti, se si esclude la somministrazione controllata dello stesso principio attivo di abuso o l’impiego di un suo analogo (metadone) come accade per l’eroina.

Ci appare, perciò, di grande interesse la proposta avanzata da Borgland e collaboratori, di sviluppare farmaci in grado di agire sulla via di segnalazione peptidica per l’oressina e il CRF, spegnendo il desiderio di droga e lo stato di allerta ansiosa che accompagna le crisi di astinenza.

 

L’autrice della nota ringrazia Giuseppe Perrella e Diane Richmond con i quali ha discusso l’argomento trattato.

 

 Ludovica R. Poggi

BM&L-Maggio 2006

www.brainmindlife.org